Chiara Ravina
05 Giugno 2020

La nozione di fattibilità del concordato preventivo è stata oggetto del noto arresto delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 1521/2013) chiamate a risolvere il contrasto interpretativo sorto all'interno della Prima Sezione sui limiti del potere del Tribunale in ordine alla fattibilità del piano di concordato preventivo.

Inquadramento

Avvertenza – Bussola in aggiornamento.  

La nozione di fattibilità del concordato preventivo è stata oggetto del noto arresto delle Sezioni unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 1521/2013) chiamate a risolvere il contrasto interpretativo sorto all'interno della Prima Sezione sui limiti del potere del Tribunale in ordine alla fattibilità del piano di concordato preventivo.

Nell'offrire una soluzione a tale contrasto, le Sezioni unite hanno enucleato la distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” del concordato. La prima nozione si riferisce alla “compatibilità delle modalità di attuazione del piano con norme inderogabili”, mentre la seconda consiste nella “prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati”.

Autorevole dottrina ha mosso critiche a questa distinzione rilevando come la stessa, da un lato, non trovi alcun fondamento nei principi generali dell'ordinamento giuridico e, dall'altro lato, sia ambigua e crei confusione (con particolare riguardo alla sovrapposizione tra le nozioni di “fattibilità economica” e “convenienza”). Inoltre la medesima dottrina sottolinea come, in varie fasi del procedimento, il tribunale svolga controlli di merito “diretti” (non cioè sui contenuti dell'attestazione) (tra questi, la richiesta di integrazioni nell'ambito del giudizio di ammissibilità ex art. 162 l. fall.; la concessione di autorizzazione a contrarre finanziamenti urgenti ex art. 182 quinquies l. fall.).

La giurisprudenza successiva all'arresto delle Sezioni Unite si è non dimeno conformata al dictum della Suprema Corte, replicandone in maniera quasi pedissequa e letterale i contenuti.

Tuttavia, a seguito della recente introduzione, ad opera del D.l. n. 83/2015 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 132/2015, della previsione dell'art. 160, co. 4, l. fall. secondo cui “La proposta di concordato [liquidatorio] deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”, la giurisprudenza e la dottrina si sono domandate se l'idoneità della proposta a garantire il pagamento del 20% delle esposizioni chirografarie - che indubbiamente il Tribunale deve valutare, trattandosi di un requisito di ammissibilità - ponga un vero e proprio obbligo del debitore e, dunque, incida sulla fattibilità della proposta. Volendo aderire – come sembra inevitabile - a questa impostazione, viene a delinearsi un'ipotesi, espressamente prevista dal legislatore, in cui il Tribunale è chiamato a svolgere un sindacato sulla fattibilità “economica” del concordato.

Che cosa si intende per “fattibilità” del concordato preventivo?

Preliminarmente all'analisi delle posizioni principali assunte dalla giurisprudenza e dalla dottrina sul tema della “fattibilità” del concordato preventivo e sull'ampiezza del sindacato del Tribunale nel valutarla, occorre partire dalla definizione di “fattibilità” che emerge sia dagli arresti giurisprudenziali sia dai contributi dei vari Autori che hanno trattato questo tema.

Al riguardo, occorre chiedersi, innanzitutto, se la fattibilità vada riferita alla “proposta” ovvero al “piano” di concordato. A tale proposito, ricordiamo che la proposta di concordato è la proposta negoziale che il debitore formula ai suoi creditori circa il soddisfacimento, entro una certa percentuale, delle rispettive ragioni creditorie; in altri termini è l'impegno che il debitore si assume nei confronti dei propri creditori. La proposta, a sua volta, si fonda sul piano di concordato, ovverosia lo strumento operativo ed organizzativo attraverso cui la proposta viene attuata; si tratta di profili diversi, seppur strettamente interconnessi (cfr. ex multis M. Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, vol. II, Concordato preventivo, Bologna, 2014, 165 ss. e dottrina ivi citata).

Orbene, la stretta connessione tra proposta e piano fa sì che la “fattibilità” del concordato preventivo sia definibile come “fattibilità del piano di concordato” nel senso di prognosi sull'idoneità del piano a consentire l'adempimento della proposta di concordato (così M. Fabiani, Fallimento e concordato preventivo, cit., 566; A. Patti, La fattibilità del piano nel concordato preventivo tra attestazione dell'esperto e sindacato del tribunale, in Fall. 2012, 46).

L'arresto delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 23 gennaio 2013 n. 1521) – chiamate a risolvere il contrasto interpretativo sorto all'interno della Prima Sezione sui limiti del potere del Tribunale in ordine alla fattibilità del piano di concordato preventivo – ha introdotto la distinzione (fatta propria, come vedremo, dalla giurisprudenza successiva) tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” del concordato, circoscrivendo il sindacato dal Tribunale alla prima e lasciando ai creditori la valutazione sulla seconda.

Rinviando al par. 2 per i contenuti di questo arresto, per il contrasto giurisprudenziale che lo ha preceduto e per le considerazioni critiche della migliore dottrina sull'ambiguità della distinzione introdotta, diamo atto qui di seguito su come i concetti, rispettivamente, di fattibilità giuridica e fattibilità economica siano stati declinati dalle Sezioni Unite nel citato arresto e dalla giurisprudenza successiva.

In particolare, il concetto di fattibilità giuridica evoca il tema dell'impossibilità dell'attuazione del piano e/o della proposta concordatari per contrasto dei relativi contenuti con norme imperative; o, in alternativa l'inidoneità del piano medesimo a consentire il superamento della crisi di impresa ed a garantire un minimo soddisfacimento dei creditori chirografari (c.d. “causa concreta”, su cui amplius infra). Sul punto le Sezioni Unite affermano: “Orbene se non è dubbio che spetti al giudice verificare la fattibilità giuridica del concordato e quindi esprimere un giudizio negativo in ordine all'ammissibilità quando modalità attuative risultino incompatibili con norme inderogabili”).

La giurisprudenza di legittimità successiva, in applicazione di quanto sancito dalle Sezioni Unite, ha costantemente ribadito che la fattibilità giuridica della proposta implica un giudizio in ordine alla “compatibilità delle modalità di attuazione del piano con norme inderogabili e con la causa concreta dell'accordo avente le suesposte finalità[superamento della crisi ndr]” (così ex multis, Cass. 4 luglio 2014, n. 15345, Cass. 17 ottobre 2014, n. 22045; Cass. 30 aprile 2014, n. 9541) e che la fattibilità giuridica del piano va intesa come “compatibilità delle modalità di attuazione delle proposte con le norme giuridiche vigenti, … la cui mancanza, comportando l'impossibilità di dare esecuzione alla proposta, può e deve essere rilevata ex officio dal Giudice” (così da ultimo, Cass. 29 gennaio 2015, n. 1726, in questo portale). Analoga definizione di fattibilità giuridica – come non contrarietà del piano, della proposta e dei rispettivi atti attuativi a norme imperative - si rinviene nella giurisprudenza di merito (cfr. ex multis, Corte d'Appello Catania, 20 aprile 2015, n. 654, in questo portale, secondo cui “il perimetro valutativo riservato al Tribunale in punto di ammissibilità del concordato preventivo è circoscritto alla verifica della contrarietà a norme imperative delle modalità di attuazione del piano concordatario”; Tribunale Siena, 20 febbraio 2015 (in questo portale, con nota di Trentini), che definisce la fattibilità giuridica come “non incompatibilità del piano con norme inderogabili”; Tribunale Prato, 30 aprile 2014 (decr.)).

Come osservato da autorevole dottrina, il sindacato del tribunale sulla fattibilità giuridica è, di fatto, un sindacato sull'ammissibilità della proposta di concordato; è infatti nell'ambito del giudizio di ammissibilità che il Tribunale valuta per l'appunto se il piano e o la proposta siano o meno compatibili con l'impianto normativo che regola il concordato preventivo e, in generale, con i principi generali dell'ordinamento (così F. Lamanna, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare», in Ilfallimentarista, 2013; Galletti, I molteplici equivoci di una formula giuridica ambigua e, forse inutile: la fattibilità economica e giuridica, ivi, 14 gennaio 2016).

Secondo un'ulteriore precisazione della dottrina, il controllo del Tribunale sulla fattibilità giuridica del concordato va interpretato in maniera comunque più ampia, intendendosi tale controllo come non strettamente limitato alla violazione di norme inderogabili, ma esteso a tutti i profili strettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione della proposta. Ciò significa che è rimessa al Tribunale la risoluzione di ogni questione di fattibilità dipendente dalla corretta o quantomeno non manifestamente errata applicazione di norme di diritto (così, G.B. Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in IlCaso).

Ciò detto, sotto il primo profilo, tra le norme inderogabili il cui rispetto il Tribunale è chiamato a verificare, vanno incluse, a titolo esemplificativo, le norme intese ad assicurare la completezza e regolarità della documentazione prodotta in allegato alla proposta, con lo scopo di fornire ai creditori concreti elementi di giudizio. Al riguardo, si fa riferimento al piano, che deve indicare in modo analitico le modalità ed il termine di adempimento della proposta, a tutti gli altri documenti previsti dall'art. 161, comma 2, l. fall. nonché alla relazione attestatrice della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano nel suo complesso che deve, per l'appunto, presentare caratteristiche di analiticità ed esaustività (cfr. Amatore, Giudizio di fattibilità giuridica e di fattibilità economica del piano dopo le Sezioni unite, nota a Cass. 30 aprile 2014, n. 9541 (sent.) in Ilfallimentarista, 22 settembre 2014; nello stesso senso, R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 143 et seq.; M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, in Ilfallimentarista, 30 gennaio 2013).

Collegato al concetto di “fattibilità giuridica” è quello di “causa concreta”. Ed infatti – a prescindere dalla criticabilità dell'applicazione di tale categoria, propria del diritto dei contratti, all'istituto del concordato preventivo (cfr. infra amplius) – le Sezioni Unite, nel citato arresto, stabiliscono che il controllo di fattibilità giuridica della proposta/piano di competenza del Tribunale opera anche ad un secondo livello, che è per l'appunto, quello della verifica circa la sussistenza o meno della “causa concreta”, ovverosia della verifica della effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura, da intendersi come “superamento della crisi dell'impresa” e l'assicurazione ai creditori di “un minimo grado di soddisfacimento” (nella giurisprudenza successiva, cfr. Tribunale Padova, 6 marzo 2014 (decr.) che ha definito la “causa concreta” come “l'obiettivo che ogni piano concordatario deve perseguire: il superamento della situazione di crisi dell'imprenditore nonché l'idoneità ad assicurare un soddisfacimento dei creditori, anche se ipoteticamente modesto, ovvero parziale”, ritenendo carente di causa concreta il piano concordatario che contemplava il soddisfacimento dei creditori chirografari in tempi superiori ai quattro anni; in senso analogo, Tribunale Siracusa, 15 novembre 2013 (decr.); Corte d'Appello Catanzaro, 17 dicembre 2013 n. 1782).

Tale controllo riguarda, in sostanza, la possibilità giuridica di dare esecuzione alla proposta di concordato che in concreto è stata formulata. Quale esempio di proposta carente di “causa concreta”, è stato indicato quello della proposta liquidatoria imperniata esclusivamente sulla cessione di beni gravati da numerose ipoteche e non capienti a sufficienza per consentire un “minimo grado di soddisfacimento” del ceto chirografario. E ciò nonostante la proposta preveda “formalmente” la corresponsione di un quantum al ceto chirografario e l'attestazione dell'esperto asseveri la fattibilità del piano (così, M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, in Ilfallimentarista, 30 gennaio 2013).

Ebbene, secondo le Sezioni Unite, nell'ambito del controllo del Tribunale sulla “causa concreta” rientra certamente una “delibazione in ordine alla concretezza delle argomentazioni svolte e delle motivazioni addotte dal professionista a sostegno del formulato giudizio di fattibilità del piano”. Questa affermazione può essere certamente “letta” nel senso che non è sufficiente un mero controllo formale del Tribunale sull'analiticità e coerenza delle motivazioni dell'attestatore, ma occorre un quid pluris che ragionevolmente può essere individuato nel controllo relativo alla razionalità dei contenuti delle argomentazioni dell'attestatore.

Peraltro, in considerazione delle modifiche alla disciplina del concordato preventivo introdotte dal decreto legge n. 83/2015 (convertito in legge con modificazioni dalla legge 21 agosto 2015 n. 132) - e in particolare, al testo novellato degli artt. 160, comma 4, e 161, comma 1, lett. e), l. fall. che prevedono, rispettivamente, l'obbligo del debitore di assicurare nella proposta di concordato liquidatorio “il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari” e quello di “indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore” – l'ipotesi-di-scuola di assenza della causa in concreto formulata dalla dottrina sopra citata non pare potersi verificare.

Anzi, le modifiche normative in questione possono, a nostro sommesso avviso, essere interpretate come un chiaro segno del fatto che il sindacato del Tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, per essere effettivo, deve necessariamente estendersi anche ai profili “economici” e “di sostanza” della proposta e del piano e che la distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica”, nonché il concetto di “causa concreta” introdotti dal noto arresto delle Sezioni Unite siano ambigui e creino confusione, quantomeno laddove interpretati in senso “letterale” come fatto sino ad oggi dall'opinione maggioritaria (si tratta di un'interpretazione affatto pacifica, come vedremo in dettaglio nel prosieguo, cfr. amplius infra sub para. 5.; per un'interpretazione del concetto di “causa concreta” in una prospettiva, invece, “funzionale”, cfr. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013 n. 1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo alla “causa concreta”, in Fallimento, 2013, 286 ss. e in particolare, 288 ove l'Autrice osserva come la prognosi di realizzabilità dell'attivo concordatario che le Sezioni Unite vogliono rimessa ai creditori – come fattibilità economica - deve essere intesa nel senso che è riservata al ceto creditorio “l'accettazione dell'alea delle condizioni di mercato”, ma non già “l'autorizzazione a procedere di un concordato in cui sia già prevedibile l'esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità giuridica o economica poco importa, poiché è vero che quella distinzione non dev'essere eccessivamente enfatizzata)”).

Ciò detto, veniamo ora alla nozione di “fattibilità economica”, che le Sezioni Unite definiscono come “prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati” (in dottrina, cfr. F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, in Fallimento 2013, 279 et seq.). Questa valutazione è riservata, secondo il Supremo Collegio, esclusivamente ai creditori – salvo che nei casi estremi in cui manchi la causa concreta del concordato i.e. il piano sia manifestamente idoneo a consentire il superamento della crisi di impresa e a garantire un purchè minimo soddisfacimento ai creditori chirografari – che possono fare affidamento sulle informazioni e indicazioni contenute, da un lato, nell'attestazione dell'esperto, e dall'altro lato, nella relazione del commissario giudiziale.

La fattibilità economica è strettamente collegata alla convenienza del concordato rispetto all'alternativa fallimentare. Quest'ultimo è un elemento pacificamente sottratto al vaglio del Tribunale, salvo che in caso di attivazione del meccanismo del c.d. cram down da parte dei creditori che rappresentino almeno il 20% dei crediti ammessi al voto, ai sensi dell'art. 180 comma 4 l. fall.

Delineata, per sommi capi, la definizione di “fattibilità” del concordato preventivo, passiamo ora ad analizzare le disposizioni della legge fallimentare in cui il legislatore fa riferimento alla “fattibilità” del piano e/o della proposta di concordato.

In particolare, nella legge fallimentare vigente, il termine “fattibilità” è riscontrabile nelle disposizioni qui di seguito elencate:

  • art. 160 comma 3 l. fall.: “Il piano e la documentazione di cui ai commi precedenti devono essere accompagnati dalla relazione di un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lett. d), che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo. Analoga relazione deve essere presentata nel caso di modifiche sostanziali della proposta o del piano”;
  • art. 163, comma 4 ultimo periodo l. fall.: “La relazione di cui al comma terzo dell'articolo 161 può essere limitata alla fattibilità del piano per gli aspetti che non siano già oggetto di verifica da parte del commissario giudiziale, e può essere omessa qualora non ve ne siano”;
  • art. 179 comma 2 l. fall.: “Quando il commissario giudiziario rileva, dopo l'approvazione del concordato, che sono mutate le condizioni di fattibilità del piano, ne dà avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto”.

Vi sono poi altre disposizioni che, pur non contenendo espressamente il termine “fattibilità”, lo “sottintendono” nei loro contenuti, in quanto fanno riferimento, per esempio, (i) alla relazione del commissario giudiziale sulla proposta e sulle garanzie offerte ai creditori; relazione che, nella prassi, contiene anche un'analisi sulla fattibilità; (ii) al venir meno, nel corso della procedura, delle condizioni di ammissibilità del concordato (e quindi anche della fattibilità); ovvero (iii) alla richiesta di autorizzazione a contrarre finanziamenti interinali urgenti, in mancanza dei quali il concordato non potrebbe essere neppure presentato e, pertanto, diverrebbe non fattibile; ovvero (iv) alla richiesta di autorizzazione al pagamento di creditori anteriori strategici, che presuppone un'attestazione che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa (e quindi per la fattibilità del concordato che l'impresa si accinge a presentare); ovvero, ancora, (v) al requisito di ammissibilità consistente nel fatto che la proposta di concordato liquidatorio garantisca il pagamento di almeno il 20% delle esposizioni chirografarie; requisito in mancanza del quale viene evidentemente meno un presupposto di fattibilità; ovvero ancora, (vi) in caso di proposte concorrenti, la facoltà per i creditori proponenti di contestare la ricorrenza dei presupposti di ammissibilità e fattibilità delle altre proposte. Qui di seguito, riportiamo le principali:

  • art. 160 comma 4 l. fall.: “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186-bis”;
  • art. 172 l. fall.: “Il commissario giudiziale redige l'inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata sulle cause del dissesto, sulla condotta del debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie offerte ai creditori”;
  • art. 173 comma 6 l. fall.: “Le disposizioni di cui al secondo comma si applicano anche se il debitore durante la procedura di concordato compie atti non autorizzati a norma dell'articolo 167 o comunque diretti a frodare le ragioni dei creditori, o se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato”;
  • art. 175 comma 3 l. fall.: “Ciascun creditore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o convenienti le proposte di concordato e sollevare contestazioni sui crediti concorrenti. Il debitore può esporre le ragioni per le quali non ritiene ammissibili o fattibili le eventuali proposte concorrenti”;
  • art. 182 quinquies l. fall.

comma 1: “Il debitore che presenta, anche ai sensi dell'articolo 161 sesto comma, una domanda di ammissione al concordato preventivo […], può chiedere al tribunale di essere autorizzato, […], a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell'articolo 111, se un professionista designato dal debitore in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), verificato il complessivo fabbisogno finanziario dell'impresa sino all'omologazione, attesta che tali finanziamenti sono funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori”;

comma 3.: “Il debitore che presenta una domanda di ammissione al concordato preventivo ai sensi dell'articolo 161, sesto comma, anche in assenza del piano di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) […] può chiedere al tribunale di essere autorizzato in via d'urgenza a contrarre finanziamenti, prededucibili ai sensi dell'articolo 111, funzionali a urgenti necessità relative all'esercizio dell'attività aziendale […]. Il ricorso deve specificare la destinazione dei finanziamenti, che il debitore non è in grado di reperire altrimenti tali finanziamenti e che, in assenza di tali finanziamenti, deriverebbe un pregiudizio imminente ed irreparabile all'azienda […]”;

comma 5: “Il debitore che presenta domanda di ammissione al concordato preventivo con continuità aziendale, anche ai sensi dell'articolo 161 sesto comma, può chiedere al tribunale di essere autorizzato, assunte se del caso sommarie informazioni, a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori […]”;

  • art. 186 bis l. fall.:

“Quando il piano di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo. Il piano può prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa.

Nei casi previsti dal presente articolo:

a) il piano di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e), deve contenere anche un'analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura;

b) la relazione del professionista di cui all'articolo 161, terzo comma, deve attestare che la prosecuzione dell'attività d'impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori […]”.

Distinzione tra fattibilità “giuridica” e fattibilità “economica”: il dibattito giurisprudenziale e l'arresto della Cassazione a Sezioni Unite n. 1521/2013

Di seguito delineiamo, in termini estremamente schematici, i contenuti dell'arresto delle Sezioni Unite n. 1521/2013 (cfr. ex multis D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?” in Ilfallimentarista, 2014) per poi svolgere un breve excursus degli orientamenti che hanno preceduto la pronuncia delle Sezioni Unite.

In estrema sintesi le Sezioni Unite hanno affermato:

  • il concordato preventivo assolve a finalità di carattere pubblicistico, ed è connotato da esigenze di tutela di interessi anche esterni a quelli dell'impresa, rappresentati soprattutto dal ceto creditorio, la cui “amministrazione” è rimessa soprattutto al Giudice;
  • il controllo del Tribunale non attiene alla convenienza della proposta, che è rimessa esclusivamente al ceto creditorio (a condizione che essi siano informati in modo corretto);
  • il controllo del Tribunale non è di contenuto prestabilito ed astratto, ma va adattato al caso concreto;
  • il controllo del Tribunale non è di secondo grado, non si svolge cioè esclusivamente sulla relazione dell'attestatore, ma è diretto, ed ha per oggetto anche la sostanza ed il merito della domanda, potendosi discostare in concreto dal giudizio dell'attestatore stesso;
  • il controllo del Tribunale non è meramente formale, né di mera regolarità, ma attiene anche al contenuto del piano;
  • il Giudice può e deve sindacare la fattibilità giuridica del piano;
  • il Giudice può e deve altresì sindacare la concreta realizzabilità del piano, quando viene messa in discussione la causa concreta dello stesso, sicché l'interesse “tipico” dei creditori, oggettivizzato nello specifico piano, non può essere in alcun modo soddisfatto nelle forme e con le modalità prospettate dal debitore;
  • il concordato preventivo è uno strumento di “regolazione della crisi”, volto al suo superamento, sicché non può non essere sanzionato il suo utilizzo quando esso nel caso concreto deflette da tale funzione.

Con riguardo alle tesi giurisprudenziali antecedenti all'intervento delle SS.UU. sul potere di controllo del Tribunale sulla fattibilità, esse sono riconducibili a tre filoni (cfr. F. Lamanna, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità nel concordato preventivo: «così è se vi pare», in Ilfallimentarista, 2013):

  1. quella secondo cui andrebbe negato in radice al Tribunale ogni potere di controllo di carattere “sostanziale” sulla fattibilità, potendo esso svolgere solo un esame di tipo meramente documentale (controllo di “legalità formale”) (particolarmente rappresentative di questo filone sono le sentenze della S. Corte n. 3274/11 e n. 13817/11;

  1. quella secondo cui sarebbe l'esperto attestatore il soggetto chiamato ad esprimersi in modo diretto sulla fattibilità, mentre il Tribunale potrebbe svolgere un controllo solo indiretto, ossia valutando se la relazione attestativa abbia motivato sul punto in modo coerente, logico e completo (controllo usualmente definito come di “legittimità sostanziale”) (tesi affermata da una parte della giurisprudenza di merito e dalla sentenza della S. Corte n. 18987/11, oltre che, sia pure con qualche margine di indeterminatezza, dalle sentenze n. 21860/10 e n. 3586/11; in dottrina, tra i sostenitori di questa tesi cfr. M. Fabiani, op. cit., 557 ss., ove l'Autore - dopo aver evidenziato che la fattibilità del piano è la prognosi di adempimento dell'obbligazione contenuta nella proposta e che la prognosi di adempimento non può che spettare ai creditori come dimostra il fatto che la risoluzione del concordato (esperibile in caso di mancato adempimento) può essere chiesta solo dai creditori – evidenzia come “in nessuna norma della legge fallimentare si prevede un controllo del giudice sulla prognosi di adempimento”; giudizio che spetta semmai all'attestatore sulla cui relazione il tribunale deve svolgere il proprio controllo;

  1. quella che ha riconosciuto al Tribunale un potere di sindacato “diretto” della fattibilità (controllo usualmente definito come controllo di “merito”) (propugnata da altra parte della giurisprudenza di merito, ed almeno in una certa misura avallata dalla sentenza della S. Corte n. 18864/11.

Venendo alle critiche mosse da una parte della dottrina alla distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica”, segnaliamo come l'obiezione sollevate dagli Autori che stiamo per citare si incentrano sul carattere artificioso di tale distinzione, posto che la fattibilità del concordato è unica; il concordato o è fattibile o non lo è.

Più precisamente, “entrambe le figure si riconducono alla impossibilità di attuare il piano concordatario per l'esistenza di un presupposto del piano che non è realizzabile: che questo consista in una impossibilità giuridica o in una impossibilità materiale, non fa nessuna differenza: anche l'impossibilità giuridica rileva qui come “fatto” che rende inattuabile un determinato programma, per la presenza di condizionamenti che vengono dal diritto, anziché dall'ambiente” (così D. Galletti, I molteplici equivoci, cit.; nello stesso senso ancor prima F. Lamanna, L'indeterminismo creativo, cit.). Del resto, questa distinzione non ha fondamento alcuno nei principi generali del nostro ordinamento. Al riguardo, è stato correttamente osservato che “la distinzione fra impossibilità giuridica e materiale non ha sede nell'ordinamento che le apparenta anzi sempre, ogni volta che assegna al Giudice il compito di sindacare la conformità di una situazione all'ordinamento (arg. ex artt. 1325,2379 cod. civ.)” (così D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?” in Ilfallimentarista, 22 gennaio 2014).

Si è inoltre fatto notare come tale artificiosa distinzione fonda la sua ratio decidendi su un presupposto concettualmente non accettabile, e cioè su una sovrapposizione che genera una confusione dogmatica tra il concetto di giudizio di fattibilità economica e giudizio di convenienza; entrambi impropriamente ricondotti nell'alveo concettuale delle valutazioni di merito della proposta (così F. Lamanna, L'indeterminismo creativo, cit.; R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, cit.).

Del resto, anche quegli Autori che non muovono obiezioni alla distinzione in questione, precisano però che questa distinzione non deve essere eccessivamente enfatizzata in quanto ciò che conta, ai fini della valutazione della fattibilità, è la sussistenza o meno di un prevedibile esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano; se poi ciò accade per ragioni di infattibilità “giuridica” ovvero “economica”, poco importa (così, M. Fabiani, Guida rapida alla lettura di Cass. S.U. 1521/2013 in Il.Caso, 30 gennaio 2013; nello stesso senso I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato, cit., 288).

Come già anticipato, l'Autrice da ultimo citata ha offerto un angolo visuale diverso da cui interpretare il concetto di fattibilità giuridica. In particolare, l'Autrice osserva come la prognosi di realizzabilità dell'attivo concordatario che le Sezioni Unite vogliono rimessa ai creditori – come fattibilità economica - deve essere intesa nel senso che è riservata al ceto creditorio “l'accettazione dell'alea delle condizioni di mercato”, ma non già “l'autorizzazione a procedere di un concordato in cui sia già prevedibile l'esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità giuridica o economica poco importa, poiché è vero che quella distinzione non dev'essere eccessivamente enfatizzata)”.

In ogni caso, poi, è davvero difficile mettere in dubbio che il controllo del Tribunale non attenga al merito. Il giudice esamina senz'altro il contenuto sia del piano sia della proposta, senza l' ”intermediazione” dell'attestazione, in molteplici “momenti” del procedimento. In primo luogo, tale esame avviene in sede di valutazione sull'ammissibilità della proposta; al riguardo viene in considerazione l'art. 162, comma 1, l. fall. che prevede il potere del tribunale di ordinare al debitore di apportare integrazioni al piano e produrre nuovi documenti ai fini dell'ammissibilità. Orbene, non si vede come tale invito possa essere formulato dal Tribunale in mancanza di una delibazione sui contenuti “di merito” del piano medesimo. In secondo luogo, tale esame avviene senz'altro in sede di autorizzazione a contrarre le varie tipologie di finanziamenti urgenti/interinali di cui all'art. 182 quinquies l. fall.; ovvero al pagamento di creditori strategici anteriori. Orbene, se fosse vero che il tribunale valuta solo ed esclusivamente se le modalità attuative del piano violano norme di legge ovvero non garantiscono un minimo soddisfacimento dei creditori chirografari, esso non potrebbe evidentemente svolgere le valutazioni che la legge richiede di svolgere al fine di decidere se autorizzare o meno le operazioni di cui sopra. Del resto, in tali contesti, il Tribunale è chiamato a verificare, inter alia, che la mancanza del finanziamento urgente comporti un pregiudizio imminente ed irreparabile all'impresa e/o che la prestazioni di quel creditore sia essenziale per la prosecuzione dell'attività di impresa. Ora, è vero che in relazione a talune di autorizzazioni il debitore allega, alla propria istanza, l'attestazione di un professionista, ma ciò non accade in tutti i casi (si pensi all'istanza id autorizzazione per contrarre i finanziamenti interinali urgenti di cui all'art. 182 quinquies comma 3 l. fall.) (sul tema cfr. F. Lamanna, Rischi “intrinseci” e paradossali delle istanze di autorizzazione al pagamento di creditori anteriori per prestazioni “essenziali”, in Ilfallimentarista, 26 novembre 2013).

Controllo del giudice sulla fattibilità: orientamenti pre-Sezioni Unite n. 1521/2013: orientamenti a confronto

Legalità formale

Legittimità sostanziale

Controllo diretto

Cass. n. 3274/11

Cass.n. 18987/11

Cass. n. 18864/11

Cass. n. 13817/11

Cass. n. 21860/10

Lamanna

Cass. n. 3586/11

L'ambiguità della distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica”, nonché il fatto che la nozione di “causa concreta” sia sfuggente non solo nel diritto dei contratti, ma altresì, ed a maggior ragione, se applicata nel contesto di una procedura fallimentare, ha fatto temere un'applicazione difforme, da parte dei giudici di merito, del dictum delle Sezioni Unite (cfr. I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato, cit., 289).

In realtà, le sentenze che sono seguite all'arresto delle Sezioni Unite hanno mantenuto la distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica”, nonché la nozione di “causa concreta” del concordato, applicandola in maniera piuttosto “letterale”, senza offrire interpretazioni particolarmente “originali”.

In particolare, come già accennato sopra (cfr. supra), è stata esclusa la “fattibilità giuridica” e la sussistenza della “causa in concreto”, rilevabile dal Tribunale, in casi “eclatanti” e, in particolare in presenza di una durata esorbitante (i.e. superiore a 4 anni) del piano concordatario, con conseguente dilatazione eccessiva dei tempi di soddisfacimento dei creditori (così Tribunale Siracusa, 15 novembre 2013 (decr.); Corte d'Appello Catanzaro, 17 dicembre 2013 n. 178; Tribunale Padova, 6 marzo 2014 (decr.); Corte d'Appello Catania, 10 marzo 2014, n. 338 sent.; Tribunale Roma, 29 gennaio 2014 (decr.); Tribunale Santa Maria Capua Vetere, 17 aprile 2013 (decr.); Tribunale Prato, 30 aprile 2014 (decr.)).

E' stato ribadito che il ruolo del Tribunale è strettamente circoscritto alla verifica della “fattibilità giuridica”, intesa come “incompatibilità del piano con norme inderogabili”, lasciando, invece, esclusivamente ai creditori la valutazione circa la sussistenza o meno della fattibilità economica intesa come la “realizzabilità in concreto” salvo che in caso di manifesta attitudine del piano a raggiungere gli obiettivi prefissati (così, ex multis, Cass. 6 novembre 2013 n. 24970; Tribunale Siena 20 febbraio 2015 (decr.); Corte d'Appello Catania, 20 aprile 2015, n. 654 (sent.); Tribunale Arezzo, 19 dicembre 2014 (decr.); Cass. 30 aprile 2014 n. 9541 (sent.); Corte d'Appello Firenze, 10 febbraio 2014 n. 262; Tribunale Padova, 6 marzo 2014 (decr.); Tribunale Roma, 29 gennaio 2014 n. 6 (decr.).

A chi compete la valutazione circa la sussistenza o meno della fattibilità del concordato preventivo?

Vari sono i soggetti che, nell'ambito della procedura di concordato preventivo, sono chiamati ad una valutazione circa la sussistenza o meno del requisito della fattibilità del piano e della proposta del debitore e di eventuali proposte concorrenti.

A parte il Tribunale – sul cui sindacato si discute – la fattibilità è evidentemente oggetto dell'attività dell'attestatore sia in sede di relazione ex art. 161, comma, 3 l. fall. sia nell'ambito delle relazioni funzionali all'ottenimento di particolari autorizzazioni da parte del Tribunale (inter alia, cfr. le autorizzazioni previste ai sensi dell'art. 182-quinquies, commi 1 e 5, l. fall.).

Altro soggetto che deve svolgere una valutazione di fattibilità del piano/proposta del debitore è il commissario giudiziale nella propria relazione ex art. 172 l. fall. Ed infatti, sebbene la noma in questione non faccia espresso riferimento al concetto di “fattibilità”, è evidente che nel descrivere la proposta di concordato ai creditori non si può prescindere da offrire loro una prospettiva della concreta attuabilità della stessa, quantomeno sulla base dei dati disponibili (cfr. M. Fabiani, op. cit. 563: “[…] il commissario ha il compito di offrire una lettura indipendente della prospettiva di adempimento al fine di consentire ai creditori di ponderare le conseguenze del voto”). Il commissario giudiziale, in realtà, svolge una valutazione anche sulla “convenienza” della proposta, laddove, nella propria relazione, deve comparare lo scenario di concordato preventivo con l'alternativa fallimentare.

Un'ulteriore situazione che vede il commissario giudiziale svolgere una valutazione di fattibilità è quella contemplata nell'art. 179 l. fall. ovverosia quell'ipotesi in cui, successivamente all'espressione del voto in adunanza, mutino le condizioni di fattibilità del piano a seguito di eventi sopravvenuti. In tal caso, è previsto che il commissario giudiziale ne dia “avviso ai creditori, i quali possono costituirsi nel giudizio di omologazione fino all'udienza di cui all'articolo 180 per modificare il voto”.

Infine, sono i creditori che, in sede di voto, valutano la sussistenza o meno del requisito della fattibilità del piano e della proposta, anche attraverso le indicazioni fornite dall'attestatore e dal commissario giudiziale.

Il momento di valutazione della sussistenza o meno della fattibilità

Il requisito della fattibilità del piano e della proposta deve permanere per tutta la durata della procedura; del resto, anche nella fase esecutiva successiva all'omologazione il venir meno della fattibilità comporta il diritto dei creditori di chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento ai sensi dell'art. 186 l. fall.

Fermo quanto precede, si possono individuare tre principali “momenti” in cui la fattibilità viene in considerazione nella legge fallimentare:

(i) il vaglio di ammissibilità della proposta effettuato dal Tribunale, anche sulla base della relazione di attestazione dell'esperto (art. 162 l. fall.);

(ii) la fase di revoca dell'ammissione al concordato ai sensi dell'art. 173 l. fall.: ci riferiamo, in particolare, all'ultima parte del terzo comma dell'art. 173 l. fall. ove si prevede che il procedimento di revoca si applica “se in qualunque momento risulta che mancano le condizioni prescritte per l'ammissibilità del concordato”;

(iii) la fase di omologazione nell'ambito della quale il tribunale è chiamato anche a valutare che proposta e piano siano in concreto realizzabili.

Il rapporto tra il requisito di “fattibilità” e il requisito di ammissibilità dei concordati liquidatori ex art. 160 comma 4 l. fall.: il pagamento di almeno il 20% delle esposizioni chirografarie

A seguito della recente introduzione, ad opera del D.l. n. 83/2015 convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 132/2015, della previsione dell'art. 160 comma 4 l. fall. secondo cui “La proposta di concordato [liquidatorio] deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell'ammontare dei crediti chirografari”, la giurisprudenza e la dottrina si sono domandate se il debitore debba davvero garantire tale percentuale di pagamento – con conseguente diritto dei creditori a richiedere la risoluzione del concordato laddove tale obbligo non dovesse essere mantenuto in fase esecutiva – ovvero se la norma vada interpretata nel senso che la proposta di concordato deve proporre fondatamente il pagamento di almeno il 20% dell'ammontare dei crediti chirografari, offrendo cioè una ragionevole previsione di pagamento di tale somma, senza tuttavia porre in capo al debitore-proponente un obbligo vincolante.

E' evidente che a seconda della risposta che si dà a tale quesito, cambia anche l'ambito del sindacato del Tribunale sulla verifica della ricorrenza o meno del requisito in questione.

Più precisamente, se si aderisce alla tesi più rigorosa, secondo la quale il proponente ha un vero e proprio obbligo di adempimento rispetto alla percentuale di soddisfacimento prospettata, allora il pagamento del 20% diviene un elemento della “fattibilità” del piano (inteso come idoneità dello stesso a permettere l'adempimento della proposta di pagamento del 20% delle esposizioni chirografarie) che il Tribunale è chiamato a valutare per espressa disposizione di legge. In tal caso non vi sarebbe margine di incertezza circa il sindacato del Tribunale in punto di fattibilità, quantomeno per questo specifico profilo (sostengono questa posizione F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la mini-riforma del D. L. n. 83/2015, Milano, 2015, 23 ss.; e G. B. Nardecchia, Le modifiche alla proposta di concordato, in Ilfallimentarista, 16 marzo 2016).

Se, invece, si ritiene che la proposta debba semplicemente contenere una ragionevole previsione di soddisfacimento della percentuale in questione, allora il pagamento del 20% delle esposizioni chirografarie non incide sulla fattibilità del concordato preventivo e, correlativamente, il potere del Tribunale è limitato alla verifica che la proposta contenga l'assicurazione di detto soddisfacimento sulla base di un piano che non possa essere qualificato come manifestamente inidoneo a raggiungere tale obiettivo, trattandosi di una verifica della conformità della proposta al modello normativo (per questa posizione, che pare minoritaria, cfr. Tribunale Pistoia 29 ottobre 2015; Tribunale Firenze 8 gennaio 2016, in Ilfallimentarista).

Ciò detto, a nostro avviso, l'interpretazione rigorosa della norma offerta dalla dottrina sopra citata è da preferire, in quanto è maggiormente aderente non soltanto al tenore letterale dell'art. 160 comma 4 l. fall., ma altresì alla ratio della norma in questione, individuabile nella volontà del legislatore di “sgombrare il campo” da proposte di concordato il cui scopo è unicamente quello di procrastinare il fallimento, offrendo ai creditori chirografari percentuali di soddisfacimento irrisorie.

Riferimenti

Riferimenti Normativi:

  • art. 161 co. 6 l. fall.
  • art. 161 co. 9 l. fall.
  • art. 172 l. fall.
  • art. 173 l. fall.

Giurisprudenza:

stante il rilevante numero di pronunce citate, si rimanda al corpo della nota

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