Ad una prima analisi, la facciata dell'edificio, ora espressamente contemplata nel novero dei beni comuni dal novellato art. 1117, n. 1), c.c., non sembra debba ricevere una diversa disciplina rispetto a quella dei pannelli perimetrali; tuttavia, le problematiche scaturenti dalla regolamentazione giuridica non sono di poco conto, sia perché essa ha particolare rilevanza riguardo al decoro architettonico dello stabile, sia perché è in grado di comprendere, più di altre parti dello stabile, ulteriori e diversi beni, che talvolta sono soggetti a differente disciplina, sia perché il suo utilizzo deve contemperare diverse esigenze, tutte degne di tutela(si pensi all'apposizione di targhe ed insegne nonché all'installazione di tende).
Strettamente connesso con il tema dei muri condominiali, è quello della facciata dell'edificio, ossia il lato dell'edificio rivolto verso l'esterno: il viso (o la faccia) che appare nel suo insieme ad un soggetto che si pone di fronte al fabbricato; di solito, ci si riferisce a quella dove è posto l'ingresso principale, ma non si esclude l'esistenza di facciate laterali.
Innanzitutto, va precisato che la facciata, in quanto ricompresa nel genere dei muri, proprio per la cennata funzione di determinare la consistenza volumetrica dell'edificio, proteggerlo dagli agenti atmosferici e conferirgli peculiari caratteristiche architettoniche, doveva considerarsi comune in applicazione del disposto dell'art. 1117 c.c. già nel regime codicistico e, a fortiori, lo è attualmente a seguito dell'aggiunta disposta dalla l. n. 220/2012.
Sul punto, si era affermato che la facciata di prospetto di un edificio - avesse o meno valore decorativo - rientrava nella categoria dei muri maestri, dei quali era cenno espresso nel n. 1) dell'art. 1117 c.c., e formava, conseguentemente, oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio (Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 298, conseguendone che, a carico di tutti costoro, conseguentemente, doveva porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dell'intonaco).
Tale impostazione era stata successivamente confermata dallo stesso Supremo Collegio, con l'espressa precisazione che la destinazione strutturale della facciata ad utilità e servizio veniva svolta a favore di tutto il condominio, conseguendone che, alla relativa titolarità, dovessero partecipare tutti i condomini, a prescindere dalla posizione delle loro porzioni di piano (e, quindi, anche il proprietario di un box o di un locale al piano interrato).
In evidenza |
Il principio fa giustizia dell'erroneo convincimento che, a volte, alberga nei profani della materia, in forza del quale i condomini, le cui porzioni di piano affacciano non sullo specifico «lato» del fabbricato ma sui versanti retrostanti del fabbricato, non sarebbero comproprietari della facciata. |
Sul punto, invece, si è sottolineato che l'esatta disciplina della fattispecie comportava che la facciata di prospetto di un edificio rientrava nella categoria dei muri maestri, e, al pari di questi, costituiva una delle strutture essenziali ai fini dell'esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell'ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell'art. 1117, n. 1), c.c., ricadeva necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso, e restava destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1998, n. 945).
Potrebbe accadere che la facciata abbia caratteristiche costruttive così particolari da cui derivano effetti giuridici differenti da quelli sopra descritti (e ciò anche nel regime introdotto dalla Riforma del 2013).
E' il caso della facciata costituita da pannellature, frequente negli edifici moderni, per le quali potrebbe configurarsi un duplice regime: se, da un lato, le pannellature svolgono la medesima funzione della muratura - ossia costituiscono un pannello perimetrale posto a protezione e delimitazione volumetrica dell'edificio, che, peraltro, ha funzione estetica contribuendo a formare il «decoro» dell'edificio - e, dall'altro lato, forniscono protezione a chi, nell'interno, usufruisce dei relativi locali.
Si è anticipato che la facciata è, in buona sostanza, un pannello perimetrale e, in quest'ottica, è stata opportunamente inserita (sia pure al plurale, avuto riguardo ai diversi «lati» dello stabile) dalla Riforma del 2013 all'interno dell'elenco di cui al n. 1) dell'art. 1117 c.c. - sempre che, ovviamente, il «titolo» non disponga altrimenti - come nel caso in cui il costruttore se ne riservi la proprietà a scopi pubblicitari.
Ed è forse tale preoccupazione che ha spinto il Legislatore a stabilire il regime applicabile, tenendo conto che la pubblicità avanza dappertutto: invero, anche i palazzi delle moderne città stanno diventano «terra di conquista» di sponsorizzazioni varie, nel senso che sempre più spesso i muri perimetrali del fabbricato, accanto alla funzione primaria e fondamentale di sostegno, protezione ed estetica dello stabile, servono anche da «veicolo» per reclamizzare qualunque cosa, attività o servizio.
Ovviamente, la questione concernente la legittimità o meno dell'apposizione di insegne, targhe, cartelloni e quant'altro - talvolta nell'interesse degli abitanti dell'edificio interessato, talaltra per soddisfare finalità extracondominiali - si risolve, per così dire, a monte, se sussiste un regolamento di condominio che disciplini espressamente il godimento delle cose comuni.
Da ricordare, in proposito, che la giurisprudenza ritiene che il regolamento - di solito, quello avente valore contrattuale, e non quello approvato a maggioranza - ben può contenere limitazioni ai poteri dei singoli sulle cose comuni, traendo validità ed efficacia dal consenso degli interessati e vertendosi in materia di diritti disponibili (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268; Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854; Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311; Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905; Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861).
Ad esempio, il predetto regolamento potrebbe vietare l'apposizione di insegne e targhe sui muri perimetrali dell'edificio, come potrebbe imporre la preventiva autorizzazione degli organi condominiali (amministratore o assemblea) per l'esecuzione di date opere sul bene comune.
In mancanza di un regolamento, la facciata costituisce un bene comune che può essere utilizzata ugualmente ed indifferentemente da tutti i partecipanti al condominio, anche se ognuno può, da solo, più agevolmente, usare quella parte di muri perimetrali che delimitano il suo appartamento, in ordine non solo alle pareti interne, ma anche alla parte esterna, ad esempio, apponendovi manufatti pubblicitari.
Orbene, escluso che tali interventi possano interessare parti dell'edificio di proprietà esclusiva - nel qual caso opererebbe l'art. 1122 c.c. (nuovo testo) che vieta al condomino di «eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio» - la tematica riguarda l'uso del bene comune (nella specie, la facciata) e può essere analizzata a seconda che l'utilizzo dello stesso bene sia stato deciso ed attuato dal singolo oppure dalla maggioranza assembleare.
La corretta individuazione di queste due ipotesi comporta, come logica conseguenza, l'applicazione, rispettivamente, del disposto dell'art. 1102 c.c. o di quello previsto nell'art. 1120 c.c.
Ricondotta la fattispecie nell'alveo dell'art. 1102 c.c., si tratta di verificare se l'uso della cosa comune da parte del singolo condomino sia rispettoso delle prescrizioni previste in tale disposto.
Riguardo al limite c.d. oggettivo - alterazione della destinazione - il condomino può servirsi della facciata per trarne l'utilità consistente nel risalto pubblicitario dell'attività professionale o commerciale svolta, mediante l'apposizione di insegne, targhe, condizionatori, canne fumarie, cartelloni e simili (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1986, n. 6229), in quanto l'utilizzazione sotto tale riflesso del muro perimetrale comune non altera la sua naturale e precipua destinazione dell'edificio, costituendo normale uso della cosa comune.
In ordine al c.d. limite soggettivo - impedimento del pari uso - l'utilizzazione da parte del singolo della facciata comune può avvenire tanto secondo il suo normale uso quanto in modo particolare e diverso, sempre che ciò non comporti alterazione dell'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni degli altri, e non determini, conseguentemente, pregiudizievoli invadenze nell'àmbito dei coesistenti diritti dei rimanenti comproprietari (in termini generali, v. Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172; Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911; Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1982, n. 2087).
In quest'ottica, il giudice del merito, per accertare se l'uso più intenso della cosa comune da parte del singolo venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perciò ritenersi non consentito ai sensi dell'art. 1102 c.c., non deve tener presente solo l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; così, ad esempio, l'apposizione di un cartellone pubblicitario di grandi dimensioni sul muro comune va ritenuto illegittimo se sia in grado di impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che, in avvenire, essi avrebbero voluto fare, secondo una ragionevole previsione, di detto muro, per collocarvi targhe professionali o insegne commerciali (per alcune fattispecie particolari, v. Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155; Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008).
Ricondotta, invece, la fattispecie nell'àmbito dell'art. 1120 c.c., occorre fare i conti con le espressioni contenute nel comma 4 (nuovo testo), considerando illegittime quelle innovazioni che «possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino».
Il più delle volte l'assemblea, approfittando dei ponteggi installati per i lavori di ristrutturazione della facciata, concede in locazione la cosa comune ad un'impresa pubblicitaria, la quale, per conto del cliente, usufruisce di un vasto spazio per reclamizzare il proprio «prodotto»; in pratica, l'azienda installatrice contatta il condominio, per il tramite dell'amministratore, chiedendo di poter utilizzare (parzialmente o in toto) un bene comune del fabbricato - scelto perché costituisce un punto ottimale per la diffusione del messaggio pubblicitario - ed offrendo come controprestazione il pagamento di un canone (mensile o annuale).
Ora, se, da un lato, i canoni pagati allettano un numero sempre crescente di proprietari di unità immobiliari che, in questo modo, vedrebbero risolte le (spesso croniche) carenze di fondi nelle casse condominiali, con la speranza di ripianare i relativi bilanci (sovente «in rosso») o, quantomeno, ammortizzare le spese sostenute per i lavori di manutenzione straordinaria dello stabile, dall'altro lato, questo utilizzo della cosa comune soggiace pur sempre ai limiti indicati dal citato art. 1120.
Non sembra vi siano particolari problemi per quanto riguarda il concetto di «stabilità», che richiama le caratteristiche statiche dell'edificio ogni qual volta la modifica profili un reale pericolo per il crollo di tutto o parte del fabbricato nonché per l'incolumità degli abitanti e dei terzi estranei - si pensi, a lavori interessanti le fondamenta o i muri portanti dello stabile - il che non appare verificarsi allorché siano apposti al muro comune i cartelloni pubblicitari, per quanto grandi essi siano.
Dubbi, invece, potrebbero venire in ordine al concetto di «sicurezza», coinvolgente la vita ed il godimento all'interno del condominio, che possono essere minati o turbati da eventi vari, specie se connessi all'attività dell'uomo, in quanto, ad esempio, la collocazione di grandi cartelloni pubblicitari potrebbe agevolare eventuali attività furtive (coprendo, ad esempio, l'illuminazione prevista per i relativi ponteggi).
Con riferimento, poi, alla «alterazione del decoro architettonico» - in argomento, v. Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1954; Cass. civ., sez. II, 31 luglio 1987, n. 6640 - per un verso, la stessa va ravvisata quando comporti un deprezzamento dell'intero fabbricato e delle singole porzioni in esso comprese, non tanto come diminuzione del valore d'uso quanto piuttosto del valore di scambio dell'immobile e perciò degli appartamenti, e, per altro verso, la sussistenza del predetto pregiudizio economico può senz'altro consistere nell'accertato danno estetico considerando la sua rilevanza - la modifica non deve essere del tutto trascurabile e non deve aver arrecato anche un vantaggio - e la sua incidenza negativa sull'aspetto esterno del fabbricato condominiale e sulla simmetria dell'immobile.
Ne consegue che, nelle ipotesi di apposizione di cartelloni pubblicitari nella facciata del palazzo, di «decoro architettonico» non può solo parlarsi nei casi in cui l'edificio sia stato costruito su progetto curato da tecnici specializzati od elaborato da artisti, ma anche nei casi in cui la costruzione, pur avendo carattere popolare, abbia una sua «linea», risponda ad un disegno idoneo a dare all'edificio medesimo caratteristiche strutturali tali da attribuirgli una sua particolare fisionomia, suscettibile, quindi, di essere danneggiata da opere che la modifichino, anche quando dette opere siano state eseguite per assicurare particolari utilità pubblicitarie in ordine all'uso delle parti comuni o per reclamizzare determinate attività imprenditoriali svolte nelle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei partecipanti al condominio (conformi, sia pure con argomentazioni diverse, v., altresì, Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n. 10507; Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1993, n. 10513; nel senso che i condomini possono, all'unanimità, stabilire una loro definizione del concetto di decoro architettonico relativo all'aspetto generale dell'edificio, v., di recente, Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2015, n. 12582).
Tuttavia, secondo il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549), al fine di stabilire se le opere modificatrici abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il predetto decoro se apportata ad un edificio la cui estetica era già stata menomata a seguito di precedenti lavori.
Paradossalmente, talvolta, i cartelloni pubblicitari di grandi dimensioni, curati con le moderne vesti grafiche, potrebbero addirittura abbellire uno stabile che sia di mediocre livello architettonico o che sia già deturpato da previi interventi edilizi.
In quest'ordine di concetti, appare a questo punto opportuno riportare le fattispecie più frequenti di utilizzo della facciata dell'edificio esaminate dai giudici di Piazza Cavour.
Una delle tipiche modalità di fruizione della suddetta facciata da parte del singolo condomino, è quella che li vede utilizzati come supporto per l'apposizione di targhe, insegne o cartelli di vario genere: secondo l'impostazione generale sopra delineata, tale modalità è consentita a condizione che siano rispettati i parametri posti dall'art. 1102 c.c.
In via astratta, può affermarsi che l'installazione di targhe o insegne non comporta l'alterazione della naturale destinazione dei muri comuni; in proposito, un giudice di merito, sul principio in base al quale l'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo mediante l'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e, ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro, ha ritenuto trattarsi di un «normale esercizio del diritto di usare la cosa comune» (così Pret. Trani 25 luglio 1989).
Più in particolare, un'altra pronuncia di merito ha affermato che, al fine di evitare una limitazione del concorrente diritto d'uso degli altri condomini, è necessario che sia lasciata libera una parte del muro che sia idonea a rendere possibile agli altri condomini l'uso analogo ed eguale del muro (App. Cagliari 16 giugno 1958).
Tale metodologia di utilizzo può svolgersi anche a favore dei locali commerciali facenti parte dell'edificio, mediante l'apposizione sui muri comuni di insegne luminose, sicché tale iniziativa è consentita ai singoli condomini o ai conduttori, trattandosi di un'attività che non impedisce agli altri compartecipi di fare egualmente uso del muro comune secondo la sua destinazione.
L'installazione di targhe o insegne da parte del singolo condomino è diretta ed immediata, e non necessita di un preventivo passaggio assembleare per il rilascio di una corrispondente autorizzazione; tale affermazione costituisce l'applicazione dei principi generali sul godimento dei beni comuni, e si rinviene esplicitamente in una sentenza di merito, nella quale viene sottolineato che ciascun condomino può servirsi dei muri perimetrali dell'edificio in condominio, senza bisogno del consenso degli altri partecipanti alla comunione, al fine di apporre targhe ed insegne per pubblicizzare la propria attività purché la relativa utilizzazione non impedisca agli altri condomini di fare eguale uso della cosa comune (Trib. Palermo 12 dicembre 1991).
Sempre sulla legittimità dell'installazione di insegne sui muri comuni, la giurisprudenza ha precisato che tale attività è lecita, nel senso che non configura un uso indebito di una parte comune dell'edificio, anche nel caso in cui venga effettuata da parte del singolo utilizzando un vano finestra del suo appartamento (Trib. Roma 1 marzo 1986).
Con riferimento ad usi di minor importanza, ma non per questo meno rilevanti nei loro effetti sulla pacifica convivenza condominiale, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto compatibile con i poteri stabiliti dall'art. 1102 c.c. riguardo alle facciate degli edifici condominiali l'installazione di tende da sole.
Con riguardo a tali fattispecie, infatti, si è affermato che, salve limitazioni di natura pubblicistica, la chiusura a vetri di balconi o terrazzi di pertinenza esclusiva deve, di norma, ritenersi consentita ai rispettivi proprietari, purché non alteri il decoro architettonico dell'edificio condominiale e non rechi pregiudizio, sotto alcun profilo, agli altri condomini, ai quali deve essere comunque assicurato un pari uso del bene comune (Cass.civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861).
Invero, i condomini possono far uso delle parti comuni per le utilità accessorie inerenti al godimento della propria proprietà esclusiva, anche nelle parti corrispondenti ai piani degli altri proprietari, quando tale utilizzazione non viene ad alterare la naturale funzione di sostegno dei muri medesimi; di conseguenza, è ammissibile l'installazione di tende da attaccarsi alla base del balcone del piano superiore, con la sola limitazione che le stesse devono esser conformi al tipo approvato dall'assemblea (App. Milano 31 maggio 1988: nella specie, alcuni condomini avevano lamentato che l'installazione di detti tendaggi poteva comportare una limitazione della loro veduta ed una mancanza di sicurezza personale, affermazioni comunque confutate dalle fotografie e dalla documentazione prodotte in atti).
CASISTICA |
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Partecipazione alle spese di manutenzione
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Il criterio di ripartizione delle spese di cui all'art. 1123 c.c., riguardo all'ipotesi di cui al comma 2, può trovare applicazione in concrete circostanze, con riferimento a qualunque parte comune dell'edificio e, quindi, anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dell'utilità che la cosa comune sia oggettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i partecipanti solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole proprietà (Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13665). |
Apposizione di un'insegna luminosa
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In tema di condominio di edifici, è consentita ai singoli condomini o ai conduttori l'apposizione di un'insegna luminosa sul muro perimetrale comune, trattandosi di un'attività che non impedisce agli altri compartecipi di fare egualmente uso del muro comune secondo la sua destinazione (Cass. civ., sez. II, 3 febbraio 1998, n. 1046). |
Prescrizioni del regolamento di condominio
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Il regolamento di condominio, quali che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma 1, c.c., può ben contenere norme intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ciò si riveli necessario in funzione della salvaguardia del bene comune protetto; più in particolare, può ad esempio vietare quegli interventi modificatori delle porzioni di proprietà individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto (nella specie, si controverteva in ordine ad un tipo di serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unità immobiliare aperte sulla facciata del fabbricato condominiale) (Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731). |
Aspetto architettonico del fabbricato |
L'esercizio del diritto del singolo sulle parti di sua esclusiva proprietà non può ledere il godimento dei diritti degli altri sulle cose comuni, come si ricava dall'art. 1122 c.c., il quale stabilisce che ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno ad una parte comune dell'edificio, essendo tenuto al rispetto anche della qualità della stessa; infatti, il concetto di danno, cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (nella specie, trattavasi del sopralzo dei parapetti del terrazzo di copertura dell'edificio, che, secondo il giudice di merito, aveva compromesso sul piano estetico il rispetto dell'aspetto architettonico del fabbricato) (Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947). |
Posizione del conduttore |
Il conduttore di un'unità immobiliare compresa in un edificio condominiale può, al pari del proprietario, godere delle relative parti comuni ed anche, eventualmente, modificarle, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell'unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite c.d. interno) e sempre che non risulti alterata la destinazione di esse, né pregiudicato il paritario uso da parte degli altri condomini (limite c.d. esterno) (nella specie, si era confermata la sentenza di merito, che aveva condannato il conduttore di un locale facente parte di un condominio a rimuovere la canna fumaria dalla stessa precedentemente installata sulla facciata esterna del fabbricato, sul presupposto che alterasse il decoro architettonico dello stesso) (Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2021, n. 14598). |
D'Amico, “Variante” alla facciata dell'edificio: limiti ed inderogabilità del regolamento condominiale, in Nuova giur. civ. comm., 2012, I, 28;
Meo - Zanframundo, L'imbrattamento delle facciate condominiali: responsabilità e tutele, in Immob. & proprietà, 2010, 356;
Tortorici, Affissione di targhe e di insegne nel condominio, in Immob. & proprietà, 2009, 642;
Celeste, L'alterazione delle linee della facciata e le preesistenti condizioni dell'edificio, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 9, 25;
Cirla, La facciata dell'edificio, in Immob. & proprietà, 2006, 345;
Celeste, Le facciate degli edifici tra esigenze di pubblicità, problemi di sicurezza e rispetto del decoro, in Riv. giur. edil., 2003, II, 167;
Indinnimeo, Il condizionatore d'aria installato sul muro comune, in Rass. loc. e cond., 2005, 153;
Bordolli, Condizionatori d'aria fra limiti e divieti - L'installazione sul muro in comune - Canoni estetici e norme ambientali: le regole per gli impianti, in Dir. e giust., 2005, fasc. 30, 113;
Guida, L'apposizione di insegne, targhe, cartelli e simili sul muro comune, in Rass. loc. e cond., 1998, 273;
De Tilla, Sulla natura condominiale della facciata, in Giust. civ., 1992, I, 3182.