Lia Campione
20 Settembre 2019

Il concordato misto è una figura atipica di concordato preventivo, di creazione giurisprudenziale, che si pone come tertium genus tra il concordato liquidatorio (ex art.182 l.fall.) ed il concordato con continuità aziendale (ex art.186-bis l.fall.). Si qualifica come misto il concordato che proponga ai creditori un soddisfacimento derivante congiuntamente dalla prosecuzione dell'attività d'azienda e dalla liquidazione dei beni.

Inquadramento

Il concordato misto è una figura atipica di concordato preventivo, di creazione giurisprudenziale, che si pone come tertium genus tra il concordato liquidatorio (ex art. 182 l.fall.) ed il concordato con continuità aziendale (ex art. 186-bis l.fall.). Si qualifica come misto il concordato che proponga ai creditori un soddisfacimento derivante congiuntamente dalla prosecuzione dell'attività d'azienda e dalla liquidazione dei beni.

Rientrano nella categoria del concordato misto:

  • il concordato con continuità aziendale diretta che preveda anche la liquidazione di beni non funzionali;
  • il concordato con continuità aziendale indiretta che preveda anche la liquidazione di beni non funzionali; e
  • il concordato con continuità aziendale indiretta.

Il concordato misto è prima di tutto un concordato con continuità aziendale, fattispecie quest'ultima introdotta nella legge fallimentare dalla riforma del 2012 (c.d. decreto sviluppo) ed in particolare dall'art. 33 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (conv. con modif. in L. 7 agosto 2012, n. 134) ed è oggi disciplinato dall'art. 186-bis.

Il concordato con continuità aziendale era già noto nella pratica ben prima del suo riconoscimento legislativo ma veniva comunemente inteso come tipo di concordato volto al risanamento aziendale per lo più in forma diretta, mediante la prosecuzione dell'esercizio dell'attività da parte del medesimo imprenditore e la generazione di flussi di cassa sufficienti, insieme alla liquidazione dei cespiti non più funzionali, a rimborsare parzialmente i creditori in un certo arco temporale. Non aveva, tuttavia, una specifica regolamentazione propria e quella contenuta nell'art. 182 (dettata per le ipotesi di cessione dei beni) non si attagliava a disciplinarne le peculiarità. Con l'introduzione nella legge fallimentare dell'art. 186-bis, il legislatore del 2012 ha inteso offrire agli operatori uno strumento processuale più duttile e a più ampio spettro, ricomprendendo nella fattispecie normativa definita “concordato con continuità aziendale” anche alcune forme in precedenza configurate come di cessio bonorum quali l'alienazione dell'azienda (o di suoi rami) in esercizio e il suo (o loro) conferimento in un veicolo societario appositamente costituito o preesistente (comma 1). In altri termini, la disposizione recepisce i fenomeni economici della ristrutturazione aziendale, la quale può avvenire sia in via diretta, mantenendo l'impresa (o il suo core business) nelle mani dello stesso debitore, se del caso con modifiche alla compagine sociale proprietaria e/o al management, sia attraverso il trasferimento dell'azienda o di suoi rami ad altri soggetti, già esistenti o neocostituiti, anche collegati, oppure nell'ambito di operazioni societarie straordinarie (c.d. risanamento “indiretto”) [cit. concordato con continuità aziendale].

La norma prevede che la ristrutturazione aziendale avvenga attraverso una continuazione dell'attività dell'impresa in crisi; continuazione che potrà essere condotta dallo stesso debitore o da terzi attraverso una cessione. La norma prevede inoltre, proprio al fine di garantire la fattibilità del piano di concordato, che il debitore possa liquidare alcuni beni ritenuti non funzionali alla continuità aziendale così come presentata ai creditori (e al tribunale) nel piano depositato unitamente alla proposta di concordato.

La disciplina applicabile

Partiamo dal dato testuale che qui interessa ai fini della configurazione di un concordato misto.

Art. 186-bis, comma 1 l.fall. : “Quando il piano di concordato di cui all'art. 161, secondo comma , lett. E) prevede la prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione, si applicano le disposizioni del presente articolo, nonché gli articoli 160 e ss. in quanto compatibili. Il piano può prevedere anche la liquidazione dei beni non funzionali all'esercizio dell'impresa”.

La continuità aziendale può essere “diretta” (prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore) o “indiretta” (cessione dell'azienda in esercizio ovvero conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione).

Nel caso contemplato nel primo stralcio della norma siamo di fronte ad una fattispecie di concordato con continuità aziendale c.d. diretta:il piano di concordato prevede la prosecuzione della attività d'impresa da parte del debitore al fine di soddisfare i creditori con i flussi derivanti da tale attività. Nulla quaestio, dunque, sulla qualificazione del concordato e sulla relativa norma applicabile se il piano si basa unicamente su una prosecuzione gestita direttamente dal debitore. Tuttavia, il piano concordatario può contenere anche una componente liquidatoria, ovvero la dismissione dei beni non funzionali all'esercizio dell'attività d'impresa.

E' da qui che nasce la definizione di concordato c.d. misto. Secondo una parte della giurisprudenza (inizialmente prevalente) al fine di individuare la disciplina applicabile al concordato che presenti elementi di continuità aziendale e liquidatorii, è possibile far ricorso ai principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di contratto misto, i quali risolvono la questione applicando la disciplina tipica del contratto prevalente, salvo che gli elementi del contratto non prevalente non siano incompatibili con quelli del contratto prevalente, dovendosi in tal caso procedere, nel rispetto dell'autonomia contrattuale, alla integrazione delle discipline relative alle diverse cause negoziali che si combinano nel negozio misto (cfr. in tal senso Tribunale di Firenze, 2 Novembre 2016, ilcaso).

Nello stesso senso la giurisprudenza di merito ha sottolineato in più occasioni come, nonostante la prosecuzione dell'attività d'impresa, in tutti i casi in cui il piano di concordato poggi sull'offerta ai creditori anche solo di una parte del patrimonio attraverso una successiva alienazione a soggetti indeterminati "la sua qualificazione (o riqualificazione, comunque di competenza del Tribunale), non può che essere in termini di concordato con cessione ai creditori, ossia di messa a disposizione di uno o più beni in favore dei creditori perché venga liquidato con procedura necessariamente competitiva"(cfr. Trib. di Roma, 22 aprile 2015 e Tribunale di Roma 31 luglio 2015).

In virtù di tale statuizione può dedursi che il concordato si definisce misto ogni qualvolta il piano preveda continuità diretta dell'attività d'azienda e liquidazione di alcuni beni.

E' stato sostenuto infatti che esiste una compatibilità della disciplina del concordato in continuità con quella del concordato con cessione di beni e che proprio tale compatibilità giustifichi l'applicazione di entrambe le discipline.

In altri termini il concordato resterebbe un concordato con continuità aziendale al quale, per la parte relativa alla dismissione degli asset non funzionali si applicherebbe la disciplina dettata dall'art. 182 l.fall. sul concordato con cessione dei beni (vedremo più avanti al § 4 che a seguito della riforma del 2015 la distinzione tra concordato liquidatorio e concordato in continuità assume una rilevanza ancora maggiore in termini di percentuale da offrire ai creditori).

Nel caso di concordato con continuità c.d. indiretta, il piano prevede invece che l'azienda in esercizio venga ceduta, data in conferimento o finanche affittata a terzi (cfr. Trib. Monza, Sez. Fallimentare, Decreto 26 Luglio 2016, secondo il quale “ove si ritenesse che la continuità indiretta realizzata con il preventivo affitto, pur finalizzato alla cessione, rientri comunque nell'ipotesi regolata dall'art. 186-bis l.fall., dovrebbe quindi ipotizzarsi la legittimità di una proposta, come quella in esame, che preveda anche la cessione di beni non pertinenti all'azienda e quindi si porrebbe anche in questo caso il problema della qualificazione giuridica in termini di continuità aziendale di una simile proposta”). Anche in questo caso trattandosi di fattispecie prevista dalla norma nulla quaestio se il piano concordatario preveda unicamente la cessione, o il conferimento o l'affitto (caso assimilato ai due precedenti da una parte della giurisprudenza) mentre è definito ancora una volta concordato misto quel piano di concordato che preveda continuità indiretta e liquidazione di alcuni beni.

In evidenza: la nomina del liquidatore
In relazione alla liquidazione dei beni non funzionali nell'ambito del concordato c.d. misto si è posta più volte la questione della necessità o meno della nomina del liquidatore giudiziale. Sul punto, dopo una serie di pronunce favorevoli a tale soluzione di compromesso (secondo le quali la vendita dei beni non funzionali trasforma immediatamente la fattispecie del concordato in continuità in concordato misto) di recente la Corte d'Appello di Roma è pervenuta ad una soluzione negativa affermando che la nomina del liquidatore giudiziale è necessaria unicamente nel caso di concordato preventivo con cessione dei beni ex art. 182 l.fall. La Corte d'Appello di Roma ha infatti evidenziato come la nomina del liquidatore non sia prevista dalla legge: l'art. 186-bis l.fall. nulla dice riguardo alla possibilità di nomina di un liquidatore giudiziale e nemmeno richiama l'art. 182 l.fall. – non potendo peraltro tale richiamo ritenersi implicito. Nel caso di specie il Tribunale, nella pronuncia di primo grado, aveva ritenuto che la nomina di un liquidatore giudiziale fosse necessaria al fine di gestire e ottimizzare la fase liquidatoria nel principale interesse dei creditori. Tuttavia la Corte d'Appello ha ritenuto che i creditori siano già tutelati poiché le obbligazioni che il debitore assume in un concordato in continuità “consistono in obbligazioni di risultato e non di mezzi, essendone stato garantito il soddisfacimento in percentuale fissa, invariabile e vincolante e non già tramite il ricavo della vendita dei beni”. La qualificazione in termini di obbligazione di risultato, implicando che l'adempimento coincida con il raggiungimento del risultato prefissato, non libera il debitore fino a tale momento e quindi non vi è bisogno di un organo esterno che conduca la fase di liquidazione dei beni non funzionali a garanzia del soddisfacimento dei creditori, in quanto questi ultimi devono essere necessariamente soddisfatti, pena la risoluzione del concordato e l'avvio della procedura di fallimento.D'altra parte non si comprende perché, se il debitore può continuare a disporre dei propri beni, non possa poi procedere di sua iniziativa alla vendita di questi. L'art. 182 l.fall. disciplina un'ipotesi completamente diversa nella quale la disponibilità dei beni viene persa dal debitore ed è pertanto necessario che tali beni siano liquidati attraverso l'attività di un soggetto esterno ed imparziale come il liquidatore giudiziale. Anche in dottrina è stato affermato che il concordato in continuità con liquidazione dei beni non funzionali è, e resta, un concordato con continuità aziendale pura, nel quale il debitore resta nella titolarità dei suoi beni e può continuare liberamente a disporne. Ed è del tutto naturale che poi possa provvedere di sua iniziativa alla vendita di singoli cespiti, che non vengono resi oggetto di cessione ai creditori, ma vengono liquidati nell'esercizio di una facoltà dispositiva propria del debitore e non avrebbe quindi senso nominare un liquidatore giudiziale (così Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il concordato misto?, in questo portale, 2015).

Contestandosi l'utilità e pertinenza della definizione di concordato misto, è stata proposta peraltro una alternativa connotazione, che suggerisce al più di riferire la definizione solo al concordato in continuità indiretta, in cui – come detto – il concordato si realizza solo ed esclusivamente attraverso la dismissione dell'azienda, e la continuità è riferita (solo) in senso oggettivo a quest'ultima.

In dottrina è stato infatti sostenuto che solo nel concordato il cui piano preveda una continuità aziendale indiretta si configuri una vera e propria cessio bonorum in senso proprio, tale da poter integrare la fattispecie di concordato liquidatorio ex art. 182 l.fall.

“È quindi consigliabile limitare l'utilizzo dell'espressione “concordato misto”, se proprio non può farsene a meno, ai soli concordati con continuità aziendale “impura” o “indiretta”, e non ai concordati con continuità aziendale diretta in cui sia prevista la liquidazione dei beni non funzionali) (così Lamanna, cit.)

Criterio della prevalenza: qualitativa o quantitativa /criterio della combinazione

Dal corretto inquadramento del concordato misto come concordato in continuità aziendale diretta/indiretta e concordato liquidatorio o come solo concordato in continuità indiretta, può discendere l'applicazione di norme e, dunque, discipline diverse.

“Al concordato c.d. misto deve essere applicata un'unica disciplina corrispondente alla componente prevalente in termini economici e funzionali”. Così si è espresso il Tribunale di Alessandria nella pronuncia del 18 gennaio 2016, confermando un principio ampiamente condiviso in giurisprudenza quale quello della prevalenza in termini quantitativi (nello stesso senso Tribunale di Monza, cit). Più precisamente se, secondo il principio della prevalenza, la soddisfazione dei creditori fosse ampiamente basata sulla liquidazione dei beni non funzionali, il concordato sarebbe qualificato interamente come concordato liquidatorio, in caso contrario sarebbe considerato come concordato con continuità aziendale.

Meno pacifica è invece la soluzione applicabile al concordato in continuità indiretta allorquando sia prevista anche la liquidazione dei beni non funzionali. Secondo il Tribunale di Bolzano (Tribunale Bolzano, 10 Marzo 2015), infatti, l'applicazione esclusiva dell'art. 182 l.fall. ogni qualvolta il piano preveda la cessione di rami d'azienda o di cespiti non strategici determina solo una procedura più farraginosa e, dunque, il criterio della prevalenza andrebbe applicato in termini qualitativi e non quantitativi. La ragion d'essere dell'applicazione dell'art. 182 l.fall., prosegue il Tribunale, risiede invece in quei casi in cui la continuazione dell'attività d'azienda è limitata nel tempo e a fini meramente liquidatori. Questo processo logico che propone soluzioni alternative tra art. 186-bis l.fall. ed art. 182 l.fall parte dall'assunto che la contemporanea applicazione delle due previsioni normative sia incompatibile.

Peraltro, come vedremo meglio più avanti, In seguito alle modifiche introdotte con il D.L. 27 giugno 2015 n. 83 che ha provveduto a reintrodurre in costanza di concordato liquidatorio con il quarto comma dell'art. 160 l. fall la soglia minima di pagamento pari al 20% per i creditori chirografari, la giurisprudenza si è mossa con molta cautela nell'applicazione dell'articolo 186-bis per evitare l'arbitraria esenzione del debitore dall'obbligo del rispetto della soglia minima parti al 20%. In tal senso, il Tribunale di Ravenna afferma che “nell'ipotesi di concordato c.d. misto, liquidatorio e con continuità aziendale, deve essere applicata la disciplina volta a volta più confacente con la porzione di piano più concordatario che viene in esame a seconda della causa concreta perseguita dal debitore” in quanto “le diverse discipline sono fra loro compatibili” (c.d. teoria della combinazione).

Entrambe le teorie esposte (prevalenza e combinazione) sono imperniate sul presupposto che l'intenzione del legislatore fosse quella di prevedere la componente liquidatoria soltanto in funzione strumentale rispetto alla continuità in senso stretto. Tuttavia, una parte minoritaria della giurisprudenza (e maggioritaria della dottrina), ha dato rilievo al tenore letterale dell'art. 186-bis affermando che “la natura mista del piano concordatario non esclude che il concordato debba essere comunque considerato con continuità aziendale, anche quando il soddisfacimento dei creditori avvenga in prevalenza con il ricavato della liquidazione dei beni non funzionali” (Tribunale Siracusa, 23 Dicembre 2015).

Il pagamento dei creditori chirografari

Pur dovendoci limitare in questa sede a descrivere una fattispecie per consentire “l'orientamento” del lettore, non possiamo esimerci dall'affermare che ubi lex voluit dixit ubi noluit tacuit. In altri termini la norma in esame (art. 186-bis l.fall.) disciplina in modo dettagliato la fattispecie senza consentire o meglio rendere necessaria l'applicazione di una disciplina suppletiva.

Peraltro è lo stesso art. 186-bis l. fall. che, disciplinando il concordato in continuità aziendale, consente al proponente di prevedere la liquidazione di beni non funzionali senza null'altro aggiungere. Ne consegue che tale possibilità potrebbe essere (rectius deve) semplicemente considerata come una delle modalità di esecuzione della proposta di concordato in continuità aziendale, lasciata anch'essa all'autonomia gestionale del proponente.

Tuttavia, come visto, il corretto inquadramento della categoria non è un mero virtuosismo dottrinario, ma è funzionale alla determinazione dell'applicazione del beneficio riguardante la non vigenza della soglia minima pari al 20% per il soddisfacimento dei creditori chirografari prevista, invece, per il concordato liquidatorio.

In seguito alla riforma del 2015, con cui è stata reintrodotta la soglia minima del 20% (soglia notevolmente superiore alle percentuali di pagamento offerte ai creditori chirografari), la figura del concordato in continuità ha assunto una rilevanza tale per cui un intervento chiarificatore del legislatore sulla natura ed i limiti di tale concordato è divenuto ormai indispensabile. E' di tutta evidenza infatti che i debitori ove possibile tenderanno a qualificare la proposta come concordato in continuità al solo fine di evitare il rispetto della percentuale e potere gestire la procedura in modo più autonomo.

Il rischio di abuso è al momento piuttosto probabile.

Le modifiche introdotte dal D.lgs 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

La figura del concordato misto, di elaborazione giurisprudenziale, trovava un primo riconoscimento all'art. 186-bis, l.fall, in cui si prevedeva che il piano di concordato con continuità aziendale potesse prevedere anche la liquidazione di beni non funzionali all'esercizio dell'impresa. La giurisprudenza, in assenza di un'apposita disciplina legislativa, ricostruiva la disciplina applicabile al c.d. concordato misto applicando, come visto sopra, il criterio della prevalenza.

L'art. 84, comma terzo, del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza recepisce il criterio della prevalenza e assorbe in questo modo il tema dell'ammissibilità e della disciplina del concordato misto.

Secondo la disposizione sopra citata, il concordato è con continuità aziendale quando i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La prevalenza si considera sempre sussistente quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un'attività d'impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il momento del deposito del ricorso.

Viceversa, deve ritenersi che il concordato sia liquidatorio quando i creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato della liquidazione del patrimonio, con conseguente applicazione della disciplina di cui al quarto comma dell'art. 84, sopra citato, indice di evidente favor nei confronti della soluzione in continuità aziendale.

Riferimenti

Riferimenti Normativi

  • Art. 84 D.lgs. n. 14/2019
  • Art. 33 D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (convertito in in L. 7 agosto 2012, n. 134)
  • Art. 186-bis l.fall.
  • Art. 182 l.fall.
  • Art. 160 l.fall
  • Art. 4 D.L. 27 giugno 2015, n. 83 (convertito in L. 6 agosto 2015 n. 132).

Giurisprudenza

  • Tribunale di Firenze, 2 Novembre 2016
  • Tribunale di Roma, 22 Aprile 2015
  • Tribunale di Roma, 31 Luglio 2015
  • Tribunale di Alessandria 18 Gennaio 2016
  • Tribunale di Ravenna 28 Aprile 2015
  • Tribunale di Siracusa 23 Dicembre 2015
  • Tribunale Bolzano 10 Marzo 2015
  • Tribunale di Monza (decr.), 26 Luglio 2016

Dottrina

  • Lamanna, Che cos'è e quando è configurabile il concordato misto? 2015
  • S. Ambrosini, “Il piano di concordato. Continuità aziendale e cessione dei beni”, in Trattato di diritto fallimentare e altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014
  • Patti, “Il contratto d'affitto d'azienda nel concordato preventivo con continuità”, in questo portale, 2013
  • G. Macagno, “Il concordato con continuità aziendale: il confine ultimo di un istituto sotto accusa”, in Il Fall, n.1, 2016
  • G. Macagno, “Il concordato preventivo riformato nel segno della continuità aziendale”, ibid.
  • G. Moreschini, “I contratti pendenti nel concordato preventivo”, Giuffrè, 2016
  • E. Sabbatelli, “Appunti sul concordato preventivo dopo la legge di conversione del d.l. 83/2015”, in Ilcaso
  • Arato, “Il concordato con continuità aziendale”

Sommario