Legittimazione del curatore all’azione di responsabilità verso gli amministratori e pagamenti preferenziali

Giulio Fanciaresi
25 Maggio 2017

Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori.
Massima

Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori.

Il caso

Gli amministratori di una s.r.l. dichiarata fallita avevano commesso diverse irregolarità gestionali: oltre ad avere illegittimamente proseguito l'attività d'impresa dopo la perdita del capitale sociale e avere distratto liquidità, gli stessi avevano anche effettuato pagamenti preferenziali a beneficio di una società creditrice.

In relazione a questi ultimi fatti gli ex amministratori erano stati imputati del reato di bancarotta preferenziale (art. 216, comma 3, l.fall.) (F. Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, II, Milano, 2014, 138 ss.; E. Corucci, La bancarotta e i reati fallimentari, Milano, 2013, 127 ss.; A. Fiorella-M. Masucci, Gestione dell'impresa e reati fallimentari, Torino, 2014, 52 ss.) in un procedimento penale conclusosi con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. In quella sede il curatore fallimentare si era costituito parte civile ai sensi dell'art. 240, comma 1, l.fall.; norma che, in relazione ai reati previsti dal titolo VI l.fall., inclusa, dunque, la bancarotta preferenziale, riconosce espressamente al curatore siffatta possibilità(U. De Crescienzo, Le azioni di responsabilità nelle procedure di fallimento delle società di capitali, ex art. 146 l. fall., in AA.VV., Crisi d'impresa e procedure concorsuali, II, O. Cagnasso-L. Panzani (diretto da), Torino 2016, 2737 ss.). Il particolare esito del procedimento, tuttavia, aveva impedito al giudice penale di statuire sulla domanda risarcitoria, conformemente al disposto dell'art. 444, comma 2, c.p.p.

Pertanto il curatore fallimentare riproponeva la domanda avanti al giudice civile competente, ossia il Tribunale di Milano (Trib. Milano 18 gennaio 2011, in Giur it., 2011, 1313) e, a seguito di impugnazione, la Corte d'Appello di Milano. Entrambi i Collegi di merito, dopo un parziale accoglimento delle altre domande avanzate dal Fallimento, escludevano tout court la legittimazione attiva del curatore con riguardo alla riparazione del danno derivante da pagamenti preferenziali.

Il Fallimento soccombente ricorreva in Cassazione contro la sentenza della Corte d'Appello di Milano. La causa, dietro sollecitazione della Terza Sezione (Cass. civ. 26 luglio 2016, n. 15501), veniva assegnata dal Primo Presidente alle Sezioni Unite.

La questione giuridica

La sentenza in commento ha affrontato la questione di diritto della «legittimazione del curatore fallimentare a esercitare l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società fallita che abbiano eseguito pagamenti preferenziali», calandola nel più ampio contesto dell'azione di responsabilità esercitabile dal Fallimento verso gli amministratori (art. 146, comma 2, lett. a), l.fall.), che viene opportunamente illustrato mediante la disamina di due rilevanti questioni preliminari.

Con queste ultime gli ermellini hanno osservato che caratteristica saliente della legittimazione del curatore fallimentare ad intraprendere iniziative risarcitorie è quella di essere generale e unitaria: sotto il primo profilo, infatti, egli può esercitare l'azione di responsabilità tanto nei confronti degli amministratori di s.p.a. quanto di s.r.l., mentre il secondo aspetto indica che l'azione esercitabile dal curatore concentra in sè le due azioni che spetterebbero rispettivamente alla società e ai creditori sociali (U. De Crescienzo, op. ult. cit., 2673 ss.; M. Lupoi, Le azioni di responsabilità esercitate dal curatore fallimentare. La legittimazione del curatore e la natura dell'azione, in AA.VV., Le azioni di responsabilità nelle procedure concorsuali, L. Balestra (a cura di), Milano, 2016, 339-340).

La soluzione

La Suprema Corte, valutate le peculiarità del caso, giunge ad affermare che la legittimazione del Fallimento a esercitare le azioni di responsabilità contro gli amministratori comprende «qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società» (analogamente v. Cass. civ. 21 luglio 2010, n. 17121), pertanto include anche la domanda tesa a ottenere la riparazione del danno causato da pagamenti preferenziali. In questo modo essa fa chiarezza su un punto che fino a questo momento aveva diviso la giurisprudenza di merito: alcune pronunce avevano ammesso l'azione di responsabilità esercitata dal Fallimento per i fatti di bancarotta preferenziale (Trib. Napoli 28 febbraio 2003, in Dir. prat. soc., 2003, 14-15, 81), mentre altre l'avevano negata (Trib. Milano 3 febbraio 2010, in Giur. it., 2010, 2352; Trib. Milano 22 dicembre 2010, in Le società, 2011, 757; Trib. Milano 24 ottobre 2012, in www.giurisprudenzadelleimprese.it).

La conclusione a cui approdano i giudici di legittimità muove dalla premessa che il pagamento preferenziale produce un danno diretto al patrimonio della società e, di riflesso, alla massa dei creditori che vedono in esso la garanzia generica dei loro diritti. Ne consegue che deve essere riconosciuta al curatore fallimentare la legittimazione ad agire per il suo risarcimento, essendo ormai assodato che «nel sistema della legge fallimentare (…) la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c.d. di massa – finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari» (Cass. civ. 28 marzo 2006, n. 7029, n. 7030, n. 7031; in dottrina v. M. Lupoi, op. ult. cit., 336, 343-350), che concorreranno secondo il principio della par condicio creditorum sull'ammontare così recuperato. In questo modo ermellini si discostano dalla valutazione fatta dai giudici di merito.

Secondo i giudici milanesi la condotta censurata potrebbe tutt'al più procurare un danno ai singoli creditori rimasti insoddisfatti (all'esito della procedura) e, di conseguenza, dovrebbe essere rimessa a costoro qualsiasi iniziativa risarcitoria; nessuna lesione, invece, verrebbe procurata alla massa creditoria considerata nel suo complesso, poiché per effetto del pagamento preferenziale il patrimonio sociale vede diminuire le sue attività in misura esattamente corrispondente alla posta passiva estinta. Diventerebbe, allora, necessario escludere la legittimazione del curatore fallimentare con riguardo al ristoro del danno in questione, non essendovi alcun interesse della massa dei creditori da tutelare.

Le Sezioni Unite, invece, evidenziano l'incongruenza di questo presupposto del ragionamento dei giudici di merito e approdano ad un risultato opposto.

Per comprendere la reale incidenza che ha un pagamento preferenziale sul patrimonio della società, infatti, occorre contestualizzarlo nello stato di dissesto in cui versa l'impresa in crisi.

In simile contesto il patrimonio della società non è più adibito all'esercizio dell'attività imprenditoriale ma è istituzionalmente devoluto alla migliore soddisfazione possibile dei creditori sociali secondo il principio della parità di trattamento. Peraltro, pur essendo la par condicio creditorum principio espressamente contemplato a livello generale (art. 2741 c.c.) (C. M. Bianca, Diritto civile, VII, Milano, 2012, 11-12; V. Roppo, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. Rescigno, XIX, Torino, 1985, 407 ss.), essa opera con speciale intensità in relazione alla posizione dell'imprenditore soggetto al fallimento. Costui è tenuto a rispettarla – entro certi limiti di tempo – ancora prima che sia dichiarato lo stato d'insolvenza fallimentare, dunque anteriormente alla formale “apertura” del concorso dei creditori. Sul piano civilistico, infatti, in simile contesto l'effettiva parità fra i creditori è presidiata con effetto retroattivo dalla regola che – a certe condizioni e per un certo periodo (sei mesi nel regime vigente) – assoggetta a revoca anche i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili effettuati prima del fallimento (art. 67 l.fall.). Sotto il profilo penale la tutela della par condicio è rafforzata dal reato di bancarotta preferenziale, che giustappunto concerne gli adempimenti effettuati «prima o durante la procedura fallimentare» (art. 216, comma 3, l.fall.).

Nella normalità dei casi, invece, ciascun creditore è libero di aggredire con una procedura esecutiva individuale il patrimonio del debitore e solo l'eventuale – e facoltativa – adesione di ulteriori creditori all'esecuzione già intentata da altri farà scattare l'obbligo di soddisfarli tutti in modo proporzionale (F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2015, 658 ss.; A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 2015, 834 ss.).

Da queste osservazioni, dunque, si ricava che per una società che svolge ordinariamente attività d'impresa ogni pagamento è contabilmente neutro perché ciascun creditore ha diritto a ricevere intera soddisfazione del suo diritto. Quando, invece, l'impresa sia soggetta al fallimento non è più così.

I creditori concorrono in condizione di parità (salve le cause legittime di prelazione) sul patrimonio sociale per soddisfare i lori crediti e non è affatto detto – anzi, nella normalità dei casi non sarà così – che ciascuno di essi possa essere pagato per l'intero a cui avrebbe diritto. Si comprende, dunque, che il creditore che in virtù del pagamento preferenziale riceve un pagamento per l'intero del suo diritto, oltre a essere ingiustamente favorito rispetto agli altri sotto il profilo cronologico, ottiene più di ciò che gli sarebbe spettato osservando il principio della parità di trattamento, con la conseguenza che quel “più” viene indebitamente sottratto al patrimonio sociale e per effetto di ciò al concorso di tutti gli altri creditori, che vedono diminuire la garanzia generica.

Di qui la legittimazione del Fallimento ad agire per il risarcimento del danno da pagamento preferenziale con una c.d. azione di massa che va a vantaggio della platea dei creditori.

Osservazioni

La sentenza descrive con chiarezza e precisione il contenuto e l'estensione dell'azione risarcitoria esercitabile dal curatore fallimentare nei confronti degli amministratori di una società fallita. Nel quadro che ne esce disegnato trova collocazione anche il potere del curatore di far valere la responsabilità degli amministratori per fatti di bancarotta preferenziale, poiché siffatta condotta è idonea e ledere il patrimonio della società nella sua funzione di garanzia generica di tutti i creditori.

La soluzione offerta dalla Suprema Corte rappresenta, pertanto, una rigorosa e corretta applicazione dei principi generali che informano la materia fallimentare e civilistica in genere. Tra essi spicca, naturalmente, la par condicio creditorum, che il curatore fallimentare è ammesso a salvaguardare esercitando quelle che si sono viste essere le c.d. azioni di massa. Con la doverosa precisazione, peraltro, che la parità di trattamento dei creditori, lungi dall'imporre che essi siano tutti soddisfatti in modo effettivamente paritario, tende più che altro a escludere qualsiasi rilevanza al criterio cronologico del sorgere del credito come ordine di soddisfazione dei creditori (V. Roppo, op. ult. cit., 408).