Gli atti processuali fra forme e formati

09 Febbraio 2016

Da ormai un anno e mezzo è obbligatorio il deposito telematico degli atti endoprocessuali e da poco meno di un anno è stata espressamente riconosciuta l'ammissibilità del deposito telematico degli atti introduttivi. L'Autore, partendo dalla considerazione dell'intrinseca inadeguatezza dell'attuale processo telematico, si sofferma principalmente sul problema della valenza delle regole tecniche ministeriali in materia e su tale base analizza alcune possibili ipotesi di irregolarità nei depositi telematici.
Processo telematico o processo paperless?

Il processo civile telematico si fonda sulla convinzione che le nuove tecnologie non modifichino le forme degli atti processuali. Non a caso, infatti, non si parla di processo civile telematico, ma semplicemente di uso di strumenti informatici all'interno del processo civile. Non forme nuove, quindi, ma semplicemente nuovi strumenti per forme tradizionali; in effetti, più che telematico, si tratta di un processo privo didocumenti cartacei, paperless.

La stessa complessità delle regole tecniche del processo telematico è più apparente che reale. Di fatto, l'idea alla base di tali regole è piuttosto semplice: sostituire (convertire) i documenti processuali cartacei (atti e prove precostituite) con documenti informatici, ossia, detto in altri termini, sostituzione della stampa cartacea degli atti e del loro deposito materiale in cancelleria con la conversione degli stessi in pdf e il loro invio a mezzo posta certificata.

Tale concezione si basa sull'implicita convinzione che tutti gli atti e i documenti del processo siano cartacei e che, quindi, possano essere convertiti (direttamente o a mezzo scansione) in file pdf. Si tratta, tuttavia, di una convinzione per molti versi erronea o quantomeno inadeguata alla tecnologia attuale. Oggi è una constatazione ormai ovvia che le cosiddette “scritture” rappresentano una parte assai ridotta dei documenti producibili in giudizio. Ed è proprio tale erroneo punto di partenza che sembra generare i maggiori problemi applicativi. Richiamandosi alla ormai notissima distinzione fra digitali “nativi” e digitali “immigrati” si può certamente dire che il nostro sia un processo civile telematico “immigrato”, ossia nato sulla base di schemi e concetti del tutto tradizionali e non allineati con le nuove tecnologie.

Inadeguatezza dell'attuale processo telematico

Si hanno riscontri immediati dell'inadeguatezza della disciplina oggi vigente. Come già accennato, il legislatore si è basato sull'implicita convinzione che tutti gli atti e i documenti del processo possano essere convertiti in uno dei formati ammessi dalle regole tecniche e quindi prodotti. Non a caso gli unici formati consentiti sono essenzialmente file immagine o pdf, ossia i file con cui tradizionalmente vengono convertiti o scansionati i documenti cartacei.

È quasi banale, però, rilevare che moltissimi documenti nascono ormai direttamente in forme (rectius formati) differenti da quella cartacea e, spesso, non sono neppure più riconducibili direttamente all'opera dell'uomo. Si tratta, quindi, di atti o documenti difficilmente “convertibili”.

L'attuale processo civile telematico e soprattutto la limitazione dei formati utilizzabili per le produzioni documentali (nella sostanza i soli file pdf e i file immagine, come detto) sembrano del tutto inadeguati a questo riguardo. Anzitutto tale limitazione impedisce il deposito dei formati originali dei file, con conseguente perdita non solo dei relativi metadata (indispensabili per una verifica della loro autenticità) ma anche di alcune loro essenziali proprietà (si pensi banalmente alle relazioni di calcolo che si trovano in file excel, relazioni che solo l'analisi del file nel formato originale permette di conoscere con esattezza).

Ma non solo. Tale limitazione di fatto esclude in radice la possibilità di produrre in giudizio altre tipologie di file oggi di uso comune. Si pensi ai file video e ai file audio, tecnicamente non convertibili in pdf o, quand'anche lo fossero, privi, se convertiti, di ogni utilità informativa. Appare veramente paradossale che, nell'epoca di Youtube, un processo che si definisce telematico non consenta la produzione di file audio e video o, peggio, che a tal fine debba richiedere la nomina di un consulente tecnico (unica soluzione che al momento pare praticabile per la produzione di registrazioni audio e video).

L'ambigua valenza delle regole tecniche ministeriali

Questa inadeguatezza induce a riflettere sul problema dei formati di file utilizzabili per i depositi telematici e sulle connesse problematiche applicative. Tale problema, tuttavia, presuppone l'analisi del più generale problema della valenza delle regole tecniche ministeriali.

Si deve partire da una considerazione di base. Le regole tecniche (mere norme di rango secondario) non possono introdurre requisiti a pena di nullità; e ciò in conformità al principio di tassatività delle nullità previsto dall'art. 156 comma 1 c.p.c.. Pertanto, sembra possibile ritenere che la semplice non conformità a tali regole non possa determinare automaticamente la nullità dell'atto o del deposito. Questo, però, non vuol dire che sia tutto ammissibile. Anche in questo caso occorre fare riferimento ai principi generali e, in particolare, alla regola indicata dal comma 2 dell'art. 156 c.p.c., ai sensi del quale sono nulli gli atti inidonei a raggiungere il proprio scopo. Tradotto in termini informatici, tale regola esclude la possibilità di produrre formati di file del tutto incompatibili con il sistema informatico del processo civile.

Si deve trattare, tuttavia, di un'incompatibilità tecnico-informatica. Ad esempio, il deposito di una busta telematica di dimensioni superiori a quelle indicate nelle regole tecniche non è inammissibile perché viola le regole stesse ma semplicemente perché non è idonea a raggiungere lo scopo (non essendo neppure possibile procedere al deposito telematico). In questo senso, si è espresso in modo molto chiaro il Tribunale di Roma, con specifico riferimento all'ammissibilità di atti non inclusi nei decreti ministeriali, ma con argomentazioni certamente di valenza più generale (cfr. Trib. Roma 24 gennaio 2015).

Conseguentemente, il fatto che uno specifico formato di file non sia incluso fra quelli previsti come utilizzabili dalle regole tecniche non ne esclude automaticamente l'ammissibilità. Occorre verificare invece se, in considerazione delle sue specifiche caratteristiche tecniche, ne sia ugualmente possibile l'acquisizione al fascicolo informatico e la relativa visualizzazione da parte della cancelleria, del giudice e delle altre parti. Detto in termini più semplici, sembrano certamente ammissibili formati di file che siano comunque compatibili (vale a dire che possano essere letti e visualizzati) con i programmi utilizzati per leggere e visualizzare i formati indicati nelle regole tecniche. Al contrario, molto più discutibile appare l'ammissibilità di formati di file la cui visualizzazione richiede l'utilizzo di specifici programmi.

Anche in questo caso, però, la soluzione non pare così automatica. Si pensi, ad esempio, ai file dwg, formato con cui vengono ormai redatti quasi (se non tutti) i progetti in 2D e 3D. Tali file possono essere visualizzati solo attraverso specifici programmi di cui non sono dotati gli uffici giudiziari. Apparentemente, quindi, la produzione diretta di tali file dovrebbero ritenersi inammissibile (proprio in quanto non compatibili con il sistema informatico), potendo essere acquisiti solo a mezzo di consulente tecnico d'ufficio. Anche tale soluzione, tuttavia, parrebbe troppo rigida; e ciò nel senso che forse potrebbe comunque esserne consentita la produzione (sempre nel rispetto dei limiti dimensionali), rimettendo al consulente (non l'acquisizione ma solamente) l'analisi e la visualizzazione.

Irregolarità nei depositi e possibili soluzioni applicative

Le precedenti considerazioni in tema di regole tecniche inducono a svolgere alcune ulteriori considerazioni su possibili eventuali irregolarità nei depositi telematici. Finora, forse in considerazione della novità dei depositi telematici, gli avvocati hanno prestato molta attenzione. In futuro, tuttavia, è possibile che si sviluppi una vasta casistica di irregolarità nei depositi telematici. È per questo che qui appare opportuno formulare alcune ipotesi.

Va nuovamente ribadito e premesso che il riferimento deve essere sempre la disciplina generale in tema di nullità degli atti processuali e, specificamente, l'art. 156 comma 2 e 3 c.p.c.. Posto che le regole tecniche non possono prevedere direttamente casi di nullità degli atti processuali, la valutazione della validità o meno del deposito deve essere riferita al criterio di inidoneità al raggiungimento dello scopo e al principio di sanatoria in caso di raggiungimento dello scopo, tra loro chiaramente complementari.

Sono numerose e variegate le possibili irregolarità. Si pensi, anzitutto, a un deposito in cui l'atto prodotto è un pdf derivante da scansione e non da conversione del file word. Proprio in considerazione dei principi generali non vi è ragione per ritenere che tale deposito sia inammissibile, sia perché le regole tecniche non possono prevedere nullità sia soprattutto perché l'atto è comunque idoneo a raggiungere lo scopo (non essendovi ragioni tecniche-informatiche che ne pregiudichino il deposito). In questo senso, ad esempio, si è recentemente espresso il Tribunale di Verona, ritenendo ammissibile un ricorso per decreto ingiuntivo in cui l'atto introduttivo era un pdf ricavato da una scansione (cfr. Trib. Verona 5 dicembre 2015)

Ma si pensi anche a un deposito in cui i documenti prodotti sono inseriti con voci diverse rispetto a quelle previste dai redattori di atti. Ad esempio, si può ipotizzare un deposito in cui l'atto è prodotto come “procura alle liti” e la procura è prodotta come “atto introduttivo”; ma si pensi anche al deposito di un atto processuale non sottoscritto digitalmente (è vero che i redattori impediscono il deposito senza la sottoscrizione ma potrebbe succedere che venga caricato come atto e quindi firmato digitalmente un documento e che l'atto venga caricato come prova documentale).

Anche in questi casi non mi sembra vi siano ragioni per escludere l'ammissibilità e la validità di tali depositi. In effetti, forse per un comprensibile eccesso di prudenza, le regole tecniche di deposito telematico degli atti prevedono diverse formalità (ossia la sottoscrizione digitale dell'atto, l'inserimento dello stesso in una busta telematica a sua volta sottoscritta digitalmente e la spedizione mediante posta elettronica certificata). Si tratta di formalità che, per quanto non particolarmente complesse, appaiono probabilmente “eccessive” o comunque ridondanti rispetto alla loro effettiva funzione. Se rapportassimo tali modalità a un deposito cartaceo, esse sostanzialmente imporrebbero non solo la sottoscrizione dell'atto da parte dell'avvocato, ma anche che quest'ultimo inserisca l'atto in un involucro da lui sottoscritto e che lo depositi personalmente in cancelleria.

Il numero e la ridondanza degli accorgimenti predisposti per il deposito telematico induce a ritenere che l'assenza (o comunque il mancato rispetto) di uno di essi non possa pregiudicare la validità del deposito. Se lo scopo di tali accorgimenti è quello di ricondurre inequivocabilmente la paternità dell'atto al difensore e a un preciso momento temporale, si può certamente ritenere che tale finalità sia tranquillamente rispettata anche in assenza di sottoscrizione digitale dell'atto. La sottoscrizione della busta e la trasmissione a mezzo posta certificata sono condizioni necessarie ma, si ritiene, anche sufficienti per garantire l'ammissibilità e la validità del deposito.

Guida all'approfondimento

P. Comoglio, Processo civile telematico e codice di rito. Problemi di compatibilità e suggestioni evolutive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 953, Milano, 2003, 47;

G.G. Poli , Il processo civile telematico del 2015 tra problemi e prospettive, in Giusto proc. civ., 2015, 229;

G.G. Poli, Sulle (nuove forme di) nullità degli atti ai tempi del processo telematico, in Giur. it., 2015, 368.

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