Crisi del gruppo (l. fall.)

Vincenzo Palladino
03 Giugno 2020

Il fenomeno del gruppo di imprese, nonostante la sua crescente diffusione nell'odierna realtà economica, non forma oggetto, ad oggi, di una disciplina organica in ambito concorsuale (una prima regolamentazione della materia si rinviene però nel disegno di legge delega recante “ Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza ”, noto come “ progetto Rordorf ”). Il legislatore è intervenuto in materia soltanto con alcune norme settoriali, concernenti, in particolare, i gruppi bancari (artt. 98 e 105 T.U.B.) e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (artt. 80 ss. D. Lgs. n. 270/99 e, più recentemente, art. 4-bis cd. “ Legge Marzano ”), sicché la relativa regolamentazione è stata finora demandata all'elaborazione giurisprudenziale; quest'ultima, peraltro, ha riguardato principalmente la procedura di concordato preventivo, che è quella in cui le esigenze di coordinamento connesse all'inserimento dell'impresa in crisi all'interno di un gruppo risultano maggiormente avvertite nella prassi.

Inquadramento

Avvertenza – Bussola in aggiornamento  

Il fenomeno del gruppo di imprese, nonostante la sua crescente diffusione nell'odierna realtà economica, non forma oggetto, ad oggi, di una disciplina organica in ambito concorsuale (una prima regolamentazione della materia si rinviene però nel disegno di legge delega recante Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza , noto come “ progetto Rordorf ”, su cui si tornerà infra). Il legislatore è intervenuto in materia soltanto con alcune norme settoriali, concernenti, in particolare, i gruppi bancari(artt. 98 e 105 T.U.B.) e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (artt. 80 ss. D. Lgs. n. 270/99 e, più recentemente, art. 4-bis cd. “ Legge Marzano ”), sicché la relativa regolamentazione è stata finora demandata all'elaborazione giurisprudenziale; quest'ultima, peraltro, ha riguardato principalmente la procedura di concordato preventivo, che è quella in cui le esigenze di coordinamento connesse all'inserimento dell'impresa in crisi all'interno di un gruppo risultano maggiormente avvertite nella prassi.

Ciò premesso, il fenomeno del gruppo di imprese dà luogo, in sede concorsuale, a numerosi problemi interpretativi e applicativi (amplificati dalla su accennata mancanza di un'organica disciplina di legge), a cominciare da quello attinente alla stessa ammissibilità, nell'ordinamento vigente, dell'istituto giuridico della procedura concorsuale di gruppo. Risolta (evidentemente, in senso affermativo) tale preliminare questione, si apre una serie di ulteriori problematiche, di natura sia processuale che sostanziale, che hanno dato luogo in giurisprudenza a soluzioni tutt'altro che omogenee. Sul piano processuale, si segnalano, ad esempio, le questioni di competenza territoriale che sorgono, nella fase introduttiva della procedura, allorché le imprese coinvolte nella crisi di gruppo appartengano ad ambiti territoriali diversi, oppure, nel prosieguo, i profili attinenti alla gestione della procedura (con riferimento, tra l'altro, alla necessità o meno di tenere separati gli organi delle diverse procedure o, nel concordato preventivo, di dare luogo a separate adunanze dei creditori).

Dal punto di vista sostanziale, la principale questione che occorre affrontare, al cospetto di una situazione di crisi riguardante un gruppo di imprese, è quella relativa alla derogabilità o meno della regola della separazione delle masse attive e passive facenti capo a ciascuna società del gruppo, la quale trova il suo fondamento nel principio generale sancito dall'art. 2740 c.c. L'intangibilità di quest'ultimo principio è stata generalmente ribadita dalla giurisprudenza che si è occupata della materia qui in esame; tuttavia, nell'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale non sono mancate – come si vedrà – soluzioni diverse, che hanno portato a scalfire tale dogma nell'ottica di una migliore soddisfazione del ceto creditorio.

L'ammissibilità della procedura concorsuale di gruppo

Come si è anticipato, prima di affrontare le numerose e complesse problematiche che il fenomeno del gruppo di imprese pone in sede concorsuale, occorre interrogarsi sull'ammissibilità o meno, in assenza di una disciplina positiva di legge, di una figura giuridica qualificabile come “procedura concorsuale di gruppo”. A tale quesito sembra doversi dare una risposta negativa con riferimento alla procedura fallimentare, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità secondo cui, ai fini della dichiarazione di fallimento di una società inserita in un gruppo, l'accertamento dello stato di insolvenza deve essere effettuato con esclusivo riferimento alla situazione economica della società medesima, posto che ciascuna società del gruppo conserva propria personalità giuridica ed autonoma qualità di imprenditore, rispondendo con il proprio patrimonio soltanto dei propri debiti (Cass., 18 novembre 2010, n. 23344), con esclusione, dunque, dell'applicabilità in via analogica delle disposizioni dettate, in tema di gruppo di imprese, dalla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi (artt. 80 ss. D. Lgs. n. 270/99), considerate dalla giurisprudenza di natura speciale e dunque non estendibili ad altri settori del diritto concorsuale. Tale orientamento giurisprudenziale, dunque, induce ad escludere, allo stato, la configurabilità nel nostro ordinamento di un istituto giuridico qualificabile come “fallimento di gruppo”.

Diverse considerazioni valgono invece con riferimento al concordato preventivo, posto che la giurisprudenza di merito si è generalmente espressa in senso favorevole all'ammissibilità del cd. concordato di gruppo, facendo leva, tra l'altro, sulla matrice “negoziale” dell'istituto concordatario e sul principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c.(in tal senso si vedano, ad esempio, Trib. Roma, 18 aprile 2013, in questo portale; Trib. Roma, 7 marzo 2011). Un ulteriore argomento a favore della meritevolezza dei piani e delle proposte concordatarie di gruppo è stato ravvisato, in dottrina, nella disciplina in tema di direzione e coordinamento delle società di cui agli artt. 2497 ss. c.c.; secondo un'opinione, il riconoscimento, desumibile dalla suddetta disciplina, dell'interesse di gruppo e della eterodirezione come modello organizzativo dell'impresa si tradurrebbe, in situazione di crisi, nella astratta legittimità causale di tecniche di regolazione della stessa che coinvolgano la pluralità di società che al gruppo appartengano”(così S. Poli, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l'intervento della S.C., in Fall., 2016, 2, 148)

Sennonché, tale approdo, che pareva ormai sufficientemente consolidato, è stato apparentemente rimesso in discussione dal primo (e ad oggi unico) arresto di legittimità in materia; il riferimento è alla sentenza n. 20559 del 13 ottobre 2015 della Corte di Cassazione(C. Ravina, Concordato di gruppo: inammissibile la confusione delle masse attive e passive, in questo portale), con cui la S.C., muovendo dalla constatazione che “l'ordinamento giuridico italiano, allo stato attuale della legislazione, non contempla il c.d. concordato preventivo di gruppo”,ha affermato l'improponibilità della domanda concordataria da cui aveva tratto origine la vicenda sottoposta al suo esame, avendo la stessa forzato il dato normativo – in particolare, la l. fall., art. 161, e art. 2740 c.c. – oltre i limiti che, a mezzo di una mera interpretazione ed in mancanza di una disciplina positiva del fenomeno (una legge che intenda disciplinare il concordato preventivo di gruppo dovrebbe verosimilmente occuparsi di regolarne la competenza, le forme del ricorso, la nomina degli organi, la formazione – delle classi e delle masse), esso poteva ragionevolmente tollerare”.

Tale pronuncia sembrerebbe in effetti segnare un “passo indietro” in materia (come evidenziato da C. Ravina, op. cit.), ponendosi in controtendenza rispetto all'evoluzione giurisprudenziale e, soprattutto, in contrasto con la vigente normativa comunitaria, e in particolare con il Regolamento UE 848/2015 (su cui si tornerà subito infra),il quale, nell'ambito della regolamentazione delle procedure d'insolvenza transfrontaliere, disciplina espressamenteil fenomeno dei gruppi di imprese (sia pure con norme di carattere essenzialmente programmatico); di qui l'opportunità, sottolineata da parte della dottrina, di circoscrivere gli effetti del decisum della Suprema Corte alla particolare fattispecie da essa presa in esame - caratterizzata, tra l'altro, dal deposito di un'unica domanda di concordato da parte di una s.n.c. appositamente costituita dalle società del gruppo - ferma restando la legittimità, sotto il profilo causale, del concordato di gruppo quale mezzo di regolazione della crisi che coinvolga una pluralità di società facenti parte di un unico agglomerato di imprese (conclusione a cui perviene S. Poli, op. cit., 159). Del resto, la tesi dell'inammissibilità tout court della figura giuridica del concordato di gruppo non sembra essere stata affermata neppure dalla giurisprudenza di merito successiva all'arresto di legittimità sopra richiamato. A conferma di ciò, merita di essere menzionato un recente provvedimento del Tribunale di Alessandria, il quale contiene, nella parte introduttiva della motivazione, un espresso riferimento ai principi espressi dalla Cassazione nella citata sentenza. Sennonché, i giudici alessandrini hanno poi omesso, di fatto, di prendere posizione sulla questione dell'ammissibilità o meno dell'istituto del “concordato di gruppo” sotto il profilo causale, pervenendo a negare, nel caso concreto, l'omologa del concordato preventivo di due società, una delle quali deteneva una partecipazione totalitaria nell'altra, per ragioni di merito connesse, tra l'altro, alla ritenuta inattuabilità del piano concordatario e alla violazione del principio (su cui si tornerà infra) della separazione delle masse attive e passive delle società coinvolte (Trib. Alessandria, 31 marzo 2016); il che, tuttavia, non sembra implicare di per sé un giudizio negativo in ordine all'astratta proponibilità di una domanda concordataria “di gruppo”.

In evidenza: il Regolamento UE 848/2015

La crisi di gruppo è specificamente disciplinata dal Regolamento UE 848/2015 in materia di procedure di insolvenza transfrontaliera, che diverrà applicabile (fatta eccezione per alcune norme espressamente indicate) a partire dal 26 giugno 2017. Detto regolamento, che sostituisce il previgente Regolamento CE n. 1346/2000, il quale non dettava norme specifiche in materia di insolvenza dei gruppi societari multinazionali, definisce il gruppo di società come un'impresa madre e tutte le sue imprese figlie” (art. 2, n. 13), intendendosi per “impresa madre” quella “che controlla, direttamente o indirettamente, una o più imprese figlie. Un'impresa che redige un bilancio consolidato conformemente alla Direttiva 2013/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio è considerata quale impresa madre” (art. 2, n. 14). Ciò posto, i principi dettati dal Regolamento in tema di insolvenza di gruppo, inseriti nel capo V del medesimo regolamento e aventi (come si è anticipato supra) natura essenzialmente programmatica, possono essere così riassunti:

  • previsione di forme di collaborazione e comunicazione fra gli amministratori delle procedure di insolvenza aperte in diversi Stati membri e riguardanti due o più società facenti parte dello stesso gruppo (art. 56), fra i giudici dinanzi ai quali pendono le singole procedure (art. 57), fra gli amministratori e i giudici coinvolti nelle suddette procedure (art. 58) e, infine, fra gli amministratori e il coordinatore di gruppo (di cui si dirà subito infra) (art. 74), nei limiti della compatibilità con le norme applicabili a ciascuna singola procedura;
  • possibilità, per l'amministratore della procedura di insolvenza relativa a una società facente parte di un gruppo di imprese (i) di chiedere la sospensione della liquidazione dell'attivo nella procedura aperta nei confronti di un'altra società dello stesso gruppo, alle condizioni indicate all'art. 60, n. 1, lett. b (ii) di chiedere l'apertura di una procedura di coordinamento di gruppo ai sensi dell'art. 61, con nomina di un coordinatore di gruppo e predisposizione di un piano di coordinamento di gruppo (iii) di aderire successivamente alla procedura di coordinamento di gruppo, alle condizioni e secondo le modalità indicate all'art. 69;
  • attribuzione della giurisdizione in materia di procedure di coordinamento di gruppo, alternativamente, al Giudice “competente” (sulla base del criterio del center of main interest) per ciascuna società del gruppo (art. 61) e risoluzione dei conflitti fra i giudici di diversi stati membri, dinanzi ai quali sia stata chiesta l'apertura di una procedura di coordinamento di gruppo, sulla base del criterio della priorità temporale (art. 62), fatta salva la facoltà degli amministratori delle procedure coinvolte di attribuire a maggioranza la relativa competenza al giudice di un altro Stato membro (art. 66).

Per una più analitica disamina della disciplina introdotta dal Regolamento in oggetto si rinvia a S. Bariatti – G. Corno, Il Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza (rifusione). Una prima lettura, in questo portale.

La fase introduttiva della procedura concorsuale di gruppo: profili processuali, presupposti di accesso e questioni di competenza territoriale

Una volta ritenuto ammissibile, alla luce della normativa vigente, il ricorso a una procedura concorsuale di gruppo, occorre affrontare, anzitutto, alcune questioni preliminari di natura processuale, attinenti, in particolare, alle modalità introduttive della procedura, ai presupposti di accesso alla stessa e all'individuazione del giudice territorialmente competente allorché le imprese del gruppo appartengano ad ambiti territoriali diversi; questioni che, ancora una volta, sono state oggetto di un'intensa elaborazione giurisprudenziale soprattutto in materia di concordato preventivo.

Sotto il primo profilo, secondo parte della giurisprudenza, l'ammissione alla procedura concordataria di gruppo deve essere chiesta mediante tanti ricorsi quante sono le società del gruppo; in tal senso, si segnala, tra le altre, Trib. Asti, 24 settembre 2012 (analogo principio è stato affermato, in materia di accordi di ristrutturazione, Trib. Monza, 26 maggio 2011); nel caso esaminato da Trib. Ferrara, 8 aprile 2014 (C. Ravina, Il concordato di gruppo: presupposti di ammissibilità e fusione, in questo portale) è stata invece sottoposta ai creditori un'unica proposta concordataria (fondata, come si vedrà, sulla fusione societaria sospensivamente condizionata all'omologa del concordato), ferma restando la presentazione di un autonomo ricorso da parte di ciascuna società del gruppo. Nel senso dell'ammissibilità della proposizione di un unico ricorso (soluzione, quest'ultima, accolta anche nel cd. “progetto Rordorf”, su cui si tornerà infra) si sono invece espressi, tra gli altri: Trib. Terni, 29 dicembre 2010; Trib. Roma, 7 marzo 2011; Trib. Monza, 24 aprile 2012; Trib. Palermo, 4 giugno 2014 (sulla possibilità, per le società facenti parte di un gruppo di imprese, di sottoporre ai creditori un piano di riorganizzazione unitario, cfr. Trib. Milano, 19 giugno 2009).

Per quanto concerne il piano concordatario, all'opinione dottrinale secondo cui l'accesso al concordato preventivo di una pluralità di società facenti parte del medesimo gruppo richiederebbe l'elaborazione di tanti piani quante sono le singole unità giuridiche coinvolte (espressa, tra gli altri, da D. Galletti, op. cit.;G.U. Tedeschi, Manuale del nuovo diritto fallimentare, Padova 2006, 537; L. Panzani, Soggetti e presupposto oggettivo, in Fall., 2006, 1012) si contrappone quella che riconosce l'ammissibilità di una domanda presentata da tutte le società del gruppo e articolata su un unico programma di ristrutturazione (in tal senso, si vedano: F. Lamanna, La “crisi” nel gruppo d'imprese: breve report sull'attuale stato dell'arte, in questo portale; M. Vitiello, Il concordato preventivo “di gruppo”, in questo portale, il quale, tuttavia, ribadisce la necessità “che le proposte ai creditori, intesi come singole masse corrispondenti alla singola società debitrice, debbano essere distinte; F. Di Marzio, Impresa di gruppo e procedure concorsuali, in questo portale). A giudizio di chi scrive, la seconda tesi appare senz'altro preferibile, quanto meno in quei casi in cui la proposizione di una proposta e di un piano unitari favorisca la migliore soddisfazione dei creditori; il che può verificarsi, ad esempio (come giustamente osservato da Lamanna, op. cit.), in presenza di obbligazioni gravanti in solido su una pluralità di società del gruppo, posto che, in tali casi, la formulazione di una proposta unitaria consentirebbe di conteggiare una sola volta i debiti comuni, incrementando così, anche tramite il ricorso ad apporti finanziari infragruppo, le chances di soddisfazione integrale dei creditori sia comuni che personali di ciascuna società. Da ultimo, è opportuno rammentare che l'art. 4 bis, comma 4, D.L. n. 247/2003, convertito nella L. n. 39/2004 (cd. “legge Marzano”) prevede espressamente, nell'ambito dell'amministrazione straordinaria, la possibilità di formulare un'unica proposta di concordato per le diverse società del gruppo, ferma restando l'autonomia delle rispettive masse attive e passive (soluzione, quest'ultima, ritenuta applicabile in via analogica anche alle procedure di concordatarie da F. Lamanna, op. cit.).

Per quanto attiene ai presupposti di accesso, si ritiene che i requisiti per l'ammissione alla procedura debbano essere vagliati separatamente con riferimento a ciascuna delle società del gruppo, con la conseguenza, ad esempio, che deve ritenersi inammissibile il coinvolgimento nella procedura concordataria di gruppo delle società che non versino in stato di crisi o che non abbiano le caratteristiche e i parametri dimensionali previsti dall'art. 1 l. fall. (in tal senso, si vedano: Trib. Roma, 18 aprile 2013; Trib. Roma, 16 ottobre 2013; Trib. Ferrara, 8 aprile 2014, cit.; Trib. Ravenna, 22 maggio 2014; Trib. La Spezia, 20 marzo 2013; contra, Trib. Terni, 29 dicembre 2010, cit., e Trib. Palermo, 4 giugno 2014, cit.); il medesimo principio è stato affermato anche in materia di accordi di ristrutturazione di gruppo dalla già citata Trib. Monza, 26 maggio 2011.

Venendo alle questioni di competenza territoriale, costituisce principio pacifico che la competenza ad accertare lo stato di insolvenza appartiene al tribunale del luogo in cui la singola impresa ha la sede principale, ossia il luogo in cui si trova il centro direttivo ed amministrativo degli affari dell'impresa (non coincidente, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, con il luogo di ubicazione dei fattori di produzione e, in particolare, degli stabilimenti industriali), senza che a tale criterio possa derogarsi per ragioni di connessione con altre procedure relative ad altre società facenti parte del medesimo gruppo; in tal senso si è espressa in più occasioni la Suprema Corte (cfr. Cass., 13 ottobre 2015, n. 20559, cit., Cass., ord. 31 agosto 2011, n. 17907; Cass., 18 novembre 2010, n. 23344; nel medesimo senso si veda anche Trib. Roma, 16 ottobre 2013, cit.). Sennonché, la giurisprudenza di merito, nell'intento di agevolare la gestione unitaria delle procedure riguardanti una pluralità di società inserite nel medesimo gruppo (esigenza che, evidentemente, risulterebbe frustrata dalla pendenza delle procedure stesse davanti a tribunali diversi), ha in più occasioni superato la rigidità del principio sopra richiamato facendo ricorso al criterio della sede effettiva: si è ritenuto cioè che la presunzione di coincidenza della “sede principale dell'impresa” ex artt. 9, comma 1, 161, comma 1 e 195, comma 1, l. fall. con la sede legale della società, risultante dalle iscrizioni eseguite nel Registro delle imprese, possa essere vinta in presenza di indici (individuati dalla giurisprudenza facendo riferimento, generalmente, al luogo in cui sono ubicati gli uffici amministrativi e gestionali o comunque in cui sono state assunte le decisioni più importanti relative alla gestione sociale) che consentano di collocare la sede effettiva dell'impresa in un ambito territoriale diverso; risulta così possibile attrarre in capo al giudice del luogo in cui ha sede una società del gruppo (generalmente la capogruppo) la competenza a conoscere delle domande concordatarie presentate da tutte le società del gruppo stesso, ancorché alcune di esse abbiano la propria sede legale nell'ambito della circoscrizione di un diverso tribunale (per un esempio paradigmatico di tale operazione ermeneutica, si veda Trib. Roma, 18 aprile 2013, cit.; a conclusioni analoghe sono pervenuti, tra gli altri, Trib. Asti, 24 settembre 2012, cit.; Trib. Roma, 14 novembre 2012; rilievi critici a tale soluzione sono stati formulati da D. Galletti, Concordato preventivo e gruppi di imprese: cessione e diversione di beni, e attestazioni condizionate, nota a Trib. Roma, 25 luglio 2012). In materia di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, la questione è disciplinata ex professo dall'art. 3, comma 3, D. L. n. 347/03, che attribuisce la competenza territoriale al tribunale competente in relazione alla cd. procedura “madre”.

Lo svolgimento della procedura: profili processuali

La gestione di una procedura concorsuale di gruppo pone una serie di problematiche di natura processuale, ma non prive di significative ripercussioni anche sul piano sostanziale, connesse, in primo luogo, alla necessità o meno di nominare distinti organi per ciascuna procedura relativa a ogni singola società del gruppo e, per quanto concerne il concordato preventivo, di dare luogo a separate adunanze dei creditori (questioni che vengono generalmente trattate sotto la denominazione di procedural consolidation).

Il primo aspetto trova un'espressa regolamentazione unicamente nella disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, e precisamente nell'art. 85, comma 1, D. Lgs. n. 270/99, il quale prevede che alla procedura relativa all'impresa del gruppo vengano preposti i medesimi organi nominati per la procedura madre. In materia di concordato preventivo, la già richiamata esigenza di assicurare una gestione unitaria delle procedure relative alle diverse società del gruppo ha frequentemente spinto i Tribunali a procedere alla nomina dei medesimi organi (commissario e giudice delegato) per tutte le procedure coinvolte (in tal senso, cfr., ad esempio, Trib. Roma, 7 marzo 2011, cit., Trib. Roma, 25 luglio 2012, cit. e Trib. Roma, 18 aprile 2013); tale soluzione, tuttavia, è stata talora criticata in quanto potenzialmente idonea a generare conflitti di interessi (il problema è stato evidenziato, tra gli altri, da D. Galletti, op. cit.). In tale ottica, può risultare efficiente la prassi seguita dal Tribunale di Milano nella gestione delle procedure fallimentari delle società facenti parte di un gruppo di imprese, che prevede l'autonoma e separata nomina di curatori e giudici delegati per ciascuna società del gruppo, con contestuale nomina, da parte del Presidente, di un G.D. coordinatore delle varie procedure (al riguardo, si rinvia a Lamanna, op. cit.).

Per quanto riguarda invece l'adunanza dei creditori nell'ambito delle procedure concordatarie di gruppo, la giurisprudenza ha adottato soluzioni piuttosto eterogenee, modellate sulle caratteristiche delle singole fattispecie concrete; ad esempio, Trib. Roma, 7 marzo 2011, cit. ha prescritto, pur nell'ambito di un'unica adunanza dei creditori, la tenuta di “singole votazioni” e “separate deliberazioni”, mentre in altri casi è stata affermata la necessità di dare luogo a distinte adunanze e distinte votazioni (così, ad esempio, Trib. Roma, 25 luglio 2012, cit.; Trib. Asti, 24 settembre 2012, cit.); la soluzione opposta, con svolgimento di un'unica adunanza e computo unitario della maggioranza, è stata invece adottata da Trib. Terni, 29 dicembre 2010, e da Trib. Palermo, 4 giugno 2014, cit. In dottrina, è stata sottolineata la necessità che, pur nell'ambito di un'unica adunanza dei creditori, la votazione tenga distinti gli stati passivi delle singole società in concordato e le masse dei creditori ai fini del calcolo delle maggioranzenecessarie per l'approvazione (M. Vitiello, op. cit.).

In presenza di una pluralità di procedure concorsuali inerenti a imprese facenti parte dello stesso gruppo si pone poi il problema dell'idoneità delle vicende (quali, ad esempio, l'inammissibilità originaria della domanda, la revoca del decreto di ammissione, la mancata approvazione della proposta concordataria, il diniego di omologa, l'annullamento o la risoluzione del concordato, etc.) che coinvolgono ciascuna singola procedura a propagare i propri effetti anche sulle altre procedure collegate. In materia, la giurisprudenza ha talora affermato, in tema di concordato preventivo, il cd. principio simul stabunt simul cadent, in forza del quale l'eventuale mancata omologazione del concordato anche per una sola delle società del gruppo impedirebbe detta omologazione anche per le altre società (in tal senso, si vedano Trib. Ravenna, 22 maggio 2014, cit.; Trib. Roma, 18 aprile 2013, cit.; contra, Trib. Terni, 19 maggio 1997; Trib. Crotone, 28 maggio 1999), mentre in dottrina è stata evidenziata l'opportunità di regolamentare le interazioni tra le varie procedure nell'ambito della proposta concordataria di gruppo (cfr. S. Poli, op. cit., 153), fermo restando che, in presenza di un piano concordatario unitario, la mancata approvazione da parte dei creditori di una delle società coinvolte è destinata a comportare pressoché inevitabilmente l'impossibilità di attuazione del piano stesso.

(Segue) profili sostanziali

Come si è anticipato, sotto il profilo sostanziale la principale questione che si pone in presenza di una procedura concorsuale di gruppo è quella dell'ammissibilità o meno della cd. substantive consolidation, vale a dire della commistione delle masse attive e passive delle diverse società coinvolte. Come si è detto, sul punto la giurisprudenza si è generalmente espressa in senso negativo, in ossequio al principio generale della responsabilità patrimoniale di cui all'art. 2740 c.c.(cfr., in tal senso: Trib. Roma, 25 luglio 2012, in questo portale; Trib. Asti, 24 settembre 2012, cit.; App. Roma, 5 marzo 2013; Trib. Roma, 18 aprile 2013, cit.; Trib. Alessandria, 31 marzo 2016, cit.); non sono mancate però pronunce di segno contrario, che hanno ritenuto ammissibile la commistione delle masse, generalmente solo dal lato attivo (così, ad esempio, Trib. Terni, 30 dicembre 2010, cit.; Trib. Benevento, 18 gennaio 2012; per un'ipotesi di deroga al principio della separazione delle masse anche dal lato passivo, si veda Trib. Palermo, 4 giugno 2014, cit.), nell'ottica di consentire una migliore soddisfazione del ceto creditorio. A sostegno di quest'ultima tesi è stata talora invocata la disciplina dei cd. vantaggi compensativi di cui all'art. 2497 c.c., la cui portata, secondo l'orientamento in parola, non dovrebbe ritenersi limitata al profilo sanzionatorio connesso alla responsabilità della società capogruppo e/o dei suoi amministratori nei confronti dei soci e dei creditori delle società controllate, dovendo invece intendersi la norma de qua come espressione di un principio generale di organizzazione e di governance delle società appartenenti a un gruppo; di qui l'ammissibilità di forme di substantive consolidation nei concordati di gruppo, a condizione che la singola società che “cede” attivo alle altre trovi un adeguato bilanciamento, un vantaggio compensativo, nella partecipazione al piano di gruppo” (così S. Poli, op. cit., 156; contra, nel senso dell'inapplicabilità in materia di responsabilità patrimoniale del principio di cui all'art. 2497 c.c., dettato in tema di responsabilità civile, D. Galletti, op. cit.). Un ulteriore argomento a favore della possibile commistione delle masse attive nell'ambito delle procedure concorsuali di gruppo è stato ravvisato nella legittimità, affermata da alcune pronunce giurisprudenziali dopo l'entrata in vigore dell'art. 186-bis l. fall., della devoluzione parziale del patrimonio da parte dell'impresa che proponga un concordato con continuità aziendale, in deroga al principio generale di cui all'art. 2740 c.c. (cfr. Trib. Roma, 25 luglio 2012; App. Roma, 5 marzo 2013, cit.; sul tema si vedano anche, in dottrina: D. Galletti, op. cit.; M. Vitiello, op. cit.;e N. Bottero, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con cessione parziale dei beni, su questo portale). Tali suggerimenti, tuttavia, non sembrano essere stati raccolti dalla Suprema Corte, la quale ha invece riaffermato, nella citata sentenza n. 20559/15, il dogma della separazione delle masse attive e passive proprio sulla scorta del principio generale sopra richiamato (ribadito anche nel “progetto Rordorf”, su cui si tornerà infra). In ogni caso, appare senz'altro condivisibile la tesi secondo cui tale principio non osta alla liquidazione unitaria dell'attivo, ad esempio mediante la vendita congiunta dei beni delle differenti società del gruppo, laddove ciò risponda all'esigenza di assicurare all'intero ceto creditorio un trattamento migliore (così D. Galletti, sub art. 160 l. fall., in Commentario alla legge fallimentare, C. Cavallini (diretto da), Milano 2010, 380).

Nel tentativo di superare il rigore del principio della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c., in più di un'occasione si è fatto ricorso a operazioni straordinarie ai sensi dell'art. 160, comma 1, lett. a), l. fall., e in particolare alla costituzione di una nuova società ad hoc, nella quale vengono conferiti i patrimoni delle diverse società facenti parte del gruppo,e alla successiva proposizione, da parte di detta società, di una domanda concordataria formalmente unitaria, al fine di consentire alle società del gruppo di godere dell'effetto esdebitatorio ex art. 184, comma 2, l. fall., come è avvenuto, ad esempio, proprio nel caso esaminato dalla Cassazione nella citata sentenza n. 20559/15 (nonché, in precedenza, da Trib. Palermo, 4 giugno 2014, cit.). Sennonché, la Suprema Corte ha ritenuto inammissibile tale soluzione, rilevando (conformemente a quanto affermato in altri precedenti di legittimità richiamati nella medesima sentenza) come il suddetto effetto esdebitatorio possa riguardare unicamente i debiti sociali e non quelli personali, che restano in capo alle singole società conferenti. Diversa è invece la fattispecie affrontata da Trib. Monza, 24 aprile 2012 e da Trib. Ferrara, 8 aprile 2014, cit., in cui l'operazione societaria era stata prevista nel piano concordatario e sospensivamente condizionata all'omologa del concordato, con l'effetto di consentire, una volta acquisito il voto favorevole dei creditori delle singole società coinvolte, la liquidazione unitaria dell'attivo a favore dei creditori stessi.

In evidenza: il “progetto Rordorf”

Il fenomeno dell'insolvenza di gruppo trova una specifica regolamentazione nell'ambito del disegno di legge delega n. 3671 recante Delega al Governo per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”, elaborato dalla Commissione ministeriale istituita dal ministro della Giustizia con decreto del 28 gennaio 2015 (e successive integrazioni), e presentato alla Camera l'11 marzo 2016, noto come “progetto Rordorf”. La disciplina dei gruppi di imprese è contenuta, più precisamente, nell'art. 3 del testo in questione, il quale prevede, preliminarmente, l'introduzione (i) di una definizione di gruppo di imprese “modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli articoli 2497 e seguenti nonché di cui all'art. 2545-septiesdel codice civile, corredata dalla presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile” (art. 3, comma 1, lett. a) (ii) di specifici obblighi dichiarativi a carico delle imprese appartenenti a un gruppo, nonché dell'obbligo, in capo alle stesse, di depositare il bilancio consolidato di gruppo, ove redatto, “a scopo di informazione sui legami di gruppo esistenti, in vista del loro assoggettamento a procedure concorsuali” (art. 3, comma 1, lett. b).

Ciò premesso, il “progetto Rordorf” prevede, tra l'altro, la facoltà per le imprese di gruppo in crisi o insolventi sottoposte alla giurisdizione dello Stato italianodi proporre con un unico ricorso domanda di omologazione di un accordo unitario di ristrutturazione dei debiti, di ammissione al concordato preventivo o di liquidazione giudiziale, ferma restando in ogni caso l'autonomia delle rispettive masse attive e passive, con predeterminazione del criterio attributivo della competenza, ai fini della gestione unitaria delle rispettive procedure concorsuali, ove le imprese abbiano la propria sede in circoscrizioni giudiziarie diverse” (art. 3, comma 1, lett. d). Sono inoltre previsti, in presenza di separate procedure concorsuali riguardanti imprese dello stesso gruppo, obblighi reciproci di informazione e di collaborazione fra gli organi di gestione delle diverse procedure (art. 3, comma 1, lett. e), nonché la “postergazione del rimborso dei crediti di società o imprese appartenenti allo stesso gruppo, in presenza dei presupposti di cui all'articolo 2467 del codice civile, salve deroghe dirette a favorire l'erogazione di finanziamenti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti(art. 3, comma 1, lett. f).

Con specifico riferimento alla procedura di concordato preventivo di gruppo, il testo prevede, tra l'altro: (i) la nomina di un unico giudice delegato e di un unico commissario giudiziale (ii) la contemporanea e separata votazione dei creditori di ciascuna impresa (iii) la formulazione di un piano unitariodi risoluzione della crisi di gruppo (art. 3, comma 2). Il terzo comma dell'art. 3, infine, disciplina la liquidazione giudiziale (destinata, nel disegno riformatore, a sostituire la vecchia procedura fallimentare) di gruppo, prevedendo tra l'altro la nomina di un unico giudice delegato e di un unico curatore, ma di distinti comitati dei creditori per ciascuna impresa del gruppo. L'art. 3, comma 3, lett. c) prevede inoltre, nell'ambito della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo, l'attribuzione al curatore di una serie di prerogative dirette ad assicurare una più efficace tutela del ceto creditorio, tra cui il potere di impugnare le operazioni infragruppo compiute in frode ai creditori in epoca antecedente all'accertamento dello stato di insolvenza, di esercitare le azioni di responsabilità di cui all'art. 2497 c.c. e di denunciare le gravi irregolarità commesse dagli organi di amministrazione delle società del gruppo non assoggettate alla procedura concorsuale.

Occorre infine dare atto dell'avvenuta presentazione di un separato disegno di legge (n. 3671 ter), finalizzato a regolamentare, nell'ambito del complessivo disegno riformatore delineato dal “progetto Rordorf”, la procedura di amministrazione straordinaria diretta alla regolazione dell'insolvenza di singole imprese ovvero, alle condizioni indicate dall'art. 81 D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, di gruppi di imprese che, in ragione della loro notevole dimensione, assumano un rilievo economico-sociale di carattere generale, anche sotto il profilo della tutela occupazionale(art. 15, lett. a). Con specifico riferimento ai gruppi di imprese, detto disegno di legge si limita a prevedere l'estensione all'amministrazione straordinaria dei principi e criteri direttivi dettati dall'art. 3 sopra esaminato in materia di concordato preventivo e liquidazione giudiziale (art. 15, lett. p).

Per una panoramica della principali novità apportate dal “progetto Rordorf” si rinvia a F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf e A. Fittante, Il ddl delega della Commissione Rordorf: una riforma organica della crisi di impresa, entrambi su questo portale.

Riepilogo degli orientamenti giurisprudenziali e brevi considerazioni conclusive

I più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di concordato di gruppo possono essere sintetizzati (rinviando, per un'approfondita analisi delle linee evolutive seguite dalla giurisprudenza in materia, a C. Ravina, op. cit. e S. Poli, op. cit.) nello schema che segue:

Unicità del ricorso, della proposta e del piano concordatario

Pluralità di ricorsi

Unica adunanza dei creditori

Separate adunanze dei creditori

Separazione delle masse attive e passive

Commistione delle masse attive e passive

  • Trib. Terni, 30 dicembre 2010;
  • Trib. Roma, 7 marzo 2011;
  • Trib. Monza, 24 aprile 2012;
  • Trib. Palermo, 4 giugno 2014.
  • Trib. Asti, 24 settembre 2012;
  • Trib. Roma, 18 aprile 2013;
  • Trib. Ferrara, 8 aprile 2014 (ma con unica proposta concordataria).

  • Trib. Terni, 30 dicembre 2010;
  • Trib. Roma, 7 marzo 2011 (ma distinte votazioni);
  • Trib. Roma, 25 luglio 2012;
  • Trib. Asti, 24 settembre 2012;
  • App. Roma, 5 marzo 2013;
  • Trib. Ferrara, 8 aprile 2014 (ma con separate votazioni);
  • Trib. Palermo, 4 giugno 2014.
  • Trib. Monza, 24 aprile 2012;
  • Trib. Roma, 18 aprile 2013.

  • Trib. Roma, 7 marzo 2011;
  • Trib. Benevento, 18 gennaio 2012;
  • Trib. Monza, 24 aprile 2012;
  • Trib. Roma, 25 luglio 2012;
  • Trib. Asti, 24 settembre 2012;
  • Trib. Roma, 18 aprile 2013;
  • App. Roma, 5 marzo 2013;
  • Trib. Ravenna, 22 maggio 2014;
  • Cass. Civ., 13 ottobre 2015, n. 20559;
  • Trib. Alessandria, 31 marzo 2016.
  • Trib. Terni, 30 dicembre 2010;
  • Trib. Benevento, 18 gennaio 2012;
  • Trib. Palermo, 4 giugno 2014.

L'estrema varietà delle soluzioni prospettate dalla giurisprudenza con riferimento alle problematiche sostanziali e procedurali sopra trattate induce a concludere che non sia possibile, nei fatti, individuare un modello unitario di gestione della crisi di gruppo, valido a priori per tutte le fattispecie che emergono nella prassi applicativa. Pare dunque opportuno, in attesa dell'entrata in vigore di una disciplina organica della materia, adottare la soluzione che, di volta in volta, appare più adeguata in relazione alle caratteristiche della singola fattispecie concreta, enfatizzando, in ultima analisi (con particolare riferimento, s'intende, alla procedura concordataria), il ruolo dei creditori quali “arbitri” dell'idoneità o meno del modello prescelto a consentire una più efficace tutela delle loro ragioni.

Riferimenti

Normativi

  • Artt. 80 ss D. Lgs. n. 270/99;
  • D.L. n. 347/2003;
  • art. 1322, 2359, 2467, 2497, 2545- septies, 2740 c.c.;
  • art. 9, 160, 161, 186- bis, 195 l. fall.;
  • Regolamento UE n. 848/2015.

Giurisprudenza

  • Cass., 13 ottobre 2015, n. 20559;
  • Cass., 31 agosto 2011, n. 17907;
  • Cass., 18 novembre 2010, n. 23344 ;
  • Trib. Roma, 7 marzo 2011;
  • Trib. Roma, 18 aprile 2013;
  • Trib. Roma, 25 luglio 2012;
  • Trib. Asti, 24 settembre 2012;
  • Trib. Monza, 24 aprile 2012;
  • Trib. Benevento, 18 gennaio 2012;
  • Trib. Palermo, 4 giugno 2014;
  • Trib. Ferrara, 8 aprile 2014;
  • Trib. Ravenna, 22 maggio 2014;
  • Trib. Ferrara, 8 aprile 2014;
  • Trib. Alessandria, 31 marzo 2016.

Dottrina

  • C. Ravina, Concordato di gruppo: inammissibile la confusione delle masse attive e passive;
  • S. Bariatti – G. Corno, Il Regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015 relativo alle procedure di insolvenza (rifusione). Una prima lettura;
  • F. Lamanna, La “crisi” nel gruppo d'imprese: breve report sull'attuale stato dell'arte;
  • M. Vitiello, Il concordato preventivo “di gruppo”;
  • F. Di Marzio, Impresa di gruppo e procedure concorsuali;
  • D. Galletti, Concordato preventivo e gruppi di imprese: cessione e diversione di beni, e attestazioni condizionate;
  • N. Bottero, Condizioni di ammissibilità della proposta concordataria e concordato con cessione parziale dei beni;
  • F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf;
  • A. Fittante, Il ddl delega della Commissione Rordorf: una riforma organica della crisi di impresa.
Sommario