Suolo e sottosuolo

13 Settembre 2017

Il concetto di «suolo», che costituisce una parte strutturale rilevante ed indispensabile dell'immobile, e si trova annoverato nell'art. 1117 c.c. come uno dei beni facenti parte del patrimonio condominiale, ha subìto una ripetuta elaborazione giurisprudenziale, tendente a perimetrare gli esatti contorni del suo significato: precisazione, questa, molto utile sia per i riflessi in ordine all'accertamento della proprietà di tale bene comune, sia per i risvolti relativi al corretto utilizzo dello stesso da parte dei componenti della compagine condominiale; l'esatta identificazione del suolo porta con sé anche l'individuazione del sottosuolo, il quale, anche se non contemplato dalla disposizione codicistica è sottoposto alla stessa disciplina del suolo.
Inquadramento

Il termine «suolo», nel linguaggio corrente (non giuridico) assume un significato che si può dire «comune» (nel senso di generalmente accettato) e che identifica la cosa de qua con la superficie del terreno, o con il c.d. piano di campagna, utilizzando, in quest'ultimo caso, un'espressione un po' più tecnica; secondo questo significato, quindi, il suolo sarebbe una linea ipotetica (ad altezza e posizione variabile) che corrisponde alla superficie direttamente calpestabile o percorribile.

Tuttavia, nello specifico campo del diritto condominiale, il termine assume un senso diverso, che si distacca dal linguaggio comune per assumere un significato specialistico (e, quindi, valevole solo per la materia in esame): si afferma che il «suolo» indicato dall'art. 1117 c.c. corrisponde alla superficie, in estensione e profondità, su cui poggia l'edificio in condominio e ne è interessata dalle sollecitazioni dei relativi carichi.

Tale definizione, apparentemente chiara, necessita nondimeno di un'ulteriore specificazione, poiché il suolo non può ridursi, semplicemente, al piano geometrico costituito dal citato «piano di campagna», ma sia concretamente dotato di uno spessore e, quindi, debba essere individuato nel piano dove poggiano le fondamenta dell'edificio, il quale, evidentemente, non può che trovarsi al di sotto di tale piano di campagna.

Il suolo su cui sorge l'edificio

La Suprema Corte ha chiaramente espresso tale concetto, affermando che, negli edifici in condominio, per «suolo su cui sorge l'edificio», deve intendersi la porzione di terreno su cui viene ad insistere l'intero fabbricato e, immediatamente, la parte inferiore di esso, conseguendone che i condomini sono comproprietari - non della superficie al livello di campagna che, a causa dello sbancamento e della costruzione del fabbricato, più non esiste, bensì - della superficie del terreno sulla quale posano le fondamenta (Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1998, n. 8346)

Con ancora maggiore analiticità, nell'individuare esattamente la nozione di «suolo», i giudici di legittimità hanno posto in relazione non solo l'area di appoggio delle fondazioni, ma anche quella che sostiene il pavimento del pianterreno, evidenziando che quest'ultimo va considerato escluso dal concetto indicato dall'art. 1117 c.c. e, quindi, non ricompreso nel «patrimonio comune» appartenente in comproprietà a tutti i condomini; in base a tale impostazione, si è specificato che rientrano in tale nozione l'area dove sono infisse le fondazioni e la superficie sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, ma non anche quest'ultimo, conseguendone che i condomini sono comproprietari non della superficie a livello di campagna, bensì dell'area di terreno sita in profondità - cioè sottostante la superficie alla base del fabbricato - sulla quale posano le fondamenta dell'immobile (Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1996, n. 2469).

Negli stessi termini, si era posta un'altra sentenza (Cass.civ., sez. II, 19 dicembre 2002, n. 18091; cui adde la remota Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1970, n. 1224), la quale reca ugualmente la distinzione tra superficie a livello della campagna, area sulla quale poggia l'edificio, ed il pavimento del pianterreno, confermando l'esclusione di quest'ultimo dalla nozione di «suolo» e, quindi, dal novero dei beni comuni (tra le pronunce di merito, si segnalano: Trib. Palermo 14 febbraio 2001; Trib. Cagliari 20 settembre 2000; Pret. Trani 8 gennaio 1998; Trib. Milano 1° marzo 1993).

In evidenza

Pertanto, il suolo su cui sorge l'edificio è unicamente quello occupato e circondato dalle fondamenta e dai muri perimetrali del fabbricato stesso, ossia, in contrapposto al «sottosuolo», l'area, delimitata nelle sue dimensioni di lunghezza e larghezza, sulla quale poggia il pavimento del pianterreno ed insiste, sviluppandosi in altezza, la parte fuori terra dell'edificio.

Il solaio del piano terreno

Se, dunque, vengono applicati i principi sopra descritti, anche relativamente al solaio del piano terreno - che costituisce manufatto posto a diretto contatto con il suolo - ne deriva una qualificazione di tale bene in termini di pertinenza esclusiva dei locali del piano terreno ai quali la suddetta struttura accede quale pertinenza; la conseguenza è che sarà di proprietà esclusiva se i locali al piano terra sono di proprietà di un singolo condomino, oppure sarà condominiale nel caso di solaio di ambienti comuni (quali, per esempio, l'androne, il vano scala, i locali per i servizi e quelli nei quali sono allocati gli impianti condominiali).

Secondo tale impostazione, si è affermato che, negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in proprietà comune ai due rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in proprietà esclusiva al proprietario del piano, alla stessa stregua del pavimento (Cass.civ., sez. II, 26 marzo 1993, n. 3642, aggiungendo che, in caso di vizio costruttivo del medesimo solaio, rivelatosi inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unità immobiliare, la responsabilità per i danni che ne siano derivati alle singole proprietà individuali deve ascriversi al proprietario del piano, con esclusione di ogni responsabilità del condominio).

Il terrapieno e l'area circostante il fabbricato

Assai interessante appare un'altra fattispecie, nella quale ai magistrati di Piazza Cavour è stato posto il problema dell'individuazione della nozione di «suolo» allorché l'edificio condominiale era stato edificato su un terreno avente un dislivello tale che, in sede di costruzione, si fosse reso necessario realizzare un terrapieno al fine di compensare le differenze di quota.

Dalla pronuncia possono evincersi una serie di principi estremamente utili al fine di applicare il corretto concetto di «suolo» - come evidenziato supra - anche alle più diverse tipologie costruttive degli edifici; nel concreto, si è affermato che:

a) per suolo deve intendersi l'area su cui poggiano le fondamenta;

b) nel caso di edificio insistente su di un pendio, tale area è costituita dai piani tra loro sfalsati;

c) in conseguenza di ciò, per suolo deve intendersi non solo la superficie più bassa (cioè quella posta al di sotto del locale sito al livello inferiore), ma anche tutte le aree poste al di sotto di ciascun locale sito al piano terra.

Da quanto sopra discende un'importante conseguenza in ordine al potere di godimento/utilizzazione spettante al proprietario di uno di tali locali al piano terra, come può registrarsi nell'affermazione per cui, per suolo di un edificio condominiale, deve intendersi l'area di terreno sita in profondità su cui posano le fondamenta dell'immobile; pertanto, se questo è costruito su un pendio, le superfici situate al piano terra sono necessariamente sfalsate, e quindi è suolo comune non solo l'area ove poggia il vano più basso, ma anche quella coperta da ciascun locale posto al piano terra, sicché il terrapieno su cui è costruito un vano al piano terra è comune e, come tale, non può esser attratto nella disponibilità esclusiva di condomino, ancorché la sua proprietà sia situata ad un livello ad esso inferiore (Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855).

In mancanza di situazioni dei luoghi particolari come quella sopra delineata, vale il principio generale secondo il quale il terrapieno insito sul suolo su cui sorge l'edificio condominiale, in virtù del combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., gode di una presunzione di comunione, perché su di esso poggia l'intero edificio, o l'area limitata dalle mura perimetrali dell'edificio sulla quale poggia il pavimento del piano terreno e l'area dove sono infisse le fondazioni (tra le altre, v. Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2011, n. 17881).

Non va, peraltro, dimenticato che il «suolo» - il quale non può che essere di «necessaria» comproprietà tra i titolari delle unità immobiliari comprese nello stabile condominiale - è l'unico bene che va esente da conseguenze nel caso di perimento dell'edificio (art. 1128 c.c.), sicché permane nella comproprietà dei singoli condomini anche a seguito della totale distruzione sia delle proprietà esclusive di questi ultimi, sia dell'intero patrimonio condominiale.

In tale circostanza, così vengono precisate le conseguenze giuridiche: nell'ipotesi di perimento di un edificio in condominio, quest'ultimo viene meno, e permane soltanto la comunione sul suolo, per cui, ove il fabbricato sia ricostruito in maniera conforme a quello preesistente, il condominio stesso si ripristina, mentre, qualora esso venga ricostruito in maniera difforme, il condominio non rinasce, e quanto edificato costituisce, invece, un'opera realizzata su suolo comune, come tale soggetta alla disciplina dell'accessione, e, quindi, da attribuire secondo le quote originarie ai comproprietari del suolo (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1999, n. 1543, aggiungendo che la deroga a tali principi richiede ad substantiam la forma scritta ai sensi dell'art. 1350 c.c.).

L'adozione di una siffatta individuazione del concetto di «suolo» - che viene appunto identificata in funzione dell'appoggio delle fondazioni - comporta l'inevitabile conseguenza di ritenere esclusa da tale àmbito l'area circostante all'edificio, derivandone che la sua natura condominiale/esclusiva dovrà essere indagata - in applicazione dei noti principi generali - o in quanto così qualificata da un valido titolo di proprietà, oppure perché avente, strutturalmente ed oggettivamente, una funzione di servizio e/o utilità a favore di tutto l'edificio.

Il concetto è confermato dagli ermellini, i quali si sono preoccupati di precisare che il suolo ed il sottosuolo, che, a norma dell'art. 1117, n. 1), c.c., è presunto comune tra i condomini di un edificio - salvo titolo contrario - è soltanto quello occupato e circoscritto dalle fondamenta e dai muri esterni dell'edificio, mentre il suolo adiacente o circostante può rientrare fra le cose comuni soltanto per diverso titolo, potendo trovarsi in rapporto di accessorietà o di pertinenza con l'edificio stesso (Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1974, n. 841); tale affermazione appare particolarmente importante in quanto pone una delimitazione in senso orizzontale dell'area identificabile come «suolo»: si afferma, infatti, che, se in senso verticale il suolo è individuato in quanto area di appoggio delle fondazioni, in senso orizzontale la sua estensione è quella ricompresa all'interno della linea esterna dei muri perimetrali dell'edificio (principio confermato, peraltro, anche da Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1984, n. 273).

A ben vedere, l'indagine sulla destinazione strutturale ed oggettiva dell'eventuale area circostante al condominio costituisce una valutazione di elementi di fatto meramente «materiali» dai quali discendono importanti effetti giuridici, quali la qualificazione in termini di comune o esclusivo del bene.

In tal senso, si è affermato che lo stabilire se, in concreto, una determinata area adiacente ad un edificio costituisca, o meno, pertinenza dell'entità condominiale, e faccia parte della struttura del condominio stesso, non può fondarsi semplicemente sull'interpretazione delle fattispecie astratte di cui all'art. 1117 c.c., ma esige una valutazione dello stato effettivo dei luoghi e dei rapporti strutturali intercorrenti tra i manufatti condominiali e la suddetta area, che si traduce in un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione (Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1988, n. 2999; Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1975, n. 1099; Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1966, n. 2290).

Sotto altro punto di vista, va puntualizzato che, nell'indagine sulle caratteristiche (e, quindi, sulla proprietà) dell'area circostante all'edificio condominiale, non occorre dare soverchia importanza alla collocazione effettiva della predetta area; ne consegue che il termine «circostante» deve essere inteso come una mera indicazione descrittiva, non avente valore vincolante per l'interprete (o per il giudicante): in altri termini, ciò che rileva, ai fini della condominialità (o, di converso, esclusività) dell'area, è la sua natura di «pertinenza» o «accessorio» del condominio e non la sua posizione spaziale, che, pertanto, può essere anche non contigua.

Il sottosuolo

L'esatta identificazione del suolo porta con sé anche l'individuazione del sottosuolo, il quale è sottoposto alla medesima disciplina del primo.

In particolare, tale individuazione trova il suo compimento nella disciplina di cui all'art. 840 c.c., dove si rinvengono le seguenti regole: «1. La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino … 2. Il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle».

In base a tale impostazione, da un punto di vista più concreto, può affermarsi che la porzione di terreno posta al di sotto del piano dove poggiano le fondamenta deve (allo stesso modo) presumersi appartenente in comproprietà a tutti i condomini, e non, invece, in proprietà esclusiva del titolare del locale ad essa direttamente sovrastante.

In tale prospettiva, si afferma che, per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c., lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1996, n. 2295).

Logico corollario di tale principio è che il singolo condomino non può procedere, senza il consenso degli altri condomini, all'escavazione in profondità nel sottosuolo, atteso che detta opera costituisce «innovazione lesiva del diritto di comproprietà, in quanto priva i condomini medesimi dell'uso e del godimento di una parte comune dell'edificio» (così Cass. civ., sez. II, 2 marzo 2010, n. 4965); parimenti, il singolo non può, senza il consenso degli altri condomini, procedere a scavi del sottosuolo al fine di ricavare nuovi locali o ingrandire quelli esistenti, dal momento che ciò comporta «l'attrazione della cosa comune nella sfera della sua esclusiva disponibilità» (così Cass. civ., sez. II, 4 giugno 2008, n. 14807).

Sulla questione è tornata la Suprema Corte la quale, con argomentazioni più articolate, ha precisato che lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di proprietà comune, tenuto conto che la proprietà del suolo si estende al sottosuolo e che quest'ultimo svolge una funzione di sostegno al fine della stabilità dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 2006, n. 22835).

Nello stesso senso, evidenziando che il combinato disposto di tali norme rende irrilevante la mancanza di indicazione (anche oggi) del sottosuolo nell'elenco di beni presunti comuni ex art. 1117 c.c., si è ribadito che il sottosuolo su cui sorge l'edificio condominiale, in difetto di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, rientra tra i beni di proprietà comune, considerata anche la funzione di sostegno che svolge per la stabilità del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17141).

Il Supremo Collegio, nella stessa pronuncia, ha inoltre puntualizzato che il sedime del fabbricato costituisce, dunque, il limite ultimo delle proprietà individuali, le quali non si espandono usque ad infera, neppure se sono ubicate nel piano più basso, o in una sua porzione; ne consegue che alle proprietà (probabilmente, esclusive) poste al piano terra del fabbricato non si applica il citato art. 840 c.c. e la loro estensione si ferma al piano ad esse sottostante, cioè al «suolo» condominiale: è quest'ultimo che, estendendosi letteralmente «fino agli inferi» - cioè, teoricamente, all'infinito - comprende anche nella proprietà condominiale il «sottosuolo» (principi ribaditi anche da Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2006, n. 5085).

Un'interessante applicazione di tali concetti si registra in una recente pronuncia dei giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2012, n. 4430), i quali hanno dovuto esaminare una fattispecie abbastanza complessa ed articolata, che presupponeva l'accertamento della questione relativa alla proprietà di un sottoportico e, a monte, la definizione del concetto di «suolo su cui sorge l'edificio».

Ad avviso del supremo consesso decidente, la corte territoriale aveva commesso due errori.

Il primo derivava dal fatto di non aver considerato che la nozione di sottosuolo, cui si riferisce l'art. 840 c.c. per disciplinarne le utilità, e quella di suolo, che l'art. 1117, n. 1), c.c., annovera tra le cose oggetto di proprietà comune, si identificano per «reciproca sottrazione logica», così come, a sua volta, il suolo si differenzia dall'edificio soprastante alla stregua della nozione che di quest'ultimo si assuma valida.

Pur nella loro inevitabile «variabilità morfologica», i tre concetti di cui sopra corrispondono ad «entità fisiche non relativizzabili», di talché, in nessun caso, l'edificio o una parte di esso può identificarsi come suolo, così come non può qualificarsi come sottosuolo una porzione di terreno naturalmente emergente, quali che siano le rispettive individuazioni catastali, attribuite per ragioni di carattere fiscale.

Ne consegue - seguendo la tesi propugnata dagli ermellini - che, in materia condominiale, nessuna porzione dell'edificio, ancorché di proprietà individuale e, quindi, corrispondente in catasto ad una particella diversa da quella identificante l'area su cui sorge il fabbricato comune, può considerarsi come suolo, sicché la superficie sottostante non è, a sua volta, definibile come sottosuolo e non se ne può attribuire la proprietà in base alla regola dell'art. 840 c.c.

Nel caso di specie, il balcone di (incontestata) proprietà del singolo condomino non era qualificabile come «suolo», sicché, per accertare la proprietà del sottoportico compreso fra la soletta del balcone stesso ed il terreno sottostante, non era applicabile l'art. 840 c.c., conseguendone che la questione doveva essere regolata mediante l'applicazione esclusiva del solo art. 1117, n. 1), c.c., in base al quale è comune, salvo che risulti altrimenti dal titolo, il suolo su cui sorge l'edificio.

Il secondo errore - ravvisato dalla Suprema Corte - complementare all'affermata esplicazione dell'art. 840 c.c., si annidava nella premessa maggiore del sillogismo per cui, atteso che, con la locuzione «suolo su cui sorge l'edificio», deve intendersi quella porzione di terreno sul quale poggia l'intero edificio, cioè l'intera area delimitata dalle mura perimetrali dell'edificio stesso, il muro di «contenimento» del sottoportico (recte, di sostegno del balcone) non essendo né un muro maestro, né un muro perimetrale dell'intero edificio, né avendo alcuna utilità o funzione comune, non faceva parte del fabbricato condominiale.

L'equivoco risiedeva in ciò che «l'edificio» di cui parla l'art. 1117 c.c. non è dato dall'insieme delle sole sue parti comuni, nel senso che queste si identifichino con quello esaurendone la definizione, ma è il tutto, cioè una «unità fisico-economica complessa e compiuta» che racchiude ogni porzione, di proprietà comune o individuale, del fabbricato medesimo; non a caso la norma enumera le parti comuni dell'edificio, e non descrive, viceversa, quest'ultimo come somma delle sole strutture superindividuali elencate, così come l'art. 1117, n. 1), c.c. correla il suolo, quale parte di proprietà condominiale, unicamente al fabbricato, non anche alle singole altre parti (fondazioni, muri maestri, tetti, ecc.) che sono comuni per la funzione assolta, non per il fatto di essere comprese nell'edificio.

Ne derivava che il suolo che, ai sensi del n. 1 della summenzionata norma, è oggetto di proprietà comune, risultava quello su cui insisteva l'insieme della struttura, incluse le parti di mura perimetrali che, per titolo o funzione svolta, non fossero da considerarsi comuni, come nel caso di specie in cui queste erano destinate unicamente a delimitare e sorreggere il balcone di proprietà individuale.

Casistica

CASISTICA

Divieto di uso esclusivo

In tema di parti comuni di un immobile in condominio (art. 1117 c.c.) la locuzione «suolo su cui sorge l'edificio» deve intendersi quella porzione di terreno sul quale poggia l'intero edificio, id est l'intera area delimitata dalle mura perimetrali dell'edificio stesso, sicché è inibito al singolo condomino, in difetto di prova di avere acquistato in base a valido titolo porzioni di esso, di assoggettarlo a proprio uso esclusivo impedendone il pari uso agli altri condomini senza il consenso di costoro (Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2000, n. 14350).

Funzione di sostegno del fabbricato

Per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c., lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, in mancanza di un titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condòmini, va considerato di proprietà comune, tenuto conto che la proprietà del suolo si estende al sottosuolo e che quest'ultimo svolge una funzione di sostegno al fine della stabilità dell'edificio (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2011, n. 15383).

Perimento totale dell'edificio

In ipotesi di perimento totale di edificio condominiale, viene a determinarsi l'estinzione del condominio, come dei diritti reali esclusivi sulle singole porzioni immobiliari, residuando un regime di comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta in ragione dell'entità della quota a ciascuno di essi appartenente sull'edificio distrutto; ove sia poi operata la ricostruzione dell'edificio, in modo notevolmente difforme dal precedente, per il principio dell'accessione deve ritenersi, salvo contrario accordo scritto preventivo, che ciascuno dei comunisti venga ad acquistare la proprietà di una quota ideale di esso corrispondente a quella spettantegli sul suolo (Trib. Nocera Inferiore, 6 marzo 2005).

Opere di escavazioni per ingrandire il locale al pian terreno

Le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini (in applicazione di tale principio, si è confermata la sentenza di merito che aveva considerato lesivo del diritto di comproprietà l'opera di escavazione di centimetri quaranta, eseguita dalla proprietaria del piano terreno, in profondità del sottosuolo, per ingrandire il suo locale) (Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8119).

Guida all'approfondimento

Franco, Interferenze tra comunione e condominio nella recente evoluzione giurisprudenziale: l'area esterna, la costruzione su suolo comune e il principio dell'accessione, in Riv. dir. priv., 2014, 135;

Celeste, Il “suolo su cui sorge l'edificio” come bene comune, in Consul. immob., 2012, fasc. 916, 1765;

De Biase, Appunti in materia di condominio: la natura giuridica dell'istituto ed il singolare rapporto tra suolo e manufatto, in Foro nap., 2012, 329;

Cimmino, Accessione e costruzione sul suolo comune, in Notariato, 2011, 634;

De Tilla, Nel condominio le proprietà individuali non si espandono nel sottosuolo, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 7, 22.

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