Misure di prevenzione: il ruolo del curatore e dell'amministratore giudiziario

Andrea Ferri
21 Giugno 2017

Il ruolo del curatore si è profondamente modificato dopo il D.L 83/2015 e il D.L. 59/2016. Efficienza, tempestività nelle strategie liquidatorie, rapidità nel ripristino della continuità aziendale sono diventati i nuovi dogmi sanciti dall'art. 104-ter l.fall., che ha trasfuso in legge le prassi e le direttive delle sezioni fallimentari.
Premessa

Il ruolo del curatore si è profondamente modificato dopo il D.L 83/2015 e il D.L. 59/2016. Efficienza, tempestività nelle strategie liquidatorie, rapidità nel ripristino della continuità aziendale sono diventati i nuovi dogmi sanciti dall'art. 104-ter l.fall, che ha trasfuso in legge le prassi e le direttive delle sezioni fallimentari.

Il nuovo art. 104-ter, unitamente all'art. 104 sull'esercizio provvisorio e all'art. 104-bis sull'affitto d'azienda, scandiscono una nuova, pressante tempistica nella predisposizione del programma di liquidazione (al massimo entro 180 giorni dalla sentenza di fallimento).

Inoltre, il secondo comma, lettera f) dell'art. 104-ter, stabilisce il termine massimo di due anni dalla sentenza di fallimento per dare attuazione (rectius completamento) al programma di liquidazione.

Di solito i primi 30 giorni sono determinanti per i risultati del salvataggio aziendale in procedura, con tutte le problematiche che questo determina (un team affiatato con varie specializzazioni nei risanamenti, un legale che, contemporaneamente, promuova le azioni risarcitorie di cui all'art. 146 l.fall., con eventuali ulteriori istanze cautelari civili).

Senza dimenticare le oramai abituali sanzioni nei confronti dell'Italia da parte della Comunità internazionale per mancato adeguamento alla normativa in materia di durata del processo (a salvaguardia dei diritti dell'uomo), oltre alla recente giurisprudenza di merito e di legittimità, formatasi in Italia riguardo alla cosiddetta Legge Pinto (durata massima 6 anni di un procedimento giudiziale), cui sono attivamente legittimati tutti i singoli creditori.

In questo dibattito, con ulteriori ed imminenti modificazioni in un'ottica de jure condendo, si innescano, nella procedura concorsuale, le misure di prevenzione, con evidente rallentamento di tutto quel processo virtuoso di ripristino della continuità aziendale che, giocoforza, deve avvenire nei primi giorni di attività del curatore fallimentare e dell'amministratore giudiziario (esercizio provvisorio).

Azienda e malavita: le peculiarità

Prima di addentrarci nell'analisi delle varie tipologie di sequestro, è bene circoscrivere il campo di analisi ad un'azienda “vera” (di possibile appetibilità da parte della malavita), tipicizzandone le peculiarità anche, genericamente riconoscibili, nelle distonie creatasi nell'economia dopo l'inizio della crisi mondiale (ammissione al Chapter eleven della Banca d'affari Leman Brothers nel settembre 2008) e non ad una “tipica cartiera” che fa dell'attività illecita il suo core business (Cfr. Enzo Bivona, Il bene dell'azienda, Scritti in onore di Vittorio Cosa - Aspetti critici nei processi di risanamento e sviluppo duraturo delle aziende confiscate alla criminalità organizzata).

Tipicamente trattasi di una PMI a base familiare, insolvente, con una storia importante (fondata 50, ma anche 60 anni prima, ben consolidata nel territorio, con punti forti rappresentati, di solito, dagli “intangibles”) con le seguenti, ulteriori, peculiarità:

• Necessità del ripristino della continuità aziendale ma anche della regolare tenuta della contabilità generale, della contabilità analitica, del controllo di gestione, della redazione del piano industriale e del rendiconto finanziario;

• Declino di prodotto: l'impresa da molti esercizi (anche 5-10) non investe in ricerca e sviluppo, in tecnologia di prodotto, ed il manufatto, pur se ben congegnato, è già obsoleto e superato dalla concorrenza;

• Fatturati “in picchiata”, mediamente ridotti del 50% rispetto agli esercizi migliori, quelli fino al 2007/2008, con operazioni a leva finanziaria stipulata ante crisi ed oggi insostenibili (EBITDA inferiore a 1,3-1,5 del DEBT SERVICE COVER RATIO – DSCR - flussi di cassa negativi );

• Evidenti casi di ristrutturazioni aziendali (non risolutive) volte solo a ridurre l'organico, ma prive di un piano industriale coerente col ritorno al valore (si riscontra ad es. il più delle volte, un generico accesso ai mercati stranieri emergenti – Cina in primis - senza però una visione globale di quella che dovrebbe essere una appropriata market-strategy);

• Bilanci degli ultimi esercizi che rappresentano utili risicati, con rilevantissime svalutazioni e deprezzamenti imputati nell'ultimo esercizio, evidenti manipolazioni estetiche dei 3/4 anni precedenti, in un acclarato stato di azzeramento del patrimonio netto in epoche pregresse;

• Una governance il più delle volte poco professionale, che invece di recuperare efficienza, tenta di evitare ogni coinvolgimento risarcitorio personale, mediante comportamenti opportunistici (disinteressandosi degli assets aziendali e del loro svilimento);

• La mancata politica dei “tagli” attuata non permette nemmeno l'accesso agli “ammortizzatori sociali” danneggiando il personale dipendente, la cui professionalità è uno dei punti di forza dell'impresa;

• Aziende per lo più “imprigionate” in rilevanti compendi immobiliari, con insostenibili effetti leva finanziaria sui bilanci, beni di difficile vendibilità anche a prezzi di realizzo, corredati di mutui ipotecari incapienti (la vendita non dà nessun beneficio in termini finanziari);

• Casi in cui, essendosi verificata l'ipotesi di scioglimento già da alcuni esercizi (perdita del going concern), l'azienda brucia cassa “come una vaporiera” e non permette neppure minimi investimenti;

• Il personale è sfiduciato, in alcuni casi non riceve i salari da mesi e la conflittualità con i manager tocca livelli altissimi; le professionalità più rilevanti lascano l'azienda;

• Manca una tutela degli assets immateriali (intangibles), come marchi e brevetti, alla cui registrazione e tutela la governance non ha prestato sufficiente attenzione;

• I punti forti sono rappresentati dalle: i) maestranze italiane, dai processi, dalla rete commerciale (il più delle volte facente parte di una filiera o di un distretto), ii) competenze professionali avanzate (know how), iii) fantasia, dedizione all'impresa, buon gusto, iv) capacità di adattamento all'ambiente, v) sinergia col distretto, vi) tipico è il fenomeno del back – reshoring (ritorno delle PMI italiane dalla delocalizzazione di manodopera all'estero).

Un importante studio del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti identifica ulteriormente la tipologia di impresa che potrebbe trovarsi “nelle mani” della criminalità organizzata (Documento fondazione nazionale Dottori Commercialisti, Roma 15 marzo 2016, Luca D'Amore, Tommasi Di Nardo, e Jessica Nespoli, “La tutela dei lavoratori nelle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”):

  • Sono preferite le società a responsabilità limitata: facili da costituire e da gestire, utili per occultare la proprietà;
  • Ampio uso di parenti come prestanome;
  • Ampio uso di partecipazioni incrociate e scatole cinesi;
  • Pochi professionisti e manager esterni;
  • Necessità di un controllo diretto sull'impresa, in particolare per la “Ndrangheta”;
  • Uso ridotto di imprese registrate all'estero.

Sono interessanti anche altri dati:

Fonte: Ministero degli Interni 2013

Forme giuridiche delle aziende mafiose:

  • S.R.L. 46.7%
  • Società di persone 26%
  • Imprese individuali 23.1%
  • S.P.A. 2.7%
  • Non identificate 1.5%

La situazione economico-finanziaria delle aziende mafiose:

  • Bassa profittabilità rispetto alle imprese legali dello stesso settore, anche per cattiva gestione;
  • Basso indebitamento bancario e finanziario;
  • Alti livelli di debiti commerciali per:

- Nascondere risorse illecite

- Mancato pagamento dei fornitori

  • Alti livelli di liquidità e crediti commerciali per:

- Avere risorse subito disponibili

- Nascondere trasferimenti di denaro a favore degli affiliati

Distribuzione delle aziende mafiose per settore di attività economica (Aziende confiscate in Italia per settore di attività economica. 1983-2012):

  • Altro 0.1%
  • Altri servizi pubblici, sociali e personali 5.2%
  • Sanità e assistenza sociale 1.2%
  • Attività immobiliari, noleggio, informatica 9%
  • Attività finanziaria 1.6%
  • Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 3.9%
  • Alberghi e ristoranti 10.5%
  • Commercio all'ingrosso e al dettaglio 29.4%
  • Costruzioni 28.8%
  • Fornitura energia, gas e acqua 0.4%
  • Attività manifatturiere 2.2%
  • Estrazione di minerali 1.4%
  • Agricoltura, caccia e pesca 6.5%
Le tipologie di sequestro sull'azienda: l'impatto sulla continuità aziendale

Possono coesistere due vincoli sull'azienda, ovverosia le misure di prevenzione e la procedura concorsuale, ma non devono rallentare il processo di spossessamento dei soggetti apicali indagati (D.Lgs. 159/2011) o dell'Ente (rectius dell'impresa D.Lgs. 231/2001).

Solo con la dichiarazione di fallimento della società si può verificare l'”effetto purgativo”, per il tramite della cessione a terzi dell'azienda (artt. 2555 e 2560 c.c.)

Sia con la misura di prevenzione del D.Lgs. 159/2011, che con quella del D. Lgs. 231/2001, i primi trenta giorni della procedura di prevenzione sono fondamentali per il ripristino della continuità aziendale e della legalità (Francesco Fimmanò - Roberto Ranucci, Sequestro penale dell'azienda e rappresentanza legale della società: la convivenza “di fatto” di amministratori giudiziari delle “res” e amministratori volontari delle persone giuridiche, Diritto penale dell'Impresa, 21 ottobre 2015).

La crisi della legalità, solitamente accompagnata dalla crisi di impresa e dall'insolvenza, necessita, a seguito di opportuna relazione al PM sui requisiti di fallibilità, dell'istanza di fallimento ex art. 7 l.fall., volta al completo spossessamento dell'impresa in capo ai soggetti apicali indagati (Alberto Capuano, Il sequestro penale preventivo ed il rapporto con le procedure concorsuali, Diritto penale dell'Impresa, 25 febbraio 2013).

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Entrando nel cuore del problema, sinteticamente si possono individuare tre tipologie di sequestro preventivo che si vanno ad innescare, a volte in maniera confliggente, con la continuità aziendale:

  • sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex D.Lgs. 159/2011;
  • sequestro preventivo per altri reati (truffa, appropriazione indebita, 640 c.p., 646 c.p. ecc.) ex art. 104 c.p.p.;
  • sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex D. Lgs. 231/2001, art. 19.
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex D.Lgs. 159/2011

La gestione dell'amministrazione giudiziaria prevale sempre sul fallimento (artt. 63 e segg D. Lgs. 159/2011). La “blindatura” tipica della procedura concorsuale può fortificare il lavoro ed il programma di liquidazione, lo stato passivo e l'esercizio provvisorio dell'amministrazione giudiziaria che non rischia, dopo la gara di vendita, richieste di risarcimento danni in caso di revoca della misura di prevenzione, poiché totale è lo spossessamento dell'imprenditore e dei soggetti apicali indagati (nell'ipotesi di procedura competitiva indetta prima della confisca definitiva per pericolo di interruzione della continuità aziendale).

Nel caso in cui l'attivo inventariato nell'ambito della procedura fallimentare dichiarata su iniziativa del P.M. ex art. 63 ed art. 7 l.fall., coincide con l'attivo sequestrato, il Fallimento si chiude ai sensi dell'art. 119 l.fall.

Nel caso di perenzione del sequestro o di revoca della confisca pronunciata del giudice di prime cure, il Fallimento può essere riaperto dal Tribunale su istanza del debitore o di qualunque creditore, ai sensi dell'art. 121 l.fall.. Nella procedura fallimentare verrà riversato tutto l'attivo realizzato nell'ambito della procedura di prevenzione (anche le somme nette rivenienti dalla vendita con procedura competitiva dell'azienda) e le somme realizzate mediante i giudizi intentati.

La Cassazione penale, con sentenza a SS.UU. n. 11170 del 17 marzo 2015, ha posto le basi per una gestione del programma di liquidazione condiviso tra curatela ed amministratore giudiziario (Le SS.UU. hanno sottolineato come le finalità dei due vincoli, quello fallimentare e quello penale, siano del tutto differenti e non confliggenti, in quanto l'art. 19 del D. Lgs. 231/01 prevede che siano salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede, senza porre limiti temporali alla prova della acquisizione del diritto, in quanto è possibile che al terzo venga riconosciuta l'acquisizione in buona fede dopo la confisca).

La metodologia tratteggiata, ove il sequestro di cui all'art. 19 D.Lgs. 231/01 eseguito sui beni viene convertito, dopo la gara ex artt. 105 e 107 l.fall., sulle somme (nette da spese) incassate, non può essere, tout court, applicata all'azienda che soggiace al sequestro ex D.Lgs. 159/2011, tuttavia il dogma “ i due vincoli possono coesistere” può offrire lo spunto per interessanti soluzioni volte alla rapida vendita dell'azienda, prima ancora della confisca.

Vediamo i passi logici del ragionamento, con un breve excursus delle norme e della giurisprudenza relativi al Codice antimafia, prima e dopo la stesura del novellato del 2011:

Art. 63, D.Lgs. 159/2011 Dichiarazione di fallimento successiva al sequestro:

IV comma: “Quando viene dichiarato il fallimento, i beni assoggettati a sequestro o confisca sono esclusi dalla massa attiva fallimentare”;

V comma: “Nel caso di cui al comma 4, il giudice delegato al fallimento provvede all'accertamento del passivo e dei diritti dei terzi nelle forme degli artt. 92 ss l.fall., verificando altresì, anche con riferimento ai rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 52 comma 1, lettere b), c), e d) e comma 3 del presente decreto”;

VII comma: “Se nella massa attiva del fallimento sono ricompresi esclusivamente beni già sottoposti a sequestro, il tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dichiara chiuso il fallimento con decreto ai sensi dell'art. 119 l.fall.. Si applicano in tal caso le disposizioni degli articolo 52 e seguenti del presente decreto”;

VIII comma:” In caso di revoca del sequestro o della confisca, il curatore procede all'apprensione dei beni ai sensi del capo IV del titolo II l.fall.. Se la revoca interviene dopo la chiusura del fallimento, il Tribunale provvede ai sensi dell'art. 121 l.fall. anche su iniziativa del P.M. “.

Art. 64 Sequestro successivo alla dichiarazione di fallimento :

I COMMA: “Ove sui beni compresi nel fallimento ai sensi dell'art. 42 l.fall., sia disposto il sequestro, il giudice delegato al fallimento, sentito il curatore ed il comitato dei creditori, dispone con decreto non reclamabile la separazioni di tali beni dalla massa attiva del fallimento e la loro consegna all'amministratore giudiziario”.

Prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 159/11, la giurisprudenza sosteneva l'autonomia tra procedimento penale o di prevenzione e procedurafallimentare. La dichiarazione di fallimento non era considerata di ostacolo ai successivi provvedimenti di sequestro o di confisca antimafia dei beni compresi nel fallimento, in quanto il meccanismo dello spossessamento che si realizza nel fallimento non si concretava in una forma di privazione della disponibilità giuridica dei beni, la cui titolarità permane, ad ogni effetto, in capo al debitore, ma in un semplice assoggettamento degli stessi ai fini della procedura esecutiva concorsuale (cfr. in questo senso, App. Palermo, 14 novembre 1996). Il fallimento dell'imprenditore o della società poteva essere dichiarato anche dopo il sequestro di una parte o di tutti i suoi beni, ma questi continuavano a soggiacere al vincolo di indisponibilità fino all'eventuale confisca. La sopravvenuta confisca, in tal caso, sarebbe stata, comunque, opponibile alla massa dei creditori ove il sequestro di prevenzione precedente alla confisca fosse stato trascritto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento. Gli effetti si consideravano retroattivi, secondo la previsione dell'art. 2906 c.c., che estende al creditore sequestrante la tutela riservata al creditore pignorante (cfr. Cass. civ., 7 febbraio 2007, n. 2718) (Marco Zincani – 15/2/2013 e segg. Atti del corso di Alta Formazione Università di Bologna Ordine Dottori commercialisti Bologna – Anno accademico 2012/2013).

Se il fallimento era già stato dichiarato e il compendio aziendale era stato affidato al curatore, i beni, provento di attività illecita, potevano successivamente essere sottoposti a sequestro, a condizione che il giudice desse conto della prevalenza delle ragioni sottese all'eventuale confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori dellaprocedura fallimentare. (cfr. Cass. SS.UU., 24 maggio 2004, n. 29951, cosiddetta causa “Focarelli” in materia di D.Lgs. 231/01).

In ordine al sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni appartenenti alla società fallita, secondo le Sezioni Unite del 2004, la curatela fallimentare «non è terzo estraneo al reato», ritenendo che «il concetto di appartenenza di cui all'art. 240 comma 3 cod. proc. pen. ha una portata più ampia del diritto di proprietà, sì che deve intendersi per terzo estraneo al reato soltanto colui che non partecipi in alcun modo alla commissione dello stesso o all'utilizzazione dei profitti derivati».

Quest'ultimo elemento non era pacifico: per altro orientamento la curatela fallimentare, rispetto al sequestro di prevenzione, assumeva la posizione di terzo, tanto da essere legittimata autonomamente a proporre impugnazione avverso i provvedimenti di confisca dei beni dell'imputato (cfr. in questo senso: Cass. 1 aprile 2008, n. 31895). Il sequestro poteva avere un oggetto solo parzialmente coincidente con quello del compendio costituente la massa attiva del fallimento con custodia in capo al curatore. A tal proposito i giudici di legittimità ritennero che l'amministratore giudiziario non potesse trattenere i beni di una società, in quanto il sequestro aveva avuto ad oggetto solo le quote sociali appartenenti ai singoli soci e nonanche il complesso dei beni facenti capo alla società (Cass. civ. 27 aprile 2007, n. 10095, Leone c. Curatela fall. Ingeco).

Vigeva in sostanza il principio della prevalenza del sequestro rispetto alla procedura fallimentare quando il vincolo fosse volto ad impedire l'utilizzazione del bene per reiterare il reato o la sua dispersione in pregiudizio delle possibilità di applicare un provvedimento di confiscaobbligatoria (cfr. Cass. Pen., II, 16 maggio 2003, n. 24160).

Questa prevalenza operava con riferimento ai beni che ne erano specifico oggetto e che, pertanto, venivano sottratti alla massa, salvo che il curatore riuscisse ad ottenere la revoca del sequestro agendo come terzo legittimato ad impugnare il provvedimento applicativo della misura o, se del caso, in sede di incidente di esecuzione (cfr. in questo senso, Cass. Pen., I, 30 settembre 1997, n. 5414).

Nel frattempo, la procedura fallimentare poteva seguire il suo corso, fatta salva l'ipotesi in cui tutti i beni della massa fossero oggetto di sequestro, posto che, in tal caso, il curatore avrebbe dovuto attendere la conclusione del procedimento per apprendere alla massa i beni eventualmente dissequestrati, oppure per prendere atto dell'avvenuta confisca di tutti i beni e chiudere la procedura per mancanza di attivo.

Come abbiamo visto, oggi il Codice Antimafia distingue l'ipotesi di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro (art. 63) dall'ipotesi di sequestro successivo alla dichiarazione di fallimento (art. 64).

Nella prima fattispecie spetta al Pubblico Ministero, al debitore, ad uno o più creditori, la specifica legittimazione a richiedere al Tribunale competente il fallimento dell'imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o confisca, laddove emerga, dalle indicazioni dell'amministratore giudiziario che gestisce l'azienda sequestrata, la sussistenza di uno stato di insolvenza.

Dopo la dichiarazione di fallimento, se i beni assoggettati a sequestro o confisca coincidono con tutti quelli che compongono la massa attiva, si chiude la procedura concorsuale, essendo rimessa in tal caso al solo giudice della prevenzione l'accertamento del passivo non ancora verificato e la formazione del progetto di riparto tra i creditori insinuati che intendono soddisfarsi sui beni oggetto di vincolo di prevenzione, con applicazione delle disposizioni del capo II.

Se al sequestro ne sono assoggettati solo alcuni, questi sono esclusi dalla massa attiva del fallimento e dovrebbero seguire le vicende del procedimento di prevenzione, ivi compresa quindi l'eventuale udienza di verifica dei crediti.

E' stata definita la disciplina dell'accertamento del passivo rimettendo le operazioni al giudice delegato al fallimento sopravvenuto, il quale è chiamato ad accertare i crediti insinuati al passivo, anche alla luce dei criteri e delle condizioni previste dalle disposizioni in materia diprevenzione a tutela dei terzi di buona fede. In altri termini, il giudice delegato al fallimento successivo al sequestro deve provvedere all'accertamento, nelle rituali forme fallimentari, non solo della concorsualità del credito e della sua documentata sussistenza, ma anche - come se fosse il giudice delegato alla misura di prevenzione - delle condizioni poste dalle disposizioni precedenti a garanzia della massa dei creditori da possibili interferenze illecite nella formazione dei crediti concorrenti.

Nelladiversa ipotesi di fallimento preesistente a sequestro, è mantenuta la competenza del giudice delegato alla procedura concorsuale per la verificadei crediti, che, ove già effettuata, dovrà essere riaperta, previa fissazione di apposita adunanza, per i creditori già ammessi accertandone anche l'applicazione delle condizioni previste per la verifica della loro buona fede. Analoga verifica avverrà in caso di insinuazione tardiva al fallimento di imprenditore soggetto a misura di prevenzione, laddove penda impugnazione avverso lo stato passivo già definito.

In caso di revoca del sequestro o della confisca e ove il fallimento sia ancora aperto, è previsto che i beni liberati dal vincolo di prevenzione vengano acquisiti alla massa fallimentare. Ove il fallimento fosse stato giàchiuso, è prevista la riapertura, anche su iniziativa del Pubblico Ministero.

Sussiste, pertanto, una massa attiva del fallimento ed un compendio sequestrato; la verifica dei crediti dovrebbe svolgerla per intero il giudice delegato al fallimento il quale dovrebbe operare con le modalità della procedura fallimentare, ma per acquisire gli elementi e assumere le decisione proprie del giudice della prevenzione.

Nella fattispecie di cui all'art. 64, il giudice delegato, con decreto non reclamabile, separa i beni sequestrati dalla massa attiva del fallimento e li consegna all'amministratore giudiziario.

Se tutti i beni vengono sequestrati, invece, dichiara la chiusura del fallimento. Tutti i crediti e i diritti vantati nei confronti del fallimento, compresi quelli inerenti i rapporti relativi ai beni sottoposti a sequestro, sono sottoposti alla verifica di cui all'art. 52 del Codice antimafia nelle forme degli artt. 92 ss. R.D. 16.3.1942 n. 267.

In questa struttura giudiziaria, se l'azienda deperisce rapidamente ma il valore dei suoi intangibles è ancora appetibile per il mercato che appare pronto ad una procedura competitiva – anche volta a valorizzare il risanamento della insolvenza e della crisi di legalità – , si può ipotizzare un percorso alternativo sulla base dell'analogo programma di liquidazione del fallimento? (cfr. TONA, Gestire o liquidare? I dilemmi dell'amministratore giudiziario e le aspettative dei creditori nei grovigli del codice antimafia, in AA.VV., Commento al codice antimafia, in Legislazione Penale, 2, 2012)

In sintesi, se coesistono i due vincoli, quello del sequestro e quello del fallimento, possiamo applicare analogicamente quanto disposto da Cass., SS.UU. 11170/2015, pur rispettando il vincolo degli artt. 64, 65 e 34 del D. Leg. 159/2011, attribuendo all'amministratore giudiziario quella corsia “esclusiva” sugli atti di gestione dell'azienda sequestrata che la legge gli attribuisce?

Altro problema: se l'amministratore giudiziario, opportunamente autorizzato dal G.D. nella misura di prevenzione, col parere favorevole del P.M., cede l'azienda, come può l'acquirente in sede di procedura competitiva beneficiare della purgazione della gara di cui agli artt. 105 e 107 l.fall., in relazione alla solidarietà dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta ex artt. 2555, 2560 c.c.?

Secondo parte della dottrina (CAPECCHI e FICHERA in F.BRIZZI, G.CAPECCHI, G. FICHERA, Misure di prevenzione personale e tutela dei terzi, 316 e 358 rispettivamente in relazione agli effetti della confisca - art. 45, co. 1, CAM - e della chiusura del fallimento - art. 142 l.fall. -), con cui concorda chi scrive, pur in un'ottica anticipatoria cioè in fase cautelare, la soluzione va ricercata proprio nello spossessamento e nelle garanzie che governano le due procedure, quella fallimentare e quella della misura di prevenzione.

Se la crisi della legalità coincide con la insolvenza dell'impresa (nella quasi totalità dei casi, per i motivi e le fattispecie aziendalistiche esaminate in premessa) è logico pensare che le due procedure siano state dichiarate pressoché all'unisono, con diversi criteri di integrazione per l'ammissione al passivo (creditori da certificare se in buona fede o meno), nei diversi passaggi sanciti dagli artt. 64 e 65 e 34 D.Lgs. 159/2011, prima o dopo la misura di prevenzione rispetto alla declaratoria di fallimento.

Se il sequestro del Codice antimafia verte anche sul patrimonio dell'impresa, oltre che sulle quote sociali (l'amministratore giudiziario è custode delle quote e del patrimonio aziendale), lo stato passivo del fallimento consentirà la determinazione dei creditori anteriori ad entrambe le due procedure.

Quindi avremo un'azienda che prosegue in continuità nella misura di prevenzione ed uno stato passivo del fallimento che “fotografa” tutti i creditori (creditori in buona fede secondo i dettami penalistici) che sono, presumibilmente, gli stessi delle due procedure.

A questo punto, se i creditori anteriori, nel fallimento, risentono di un effetto purgativo determinato dall'art. 92 l.fall. che non trasferisce nella gara di vendita la responsabilità ex art. 2560 c.c. in capo all'acquirente del compendio aziendale nella gara di cui agli artt. 105, 107 l.f., allora è logico ritenere che, se le due procedure coesistono, anche la procedura competitiva dell'amministratore giudiziario è normata (rectius regolamentata dagli organi penalistici) secondo gli stessi criteri (Seguendo la tesi di CAPECCHI e FICHERA, ciò avverrebbe solo dopo la confisca definitiva. In verità i criteri dell'art. 48 del codice antimafia sono molto diversi e non vi è cenno agli effetti purgativi della vendita fallimentare. Questi Autori si rendono conto della problematicità della soluzione e propongono come soluzione radicale, ove praticabile, la conversione del sequestro in amministrazione giudiziaria ex art. 34, che risulta subvalente rispetto al fallimento ex art. 65. La praticabilità fondamentalmente va valutata in base all'entità dei crediti ante sequestro che non sembrano essere di buona fede, perchè con l'amministrazione giudiziaria ex art. 34 non c'è il subprocedimento di ammissione e verifica dei crediti).

Si ritiene, poi, che il Giudice della misura di prevenzione possa richiamare, eventualmente, con decreto del G.D. della procedura fallimentare, una sorta di co-autorizzazione alla vendita, stabilendone gli effetti civilistici ed endo-concorsuali, blindando le garanzie in capo all'acquirente. Ad adiuvandum appare pertinente l'inciso di cui all'art. 63, co. 6, del codice antimafia ove è previsto il parere del curatore e del comitato dei creditori per la chiusura del fallimento.

Sul punto la dottrina ha osservato che il parere del curatore e del comitato dei creditori sarebbe pleonastico, visto che l'effetto della chiusura è predeterminato dalla legge.

Accedendo, invece, alla tesi sopra prospettata della co-autorizzazione alla vendita, dal punto di vista operativo, sarebbe previsto un utile coinvolgimento di coloro che, sostanzialmente, si accollano gli effetti della gara effettuata in sede di prevenzione, ma a tutti gli effetti anche fallimentare.

Vediamo ora come motivare la vendita dell'azienda a terzi già nei primi mesi della procedura di prevenzione. Basta attenersi alle maggiori criticità emerse sul campo (analisi pratiche dei Giudici delle misure di prevenzione e degli amministratori giudiziari), sui dati statistici dell'Agenzia, sui dati del CNDCEC.

L'esperienza maturata dai Tribunali fallimentari dimostra come la conservazione della continuità aziendale nel lungo periodo necessario alla confisca definitiva con finale giudizio in Cassazione (mediamente da 6 a 8 anni) sia una chimera, risultando, al contrario, essenziale, un brusco cambiamento di rotta (turnaround) già dai primi mesi delle due procedure, misura di prevenzione e fallimento, se si vogliono salvare aziende e posti di lavoro.

L'unico modo per sradicare il germe della criminalità e dell'inefficienza aziendale è quello di vendere, rapidamente, ad un terzo competitor, con procedura competitiva (al miglior prezzo possibile nell'interesse di tutti gli attori, Stato per la confisca e creditori in buona fede per il riparto), per innescare una nuova strategia di rilancio e di innovazione aziendale.

Celermente, in questo modo, l'azienda si scrollerà da quel pantano in cui si trovava, reperendo nuovo slancio e vigoria ed infondendolo anche alle maestranze.

Non dovrebbero sussistere problemi per gli Organi penalistici ad autorizzare la procedura competitiva già dai primi mesi dal sequestro, dopo che l'amministratore giudiziario avrà provveduto, con apposita relazione al P.M., a far dichiarare il fallimento dell'impresa decotta.

All'art. 48, punto 7, lettera b), è normato il caso della vendita dell'azienda, qualora ricorrano determinate condizioni che si ritengono estensibili anche ai compendi aziendali che poggiano la loro “esistenza” e continuità sul rapido cambiamento di governance e proprietà, essendo altrimenti destinati ad una irrimediabile, rapida perdita del going concern e di ogni appetibilità per i terzi competitors.

Tale norma, ancorchè applicabile solo dopo la confisca definitiva, potrebbe essere estensibile anche ai poteri dell'amministratore giudiziario ante confisca, artt. 35 e segg., debitamente autorizzato dal Giudice delle misure di prevenzione, se ricorrono quelle condizioni di urgenza sopra citate relative al deperimento ed allo svilimento dell'avviamento aziendale e del going concern. Un appiglio testuale si potrebbe rinvenire nell'applicazione analogica dell'art. 40, comma 5 ter, del codice antimafia, previsto per i beni mobili, al complesso aziendale, ma anche qui troverebbe fondamento l'argomento ubi lex voluit, dixit.

Oltre allo svilimento dell'avviamento, si può citare la perdita di appetibilità del compendio immobiliare (il capannone, oggi, non è vendibile, senza un nuovo imprenditore che lo utilizza per la new-company), i costi enormi della custodia, gli atti di vandalismo più o meno mirati, il furto, oramai costante del “rame strappato” dagli impianti aziendali.

Occorre, altresì, incentivare l'acquisizione del compendio aziendale da parte delle Cooperative di lavoratori (art. 48 D.Lgs. 159/2011) che beneficiano di norme agevolative (nel fallimento beneficiano anche della prelazione nella gara del 105 l.fall.) o di singoli lavoratori che partecipano con società di capitali (Si tratta del “workers buy out” (v. il caso Azienda Berti di Tessera (VE) con il contributo di Lega coop Veneto, Regione Veneto, Sindacato Filctem-CGIL Venezia, la Bontempi di Potenza, la Think3 di Bologna: Quaderno CNDCEC L'esercizio provvisorio dell'impresa nell'ambito del fallimento – I lavoratori rilanciano l'impresa fallita -Le agevolazioni ai lavoratori – Cassa Depositi e Prestiti e Consorzi Fidi).

Si ribadisce il concetto che la “blindatura” del fallimento può fortificare il lavoro ed il programma di liquidazione, lo stato passivo e l'esercizio provvisorio dell'amministrazione giudiziaria che non rischia, nel caso di revoca delle misura di prevenzione, richieste di risarcimento danni poiché totale è lo spossessamento dell'imprenditore e dei soggetti apicali indagati. Il fallimento, dichiarato su iniziativa del P.M. ex art. 63 e art. 7 l.fall., se l'attivo inventariato coincide con l'attivo sequestrato, si chiuderà poi ex art. 119 l.fall..

Nel caso di perenzione del sequestro o revoca della confisca del giudice di prime cure, il fallimento riapre ex art. 121 l.fall. riversando tutto l'attivo realizzato nell'ambito della procedura di prevenzione (anche le somme nette rivenienti dalla vendita con procedura competitiva dell'azienda) e le somme realizzate mediante i giudizi intentati (art. 63 comma 8).

Queste sono le determinazioni possibili, oggi, nell'emergenza dei salvataggi aziendali in corso di confisca (circa 10.000 i sequestri di aziende pendenti secondo i dati della Fondazione nazionale commercialisti del 2016).

In un'ottica de jure condendo, si auspica che il disegno di legge A.C. n. 1138 nel testo unificato con proposta A.C. 2737 Bindi + altri proponenti, ora al Senato, consenta un percorso di alienazione aziendale tramite procedure competitive, simile a quanto sinora delineato (Fondazione nazionale Commercialisti, “La Tutela dei lavoratori nelle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, 8, schema del disegno di legge A.C. n. 1138 nel testo unificato con proposta A.C. 2737 Bindi + altri proponenti).

Sequestro preventivo per altri reati ex art. 104 c.p.p.

Questa tipologia di misura cautelare rappresenta il naturale passaggio dall'esercizio provvisorio della misura di prevenzione all'esercizio provvisorio del fallimento ex art. 104 l.fall., con una perfetta consecuzione tra le due procedure.

La figura dell'amministratore giudiziario nominato ex art 104-bis disp. att. c.p.p., è idonea a garantire un'adeguata informativa all'Autorità giudiziaria, finalizzata a valutare la sussistenza dei presupposti per richiedere l'esercizio provvisorio ex art. 104 l.fall..

L'amministratore giudiziario assume un ruolo determinante in merito al passaggio delle informazioni al Tribunale fallimentare, tramite il presidio garantito dal ripristino delle regole e delle tecniche di buon governo societario, vero presupposto per la conservazione del valore aziendale attraverso l'esercizio provvisorio fallimentare (Quaderno CNDCEC su L'esercizio provvisorio dell'impresa nell'ambito del fallimento (art. 104 l.fall.), Trib. Bologna 7 aprile 2010, Fallimento Masiero Antonio S.p.a. in cui trattandosi di attività di produzione di ricambi per l'industria automobilistica, si è disposto l'esercizio provvisorio in considerazione della rilevante penetrazione nel mercato algerino)

Il piano industriale dell'amministratore giudiziario viene costruito ed elaborato su assunzioni che saranno poi implementate dal curatore fallimentare una volta nominato.

La rapidità è essenziale in questa fase, vista la difficoltà e rischiosità della continuazione dell'attività di impresa nella misura di prevenzione, dove faticosamente l'amministratore giudiziario paga giornalmente i fornitori strategici e gli stipendi ai lavoratori, con l'autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, ma in assenza di ogni protezione garantita dal G.D. del Fallimento o del Comitato dei Creditori.

Per assurdo, si potrebbero determinare pagamenti in violazione della par condicio creditorum. La veloce consecuzione tra le due procedure evita quel danno grave alla massa dei creditori che è stato definito, da una giurisprudenza, anche danno sociale nei confronti degli stakeholders (Trib. Chieti 10.08.2010; Trib. Bologna 7.08.2009- Fallimento Adaltis; Trib. Bologna 18.06.2013 - Fallimento CEI s.r.l. in liquidazione).

Sequestro ex art. 19 D.Lgs. 231/01 e fallimento

Si riporta il “modus operandi” indicato dalla SS.UU. 11170/2015:

“È, infatti, evidente che coloro che si insinuano nel fallimento vantando un diritto di credito non possono essere ritenuti per tale solo fatto titolari di un diritto reale sui beni ai sensi e per gli effetti previsti dall'art. 19 del decreto sulla responsabilità degli enti, perché sarà proprio con la procedura fallimentare che, sulla scorta delle scritture contabili e degli altri elementi conoscitivi propri della procedura, si stabilirà se il credito vantato possa o meno essere ammesso al passivo fallimentare.

Il curatore nel contempo individuerà tutti i beni che debbono formare la massa attiva del fallimento, arricchendola degli eventuali esiti favorevoli di azioni revocatorie e soltanto alla fine della procedura si potrà, previa vendita dei beni ed autorizzazione da parte del giudice delegato del piano di riparto, procedere all'assegnazione dei beni ai creditori.

È soltanto in questo momento che i creditori possono essere ritenuti titolari di un diritto sui beni che potranno fare valere nelle sedi adeguate.

Una tale ricostruzione degli istituti del sequestro/confisca di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 231/2001 e della procedura fallimentare, e della ritenuta compatibilità della disposizione dell'art. 27 comma 2 del citato decreto, secondo la quale “i crediti dello stato derivanti dagli illeciti amministrativi dell'ente relativi ai reati hanno privilegio secondo le disposizioni del codice di procedura penale sui crediti dipendenti da reato. A tale fine la sanzione pecuniaria si intende equiparata alla pena pecuniaria.”

La sentenza della Cass., SS.UU., 24.5.2004 n. 29951 (“Focarelli”) , che poggiava sulle salvaguardie ai creditori della procedura ex artt. 321 c.p.p. e 240 c.p., affrontò il tema del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaroche costituiscono "profitto del reato", dichiarando che il sequestro deve ritenersi ammissibile sia quando la somma si identifichi proprio in quella che è stata acquisita attraverso l'attività criminosa, sia ogni qual volta vi siano indizi per i quali il denaro di provenienza illecita sia stato depositato in banca ovvero investito in titoli, trattandosi di assicurare ciò che proviene dal reato e che si è cercato di occultare.

Si affermò che la fungibilità del denaro e la sua funzione di mezzo di pagamento non impone che il sequestro debba necessariamente colpire le medesime specie monetarie illegalmente percepite, bensì la somma corrispondente al loro valore nominale, ovunque sia stata rinvenuta, purché sia attribuibile all'indagato (G. Biscardi, “Sequestro preventivo e dichiarazione di fallimento”, in Giurisprudenza italiana 2006).

La sentenza affermò con chiarezza che anche per il denaro deve pur sempre sussistere il rapporto pertinenziale, quale relazione diretta, attuale e strumentale, tra il “bene” sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito (utilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa).

Trattasi di confisca del profitto del reato, anche in forma di equivalente, che scaturisce dalla necessità di ristabilire l'equilibrio economico alterato dall'illecito.

Ma è con la sentenza n. 11170/2015 che la Cassazione dipinge un percorso alternativo dei beni aziendali in armonia con le norme dell'art. 104-ter l.fall., spingendosi sino al riparto finale (art. 110 l.fall.), citando la confisca dei beni in pendenza di una procedura fallimentare sugli stessi, ove lo Stato potrà insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto che sarà soddisfatto unitamente ai salvaguardati diritti dei terzi acquisiti in buona fede.

Nemmeno è di ostacolo a tale impostazione l'art. 53, comma 1 bis, del d.lgs. n. 231 del 2001, secondo il quale, in caso di sequestro (ex art. 19 del decreto citato) di società, aziende e beni, il custode amministratore giudiziario ne consente l'utilizzo e la gestione agli organi societari esclusivamente al fine di garantirne la continuità e lo sviluppo aziendale; si tratta di una norma che persegue finalità simili a quelle di cui all'art. 15 del medesimo decreto in ipotesi di applicazione di misure interdittive, e mira a mantenere e preservare il valore dell'azienda.

Ebbene, quando la società venga dichiarata fallita e gli organi societari vengano sostituiti nella gestione patrimoniale dal curatore fallimentare, è a quest'ultimo che il custode giudiziario consentirà l'utilizzo e la gestione dei beni aziendali; il curatore, che fra i suoi compiti ha anche quello di preservare il patrimonio societario, gestirà lo stesso secondo le norme previste dalla legge fallimentare.

Una volta completato il programma di liquidazione, che va approvato ai sensi dell'art. 104, primo comma l.fall., dal comitato dei creditori, ed ottenuta l'autorizzazione agli atti da parte del G.D., si sottopone il tutto all'approvazione del G.I.P., dietro parere favorevole del P.M. (e dell'amministratore giudiziario).

Una volta autorizzata la procedura competitiva con riferimento a tutti i beni, mobili ed immobili, verrà previsto nel decreto autorizzativo alla vendita, con delega al notaio rogante, che:

(i) l'offerente deve versare una cauzione pari al 20% della somma offerta sul conto corrente dell'amministratore giudiziario a titolo di garanzia, spese ed imposte;

(ii) il saldo deve essere versato sul c/c dell'amministratore giudiziario.

Con separata istanza il curatore del fallimento, già autorizzato dagli organi della procedura al programma di liquidazione, farà istanza al G.I.P. ed al Custode giudiziario affinchè il saldo prezzo sia bonificato sul c/c intestato alla Procedura di sequestro con autorizzazione del G.I.P. al parziale dissequestro e conversione del gravame in un nuovo sequestro sulle somme nette provenienti dalla gara dell'art. 107 l.fall.;

(iii) il bene sarà alienato libero da ogni gravame compreso il sequestro iscritto dagli Organi penalistici.

Si ritiene indispensabile tale autorizzazione, prima della gara, al fine di ottenere il risultato della purgazione del gravame della misura di prevenzione e del fallimento, oltre agli altri gravami (iscrizioni di ipoteche ecc.).

Si pone poi il problema del riparto finale (non risolto dalla SSUU 11170/2015), dove le norme dei privilegi in sede penalistica confliggono, a volte, con le norme e le graduazioni dei privilegi regolamentati dal codice civile.

Sulla massa attiva mobiliare il credito per confisca dello Stato è privilegiato ex art. 2778 c.c. n. 10: “i crediti dipendenti da reato indicati dall'art. 2768 sulle cose sequestrate, nei casi e secondo l'ordine stabiliti dal codice penale (artt. 191 cp e 539 cpp);

Sulla massa attiva immobiliare manca la previsione di un privilegio di legge nell'art. 2780 c.c., secondo cui : “(Crediti dipendenti da reato). Per i crediti dipendenti da reato hanno privilegio sulle cose sequestrate, lo Stato e le altre persone indicate dal codice penale, secondo le disposizioni del codice stesso e del codice di procedura penale”.

Si tratta di un privilegio particolare che nasce solo con l'autorizzazione e l'esecuzione di un sequestro conservativo penale avente ad oggetto i beni del debitore imputato (e in certi casi del responsabile civile: art. 316 c.p.p.).

Solo i beni che sono stati vincolati mediante il provvedimento possono costituirne l'oggetto (Cass., 16.10.87, GI, 1988, 308, Cass. 26.1.82, GP, 1982, III, 551).

Presupposto necessario per la sua costituzione è che l'imputato sia condannato con sentenza irrevocabile (MAGLIETTA-PRANDI, I privilegi giur. sist., a cura di BIGIAVI, Torino, 1995, 294).

In seguito alla riforma del processo penale, la dottrina ha valutato favorevolmente la possibilità di estendere il sequestro anche ai beni immobili dell'imputato o del responsabile civile che prima era preclusa (NAPPI).

L'art. 316 c.p.c. dispone che il privilegio riguarda i crediti per il pagamento della pena pecuniaria, per le spese del procedimento, per il pagamento delle obbligazioni civili derivanti da reato.

L'art. 320 c.p.p. stabilisce l'ordine di priorità dei diversi crediti.

E' stato affermato che quello in esame è un privilegio che ha peculiare natura di privilegio generale anche sui beni immobili sottoposti a sequestro in deroga all'art. 2746 c.c., che limita il privilegio generale ai soli beni mobili del debitore (BOZZA-SCHIAVON, 92, 1106, M. FERRO, Le insinuazioni al passivo, Cedam, 2010).

Ma, a ben vedere, l'art. 2768 c.c., che riconosce il privilegio ai crediti dipendenti da reato sulle cose sequestrate, è collocato nella Sezione dei privilegi su determinati mobili.

Nell'ordine dei privilegi su mobili elencato nell'art. art. 2778 c.c., infatti, lo troviamo al n. 10 (crediti da reato), mentre nell'elenco di cui all'art. 2780 c.c. relativo all'ordine dei privilegi sugli immobili, non risulta contemplato.

Si tratta, semplicemente, di una mancanza di coordinamento tra normativa penale e normativa civilistica o è, piuttosto, una scelta del legislatore?

La sentenza n. 11170/15 complica ulteriormente la fase di riparto:“se venga disposta la confisca dei beni in pendenza di una procedura fallimentare sugli stessi, lo Stato potrà insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto, che sarà soddisfatto dopo che siano stati salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede”.

Questa mancanza certamente creerebbe non poche contestazioni e/o opposizioni giudiziali sulla confisca concernente le masse attive immobiliari: credito privilegiato che precede l'ipotecario, l'IMU ecc, oppure credito privilegiato dopo tutti quelli di cui all'art. 2780 c.c. oppure credito chirografario?

Dopo un percorso alienativo virtuoso, volto a contemperare gli interessi delle due procedure, che convergono nel miglior percorso alienativo possibile, autorizzando la procedura competitiva nei primi mesi dalla declaratoria della misura di prevenzione e del fallimento (rapidità ed efficienza come auspicato) si rischierebbe una lungo impasse a seguito della logica contestazione del creditore ipotecario (se ammesso al riparto quale creditore in buona fede) in merito alla (eventuale) retrocessione del privilegio speciale sulla massa attiva immobiliare, rispetto al credito per confisca dello Stato.

Infine, nulla di nuovo “sotto il sole” per quanto concerne le tre tipologie di sequestro preventivo (sin qui esaminate) iscritte sui beni del debitore e la sostenibilità (fattibilità) di un piano di risanamento ex art. 160 l.f., asse portante di una proposta di un concordato preventivo (Sul tema del rapporto fra prevenzione ed altri tipi di procedure concorsuali v. C.MALTESE citata in BRIZZI e altri cit. (es. p. 359 sul concordato fallimentare). Di recente il Tribunale di Marsala 2016 ha escluso la praticabilità del concordato fallimentare).

La sentenza della S.C. n. 26329/2016 si è occupata di recente del reclamo del debitore che si riteneva ingiustamente danneggiato dalla dichiarazione di inammissibilità pronunciata dal Tribunale di Firenze.

La Suprema Corte, ricalcando pedissequamente i ragionamenti della nota sentenza a SS.UU 1521/2013, rileva nel sequestro preventivo prodromico alla confisca per L. 231/2001 uno dei classici motivi ostativi all'ammissione ed all'omologa del piano concordatario, riscontrandone la infattibilità giuridica quale conseguenza del mancato rispetto delle miles stones indicate nel piano finanziario a vantaggio dei creditori (Cfr. Cass. n. 26329/2016).

Programma di liquidazione e procedure competitive

Le procedure competitive, usualmente affidate agli uffici vendita dei Tribunali fallimentari la cui gestione, oramai consolidata dopo la Riforma del 2006 con prassi sedimentate – volte ad una assoluta trasparenza della gara di vendita e delle procedure tecniche delegate –, potrebbero garantire criteri di professionalità nella miglior valorizzazione del compendio aziendale, anche in ambito di misure di prevenzione.

La difficile stima dei valori immateriali (assets intangibles) che non poche sorprese (best case) ha riservato nelle procedure concorsuali più conosciute (Ospedale San Raffaele presso il Tribunale di Milano; La Perla e Bruno Magli al Tribunale di Bologna), dimostrano come la tempestività e le competenze aziendalistiche e del diritto societario dei periti e dei delegati alla vendita di cui agli artt. 105, 107 l.fall. (ora refluiti nel nuovo art. 163-bis l.fall. per le proposte concorrenti) potrebbero garantire alti standard di efficienza.

La Suprema Corte, nell'attribuire al curatore la predisposizione e l'attuazione del programma di liquidazione, pur in una gestione dinamica condivisa con l'amministratore giudiziario e sotto la vigilanza della Autorità giudiziaria penale, apre le porte ad una conversione del sequestro preventivo sulle somme nette rivenienti dalla gara di cui agli artt. 105, 107 l.fall.

Il portale nazionale delle vendite giudiziarie ed il registro delle procedure di espropriazione forzata immobiliari, delle procedure di insolvenza e degli strumenti di gestione della crisi, a cura del Ministero della Giustizia (D.L. 59/2016), garantiranno, inoltre, quei requisiti di trasparenza e di conoscibilità al mercato degli assets vendibili e delle gare in corso, nel principio della miglior valorizzazione possibile dei percorsi alienativi, nell'interesse dei creditori e dello Stato (se sussistano misure di prevenzione volte alla confisca su quei compendi).

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