Retrocessione dell'azienda

Alessandro Corrado
19 Aprile 2017

Il presente contributo si propone di esaminare le conseguenze della retrocessione dell'azienda affittata al fallimento sui debiti maturati nel corso dell'affitto e sui rapporti pendenti, con particolare riguardo ai contratti di lavoro. Analisi, questa, necessariamente differente a seconda che il complesso aziendale sia stato concesso in affitto dall'imprenditore in bonis poi fallito, ovvero dal curatore stesso.
Inquadramento

Il presente contributo si propone di esaminare le conseguenze della retrocessione dell'azienda affittata al fallimento sui debiti maturati nel corso dell'affitto e sui rapporti pendenti, con particolare riguardo ai contratti di lavoro. Analisi, questa, necessariamente differente a seconda che il complesso aziendale sia stato concesso in affitto dall'imprenditore in bonis poi fallito, ovvero dal curatore stesso.

Infatti, solo con riferimento a tale seconda ipotesi il legislatore della Riforma ha sancito, con l'introduzione dell'art. 104 bis l.fall., l'irresponsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga al disposto di cui agli artt. 2112 e 2560 c.c., nonché l'applicabilità ai rapporti pendenti al momento della retrocessione della regola generale di cui agli artt. 72 ss. l.fall., con conseguente sospensione degli stessi in attesa di una determinazione del curatore.

Al contrario, il legislatore del 2006 nulla ha prescritto in relazione agli effetti dell'eventuale retrocessione dell'azienda alla procedura nel caso in cui la stessa fosse stata originariamente concessa in affitto dall'imprenditore in bonis poi fallito, pur presentando la fattispecie un'evidente importanza al fine di determinare le eventuali ricadute sul fallimento della gestione attuata dall'affittuario. Tale vuoto normativo ha dato luogo ad un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la sorte dei debiti e dei rapporti pendenti, tra cui i rapporti di lavoro, in seguito alla retrocessione: all'opinione della dottrina maggioritaria secondo cui in seguito alla restituzione del complesso aziendale alla procedura si avrebbe la prosecuzione ex lege del contratti pendenti nonché l'accollo cumulativo dei debiti, si contrappone un recente ed innovativo indirizzo giurisprudenziale, che ritiene applicabile anche a tale fattispecie il regime derogatorio di cui all'art. 104 bis l.fall.

La retrocessione dell'azienda alla procedura

La retrocessione – detta anche circolazione regressiva – può avvenire in via ordinaria per varie ragioni, quali ad esempio (i) la scadenza del termine pattuito nel contratto di affitto, qualora non sia stato previsto il rinnovo automatico, ovvero una della parti non abbia inteso rinnovare il contratto; (ii) il recesso a qualsiasi titolo dal contratto di affitto di uno dei contraenti; (iii) il recesso conseguente all'intervenuto fallimento del locatore ovvero dell'affittuario, qualora – secondo la disciplina dell'art. 79 l.fall. – una delle parti non voglia proseguire il rapporto contrattuale; (iv) la risoluzione del contratto di affitto per qualsiasi ragione essa sia avvenuta. Essa comporta a tutti gli effetti il ritrasferimento dall'affittuario al locatore del complesso di beni mobili ed immobili che fanno parte dell'azienda medesima, e dunque, anche per quanto riguarda la titolarità di debiti, crediti e contratti pendenti, comporta di regola l'applicazione delle norme specificamente previste dal codice civile, quali in particolare l'art. 2560 e l'art. 2112 c.c.

Al fine di analizzare le conseguenze degli effetti della retrocessione sui debiti maturati nel corso dell'affitto e sui rapporti pendenti, con particolare riguardo ai contratti di lavoro, occorre necessariamente differenziare due ipotesi a seconda che l'azienda fosse stata originariamente concessa in affitto dall'imprenditore in bonis poi fallito, ovvero dal curatore stesso.

Art. 104 bis, ultimo comma, l.fall.: la sorte dei debiti e dei rapporti pendenti

Come è stato appena sottolineato, nell'ipotesi in cui all'affitto d'azienda non segua l'acquisto della stessa da parte dell'affittuario, per mancato esercizio del diritto di prelazione eventualmente previsto in suo favore, si verifica la retrocessione dall'azienda alla procedura.

La circolazione regressiva del complesso aziendale comporta una serie di problematiche, legate al fatto che lo stesso nel corso dell'affitto è un soggetto economicamente attivo - contrae nuove obbligazioni, instaura ulteriori rapporti contrattuali, matura crediti - e relative, in particolare, al profilo della responsabilità per i debiti sorti durante l'affitto e della sorte dei rapporti pendenti.

Il legislatore ha tentato di far chiarezza sul punto introducendo, con riferimento alla fattispecie dell'affitto endoconcorsuale, l'ultimo comma dell'art. 104 bis l.fall., a norma del quale “la retrocessione al fallimento di aziende, o rami di aziende, non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli artt. 2112 e 2560 del codice civile. Ai rapporti pendenti al momento della retrocessione si applicano le disposizioni di cui alla sezione IV del Capo III del titolo II”.

Con la manifesta finalità di evitare che la massa venga pregiudicata da una mala gestio dell'affittuario, potenzialmente in grado di mettere a rischio il soddisfacimento delle loro ragioni sul patrimonio acquisito all'attivo fallimentare, la disposizione prevede, da un lato, l'irresponsabilità della curatela per i debiti contratti durante la vigenza del rapporto, in espressa deroga agli artt. 2112 e 2560 c.c., e dall'altro, l'applicabilità ai rapporti pendenti alla data della retrocessione degli artt. 72 ss. l.fall.

Si determina così, sotto tale ultimo profilo, un “secondo inizio della procedura” fallimentare, nel senso che lo svolgimento dell'attività da parte di un terzo ha determinato il sorgere di un complesso di rapporti contrattuali assimilabile a quello esistente al momento della dichiarazione di fallimento, meritevole di autonoma considerazione al quale il legislatore ha ritenuto di dare specifica regolamentazione.

Tuttavia, il rimando all'art. 72 l.fall., senza distinguere tra i contratti ceduti al momento dell'affitto e ancora ineseguiti e quelli sorti durante la gestione dell'affittuario, ha dato luogo a contrasti interpretativi, non consentendo di chiarire in modo univoco l'estensione del suo effettivo ambito di applicazione.La tesi maggioritaria sul punto interpreta l'omessa distinzione quale indice dell'intenzione del legislatore di assoggettare entrambe le ipotesi alla regola generale della sospensione ex art. 72 l.fall., in attesa di una determinazione del curatore, salvi i casi di scioglimento o prosecuzione automatica (così D. BENZI, L'affitto d'azienda, in Commentario G. FAUCEGLIA – L. PANZANI, II, Milano, 2009, p. 1190, e B. ROVATI, L'esercizio provvisorio e l'affitto d'azienda, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, a cura di S. AMBROSINI, Bologna, 2008).

In senso contrario, e, ad opinione del sottoscritto,in modo più convincente, altri autori hanno osservato che la disciplina di cui agli artt. 72 ss. l.fall. dovrebbe trovare applicazione esclusivamente in riferimento ai negozi conclusi dall'affittuario, essendo corretto, solo in relazione a questi ultimi, affermare che la curatela ne apprende il contenuto e ne subisce gli effetti in occasione della retrocessione (in tal senso A. PACIELLO, Sub art. 104 bis affitto dell'azienda o di rami dell'azienda,in Commentario alla Legge Fallimentare, diretto da C. CAVALLINI, Milano, 2010, pp. 947 e ss.). Tale soluzione, peraltro, è coerente con le norme generali in tema di contratto, poiché, al momento della stiipulazionedell'affitto, il terzo era a conoscenza della situazione in cui versava l'azienda oggetto di affitto.Di contro, secondo tale opinione, per i contratti trasferiti in sede di affitto e ancora ineseguiti alla data della cessazione dello stesso, l'applicazione del regime di cui all'art. 72 l.fall. darebbe adito a forti perplessità (si veda G.E. COLOMBO, L'azienda e il suo trasferimento, in Trattato Galgano, III, Padova, 1979). In particolare, in relazione a tali rapporti contrattuali il terzo ha già visto consolidare la sua posizione, in seguito alla preventiva opzione del curatore nel senso della prosecuzione del rapporto contrattuale con la procedura, con il prodursi di effetti irreversibili per la massa e per l'affittuario, che vi è subentrato. Conseguentemente, rimettendo nuovamente in discussione il rapporto contrattuale – rapporto che peraltro non potrebbe neanche più essere considerato pendente, ai sensidi una già intervenuta applicazione dell'art. 72 l.fall., giudicando la prima dichiarazione di subentro come una sorta di decisione non ripetibile – si metterebbe a repentaglio l'affidamento che il terzo aveva riposto nella sua corretta esecuzione.

In conclusione, adottando tale linea esegetica, verrebbe assicurato il rispetto del dettato normativo – che impone l'applicazione degli artt. 72 ss. ai soli rapporti pendenti – ed impedito il prodursi di effetti distorsivi, applicando l'art. 104 bis, ultimo comma, l.fall. ai soli rapporti instaurati direttamente dall'affittuario.

In evidenza: Con un taglio innovativo rispetto alle opinioni dottrinali appena esposte, un Autore ha posto in rilevo un'ulteriore possibilità, ossia di considerare il richiamo alla regolamentazione dei rapporti giuridici pendenti non già come alternativa tra subentro e scioglimento,ma tra subentro e non subentro, lasciando, in tale secondo caso, gli effetti residui del contratto – eventualmente anche quelli risarcitori – in capo all'affittuario (così A. GALLONE – M. RAVINALE, L'affitto e la cessione d'azienda nella riforma fallimentare. Profili civilistici fiscali e lavoristici, collana diretta da L. PANZANI, Milano, 2008, pp. 162 ss.).

Art. 104 bis l.fall. e rapporti di lavoro: opinioni a confronto

Particolari incertezze, sia in dottrina che in giurisprudenza, sono sorte con particolare riguardo alla possibilità di applicare la regola generale di cui all'art. 72 l.fall. ai rapporti di lavoro pendenti al momento della retrocessione.

Una prima opinione ritiene applicabile l'art. 72 l.fall. anche ai contratti di lavoro, i quali resterebbero sospesi sino ad una determinazione del curatore circa la prosecuzione o lo scioglimento, nell'ipotesi in cui lo stesso consideri superflue le prestazioni del dipendente (su cui cfr. CAIAFA, Fallimento: affitto dell'azienda e sorte dei rapporti di lavoro, in MGL, 1993, p. 600; LO CASCIO, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2007, pp. 525 ss.). Interpretazione questa che, tuttavia, non sembra tenere in debita considerazione il fatto che per i rapporti di lavoro l'art. 2112 c.c. detta una disciplina inderogabile, in quanto prevista da una norma imperativa nell'interesse dei lavoratori.

Prendendo le mosse da tale ultima considerazione, una differente opinione sostiene che la disposizione ex art. 72 l.fall. sarebbe inapplicabile a detti contratti, con conseguente subentro automatico della curatela in caso di retrocessione dell'azienda, trovando applicazione l'art. 2112 c.c., in forza del primato del principio pubblicistico di cui alla disposizione codicistica rispetto a quello sancito dalla disciplina concorsuale, sia per quanto riguarda la prosecuzione del rapporto di lavoro, che per quanto concerne il trattamento economico-normativo (in tal senso ANDRIOLI, Fallimento, in EG, XVI, Milano, 1967, p. 426; GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2007; CAIAFA, Crisi aziendale: fallimento o sopravvivenza?, in DPL, 2007, XVI. In senso parzialmente contrario A. PALUCHOWSKI, Codice commentato del fallimento, diretto da LO CASCIO, Milano, 2008, p. 1295, secondo cui il regime della sospensione troverebbe applicazione solo con riferimento agli effetti economici).

Tale ultima tesi è da ritenersi preferibile anche per ragioni sistematiche: ove il legislatore ha voluto derogare all'art. 2112 c.c. lo ha fatto espressamente, nel caso di specie, invece, l'art. 104 bis, ultimo comma, l.f. prevede quale unica espressa deroga all'art. 2112 c.c. quella relativa all'accollo dei debiti, senza nulla dire in relazione alla continuità dei rapporti di lavoro, che si deve, così, ritenere sancita implicitamente dalla stessa norma concorsuale.

In evidenza: Occorre, tuttavia, sottolineare sul punto che la Suprema Corte, con la sentenza n. 16255 del 26 luglio 2011, ha affermato il principio per cui è da escludersi la retrocessione dei lavoratori all'azienda affittante ogniqualvolta l'attività di quest'ultima sia definitivamente cessata, mentre quella dell'affittuaria era continuata. Ciò in quanto, così come affermato dai Giudici di legittimità, “l'obbligazione dell'azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno sine die di mantenimento dell'occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso, semplicemente, con la formale restituzione dell'azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che, invece, l'attività dell'impresa cedente era definitivamente cessata mentre quella dell'azienda era continuata”, vanificandosi altrimenti l'intento perseguito dal Legislatore con la disposizione di cui all'art. 2112 c.c.

Applicabilità dell'art. 72 l.f. ai rapporti di lavoro pendenti: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Orientamento favorevole

Orientamento contrario

App. Napoli, 21 gennaio 2004, in DF, 2006, II, p. 89

App. Torino, 29 novembre 2001, RCDL, 2002, p. 197

In evidenza: Merita una riflessione più approfondita la sorte dei rapporti di lavoro costituiti ex novo dall'affittuario, rapporti questi che erano inesistenti al momento della concessione in godimento dell'affitto e sono stati instaurati solo successivamente, in attuazione del piano economico e gestorio proprio dell'affittuario. Ora, ben si comprende che, ove il business planideato dal terzo fosse efficace, l'accrescimento del personale e del complesso aziendale potrebbe comportare un incremento del valore dell'azienda stessa in vista della sua futura alienazione. Tuttavia, se così non fosse, dovrebbero essere messi a disposizione del curatore strumenti volti a consentire allo stesso di eliminare le eccedenze senza la necessità di ricorrere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Strumento che non può individuarsi nel regime della sospensione ex artt. 72 ss.l.f., quanto piuttosto nella deroga di cui all'art. 47, comma 5, L. n. 428/1990, essendo la retrocessione considerata – dalla disciplina lavoristica – un trasferimento vero e proprio. Conseguentemente, ove venisse raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, il curatore potrebbe escludere il passaggio a ritroso di quei lavoratori assunti dall'affittuario e ritenuti in eccedenza, in applicazione del comma 5 dell'art. 47, a norma del quale “l'accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante” (In tal senso P. TULLINI, Tutela del lavoro nella crisi d'impresa e assetto delle procedure concorsuali: prove di dialogo, in RIDL, 2014).

Retrocessione di azienda affittata prima del fallimento e art. 79 l.fall.: la disciplina dei contratti pendenti

Se per l'affitto endofallimentare l'art. 104 bis l.fall. disciplina gli effetti dell'eventuale retrocessione dell'azienda alla procedura, la Riforma del 2006 non ha, invece, offerto alcuna soluzione con riferimento alla circolazione inversa dell'azienda originariamente concessa in affitto dall'imprenditore in bonis poi fallito, pur presentando la fattispecie in oggetto un'evidente importanzaal fine di determinare le eventuali ricadute, sul fallimento, delle attività poste in essere dall'affittuario.

In caso di ritrasferimento dell'azienda dall'affittuario al curatore si pone, in primo luogo, il problema di individuare i beni ed i rapporti giuridici costituenti l'azienda, che devono essere retrocessi al fallimento. A tal proposito, le possibili soluzioni sono sostanzialmente due: trasferire l'azienda nello stato in cui si trovava al momento della dichiarazione di fallimento, escludendo pertanto i contratti stipulati ex novo dall'affittuario, ovvero restituire la stessa nello stato in cui si trova in occasione della retrocessione.Tale ultima soluzione è stata, peraltro, recentemente avvalorata da una pronuncia del tribunale di Monza (19 novembre 2013, Affitto di azienda, retrocessione al fallimento, disciplina dei rapporti pendenti e responsabilità per i crediti di lavoro, in Il Caso), che ha osservato come in ipotesi di retrocessione del complesso aziendale al fallimento operi il principio generale di cui all'art. 2558 c.c., e conseguentementei contratti già facenti parte dell'azienda ed ancora ineseguiti al momento della retrocessione si trasferiscono al concedente, così come quelli conclusi direttamente dall'affittuario per la gestione ed il funzionamento dell'azienda.

Quanto, poi, alla sorte dei debiti e dei rapporti pendenti in seguito alla retrocessione, l'assenza di una disciplina legislativa ha determinato il sorgere di un acceso dibattito sul punto: in particolare, è tuttora discusso se la disciplina di cui all'art. 104 bis, comma 6, l.fall., abbia o meno valenza di principio generale applicabile anche in caso di affitto c.d. esofallimentare.

Secondo la dottrina maggioritaria, in seguito alla restituzione del complesso aziendale alla procedura si avrebbe la prosecuzione opelegisdi tutti i contratti pendenti al momento della retrocessione, nonché l'accollo cumulativo dei debiti, se maturati e non adempiuti durante l'affitto, collocandosi il regime derogatorio di cui all'art. 104 bis l.fall. in una disposizione espressamente dedicata al contratto di affitto concluso dal curatore ed avente natura eccezionale (si veda R. ROSSI, Art. 79 Contratto di affitto d'azienda, in Commentario alla legge fallimentare, diretto da C. CAVALLINI, Milano, 2010, p. 495. In senso conforme L. GUGLIELMUCCI, Diritto fallimentare, Torino, 2007, pp. 138 ss.). Circostanza questa che escluderebbe necessariamente la possibilità di ipotizzare una sua applicazione analogica (così M.C. GIORGETTI – F. CLEMENTE, La legge fallimentare commentata, Milano, 2007, p. 236; P. TULLINI, Tutela del lavoro nella crisi d'impresa e assetto delle procedure concorsuali: prove di dialogo, in Riv. it. dir. lav., 2014).

Conseguentemente, il curatore, ove decidesse nel senso della continuazione del rapporto contrattuale, accetterebbe altresì l'applicazione degli artt. 2112 c.c. e 2560 c.c. al momento della retrocessione, e il subentro in tutti i negozi stipulati dall'affittuario per l'esercizio dell'impresa, ai sensi dell'art. 2558 c.c., non potendo trovare applicazione gli artt. 72 ss. l.fall.

Non manca, tuttavia, chi ritiene al contrario che l'art. 104 bis, ultimo comma, l.fall. sia applicabile – in caso di circolazione regressiva – anche al contratto di affitto di azienda in corso di esecuzione al momento della dichiarazione di fallimento. Tale soluzione interpretativa si basa su un duplice ordine di considerazioni: da un lato, ove le norme previste per il contratto stipulato dal curatore non trovassero applicazione altresì con riferimento alla fattispecie disciplinata dall'art. 79 l.fall. si realizzerebbe un'ingiustificata disparità di trattamento tra due fattispecie analoghe (cfr. sul punto S. SANZO – A. BIANCHI, Manuale delle procedure concorsuali, Milano, 2007, p. 395), dall'altro, gli effetti dell'applicazione della responsabilità solidale ex legerenderebbero difficilmente praticabile ogni continuazione del rapporto pendente alla data della dichiarazione di fallimento (così F. FIMMANO', L'affitto di azienda preesistente al fallimento, in IlCaso, II – Dottrina, opinione e interventi).

Il recente revirement della giurisprudenza

Ponendosi in contrasto rispetto all'indirizzo maggioritario, la già citata pronuncia del Tribunale di Monza del 19 novembre 2013 ha ritenuto applicabile la disposizione di cui all'ultimo comma dell'art. 104 bis l.fall. anche all'ipotesi in cui il contratto di affitto sia stato stipulato dall'imprenditore in bonis poi fallito,al fine di evitare la paventata disparità di trattamento tra fattispecie assimilabili.

Infatti, il curatore, che non abbia concorso alla definizione del contenuto del contratto e che, al momento della dichiarazione di fallimento, si trovasse nella condizione di doverlo accettare o rifiutare in blocco, nell'ipotesi in cui reputasse conveniente la prosecuzione del rapporto e in assenza dell'applicazione del regime derogatorio, subirebbe gli effetti pregiudizievoli non previsti di un accordo che non ha concorso a delineare.

Come è facilmente intuibile, il principio ispiratore è sempre quello della finalità conservativa dei valori di funzionamento dell'azienda in grado di consentire una migliore liquidazione nell'interesse della massa creditorum: per tale motivo – argomenta la sentenza in esame – pare illogico consentire che nella massa fallimentare si producano effetti differenziati a seconda che la curatela sia subentrata nel contratto di affitto, o che l'abbia concluso ex novo.

Pertanto, una volta avvenuta la retrocessione, ferma restando l'irresponsabilità del fallimento non solo del debito prededucibile post-fallimentare, ma anche di quello concorsuale maturato in epoca successiva all'instaurazione del rapporto sino all'avvenuta restituzione dell'azienda alla procedura, la sorte dei rapporti pendenti è quella specifica dei contratti in essere alla data del fallimento di cui agli artt. 72 ss. l.fall.: in particolare, in base a tale norma si istituisce un regime di sospensione dei rapporti finché il curatore non assuma una determinazione. Regola questa che avrebbe portata generale, riferendosi non solo ai rapporti contrattuali conclusi ex novo dall'affittuario, ma anche a quelli preesistente all'affitto, nei quali quest'ultimo sia subentrato: infatti, si legge nella sentenza in oggetto, “il rapporto pendente non si consolida nella massa fallimentare con effetti irreversibili quando il mantenimento del contratto è funzionale all'affitto dell'azienda e rappresenta per il curatore una scelta di fatto vincolata dalla necessità di gestire in maniera utile la fase di passaggio alla gestione esternalizzata dell'impresa”.Pertanto, a mente di tale indirizzo interpretativo, la scelta della prosecuzione del rapporto, in quanto scelta obbligata in vista dell'affitto del complesso aziendale nell'interesse della massa, potrebbe essere rimessa in discussione una volta che, cessato l'affitto, l'azienda ritornasse in capo alla procedura.

Infine, quanto al profilo della responsabilità per i debiti maturati in costanza di affitto, ed a ulteriore sostegno della tesi sostenuta, la sentenza in esame sottolinea come, in caso di circolazione regressiva, il principio della responsabilità solidale tra cedente (l'originario affittuario) e cessionario (il cedente iniziale) non troverebbe applicazione in ogni caso, anche in mancanza della specifica deroga di cui all'art. 104 bis, comma 6, l.fall. Ciò in quanto, sulla base delle norme generali disciplinanti il trasferimento d'azienda, ed in particolare dell'art. 2560 c.c., l'acquirente dell'azienda deve rispondere dei debiti solo ove si realizzi una fuoriuscita dell'azienda dal patrimonio del titolare. Circostanza questa che non si realizzerebbe in occasione della retrocessione, in quanto in caso di cessazione di affitto, il soggetto a cui viene restituito il complesso aziendale non è propriamente acquirente, non essendovi alcun riacquisto della proprietà dello stesso, che è sempre restata in capo alla curatela, mentre l'affittuario ne ha avuto solo il godimento.

Le questionianalizzate dal tribunale di Monza risultano affrontate con una motivazione innovativa da una successiva pronuncia del tribunale di Milano (decreto 5 maggio 2015, n. 5571, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 4, II, 2015) che giunge alla medesima soluzione – ossia l'esclusione della responsabilità solidale della massa per i debiti, ed in particolare per quelli verso i dipendenti, maturati durante l'affitto d'azienda, sino alla restituzione al curatore – non già attraverso l'applicazione, in via diretta ed estensiva, dell'art. 104 bis, comma 6, l.f., bensì mediante, da un lato, la retrodatazione degli effetti dello scioglimento dei rapporti pendenti e, dall'altro, una recente e innovativa interpretazione della disposizione di cui all'art. 2112 c.c.

In particolare, la sentenza in commento, concentrandosi su tematiche strettamente giuslavoristiche, relative alla responsabilità per il credito per t.f.r., giunge ad affermare l'irresponsabilità della procedura per i debiti da lavoro dipendente – sia concorsuali che prededucibili – sorti in costanza di affitto, a partire da due differenti ordini di considerazioni.

In primo luogo, il collegio afferma l'inopponibilità alla procedura degli effetti dei contratti retrocessi per il periodo successivo alla dichiarazione di fallimento, rilevando che la responsabilità della curatela per i rapporti di lavoro proseguiti in capo al terzo sino al recesso dal contratto di affitto di azienda sarebbe contraria alla ratio dell'art. 72 l.fall. La norma infatti sancisce l'irresponsabilità della curatela per i contratti a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguiti da entrambe le parti, la quale, costituendo espressione di un principio generale, deve ritenersi applicabile anche al caso del contratto di affitto di azienda stipulato anteriormente alla dichiarazione di fallimento.Conseguentemente, ove il curatore abbia esercitato il diritto di recesso ex art. 79 l.fall. e abbia contemporaneamente, o successivamente, esercitato il potere di scioglimento dai contratti pendenti ex art. 72 l.fall., il recesso opera retroattivamente dal momento della dichiarazione di fallimento, e “riporta sostanzialmente le lancette del rapporto tra fallimento dell'affittante e lavoratore già in forze all'affittuario (come per gli altri contraenti a prestazioni corrispettive parzialmente ineseguite da entrambe le parti) alla sentenza dichiarativa di fallimento (una sorta di zero hour rule), a differenza del recesso dal contratto di affitto di azienda in relazione al rapporto di affitto pendente con l'affittuario”.

Dal principio così affermato discendono due corollari: che il lavoratore può insinuarsi al passivo solo per i debiti maturati fino alla data di fallimento e che gli stessi hanno natura concorsuale.

Pervenuto a tale conclusione, il provvedimento in esame si pone l'ulteriore problema della responsabilità della procedura per le quote di t.f.r. maturate dal momento in cui il lavoratore è passato alle dipendenze dell'affittuario e sino all'intervenuto fallimento dell'affittante, debito questo sicuramente di natura concorsuale. Sotto tale profilo, i giudici milanesi giungono ad affermare l'irresponsabilità del fallimento per il suddetto credito concorsuale argomentando a partire dalla stessa strutturazione del t.f.r., quale istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell'accantonamento e della rivalutazione e diviene meramente esigibile all'atto della cessazione del rapporto di lavoro (richiamando sul punto Cass. 22 settembre 2011, n. 19291, in DeJure; Cass. 14 maggio 2013, n. 11479, in DeJure). Il carattere retributivo del t.f.r. determina un rapporto di corrispettività tra prestazione lavorativa e controprestazione dovuta dal datore di lavoro che abbia usufruito della stessa, sicché, in ragione della sussistenza di tale nesso di sinallagmaticità, deve essere il principale soggetto obbligato a corrispondere tale quota di retribuzione. In particolare, è stato in tale occasione rilevato che “il T.F.R. in quanto maturato anno per anno, può essere ripetuto in caso di trasferimento d'azienda in danno del cessionario solo nel caso di circolazione inversa dell'azienda, ma con l'eccezione del periodo per il quale il lavoratore sia stato alle dipendenze del cedente. Il fallimento del concedente può rispondere solo del T.F.R. maturato sino al momento del trasferimento, mentre per il periodo successivo risponderà solo il cessionario”.

Viene così operato lo “spacchettamento” (secondo il termine utilizzato dal decreto citato) del credito da t.f.r. e posto in rilievo il carattere sinallagmatico intrinseco dei contratti a prestazioni corrispettive, garantendo l'inopponibilità alla procedura di quei debiti maturati in seguito allo svolgimento di prestazioni effettuate in favore dell'affittuario e non già della curatela. Il principio qui affermato è infatti da ritenersi applicabile non solo al credito per trattamento di fine rapporto, ma a tutti quelli che il dipendente possa vantare in seguito allo svolgimento della prestazione lavorativa alle dipendenze dell'affittuario.

Peraltro, stante la delicatezza della tesi in questione, che comporterebbe di fatto una deroga implicita al principio della responsabilità solidale ex art. 2112, comma 2, c.c., occorrerà verificare i futuri orientamenti della Cassazione sul punto.

In conclusione, a partire dalle diverse tesi avanzate dalla recente giurisprudenza di merito e di legittimità, pare potersi dire superato quell'indirizzo interpretativo che riteneva, in assenza di esplicita deroga, applicabile alla fattispecie di cui all'art. 79 l.fall., in caso di retrocessione dell'azienda, la regola della responsabilità solidale per i debiti maturati in costanza di affitto.

Sommario