Prime riflessioni sulla sentenza della Cassazione in tema di deposito telematico di atto introduttivo

Gaetano Labianca
17 Giugno 2016

Con la sentenza n. 9772, depositata il 12 maggio 2016, la II sezione civile della Corte di Cassazione, ha rilevato la presenza di una questione nuova nella giurisprudenza della Corte, in ordine alla quale si erano registrate, tra i giudici di merito, diversità nelle interpretazioni e nelle soluzioni offerte.
Premessa

Con la sentenza n. 9772, depositata il 12 maggio 2016, la II sezione civile della Corte di Cassazione, investita della decisione su un ricorso proposto ex art. 111 Cost. avverso un decreto di inammissibilità del Tribunale di Bergamo, reso in una controversia avente ad oggetto un'opposizione a decreto ingiuntivo in cui l'atto introduttivo del procedimento era stato depositato in via telematica anziché con modalità cartacee, ha rilevato la presenza di una questione nuova nella giurisprudenza della Corte, in ordine alla quale si erano registrate, tra i giudici di merito, diversità nelle interpretazioni e nelle soluzioni offerte.

E, pur dando atto dell'inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto ai sensi dell'art. 111 Cost., stante il principio consolidato per cui il provvedimento dichiarativo della inammissibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per difetto o ritardata costituzione dell'opponente non è direttamente impugnabile con ricorso per cassazione, assumendo il medesimo decreto valore sostanziale di sentenza, con la conseguenza che esso è soggetto ad impugnazione mediante appello, secondo i normali criteri del giudizio di cognizione, ha nondimeno ritenuto sussistenti i presupposti per una pronuncia d'ufficio ai sensi dell'art. 363, comma 3, c.p.c., enunciando il seguente principio di diritto: «in tema di processo civile telematico, nei procedimenti contenziosi iniziati dinnanzi ai Tribunali dal 30 giugno 2014, nella disciplina dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, inserito dall'art. 1, comma 19, n. 2, l. n. 228/2012, anteriormente alle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2015 (che, con l'art. 19, comma 1, lett. a, n. 1, vi ha aggiunto il comma 1-bis), il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell'atto introduttivo del giudizio, ivi compreso l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell'attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ogni qualvolta l'atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell'ufficio giudiziario previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, deve ritenersi integrato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle parti».

Il decreto di inammissibilità del Tribunale di Bergamo

Per meglio comprendere la portata del richiamato principio enunciato dalla Suprema Corte sulla questione che il ricorso ha proposto, nonché i termini della questione ed il contrasto interpretativo cui ha dato luogo la norma di cui all'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 (inserito dall'art. 1, comma 19, n. 2, nella l. n. 228/2012, anteriormente alle modifiche apportate dal d.l. n. 83/2015), è utile riportare il contenuto del decreto di inammissibilità del Tribunale di Bergamo. Muovendosi nel solco di una rigorosa interpretazione della norma predetta, aveva ritenuto inammissibile il deposito telematico di un atto introduttivo, in quanto la citata norma, in vigore dal 30 giugno 2004, concerne il deposito telematico dei soli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti «precedentemente costituite», con esclusione, pertanto, dei c.d. “atti introduttivi”, non essendo, tra l'altro, lo stesso atto introduttivo depositato telematicamente annoverato tra quelli menzionati dal decreto Ministeriale di attivazione del processo civile telematico presso il detto ufficio giudiziario.

Per la verità, tale interpretazione non era rimasta affatto isolata, ed era stata sostenuta, in specie all'indomani dell'entrata in vigore della norma di cui all'art. 16-bis d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, dalla maggior parte degli Uffici Giudiziari, che, almeno inizialmente, avevano dichiarato inammissibili gli atti introduttivi depositati telematicamente, alla stregua di un'interpretazione letterale della norma (Trib. Pavia 22 luglio 2014; Trib. Foggia 10 aprile 2014; Trib. Torino 20 ottobre 2014; Trib. Padova 1 settembre 2014). Essa, facendo esclusivo riferimento ai soli atti e documenti di parti già in precedenza costituite, aveva implicitamente vietato il deposito di atti di introduzione o di costituzione in giudizio (come l'atto di citazione o la comparsa di risposta), a meno che tali atti non fossero stati già autorizzati dall'apposito decreto Ministeriale di attivazione del processo telematico. Questo, a sua volta, aveva individuato, per ogni singolo Ufficio giudiziario, i soli atti per i quali fosse possibile un'anticipazione, per il singolo Ufficio richiedente, dell'entrata in vigore del processo civile telematico, con conseguente c.d. “valore legale” dell'eventuale deposito telematico.

E pure il Tribunale di Bergamo, uniformandosi a tale indirizzo interpretativo, aveva ritenuto che, in assenza di apposito decreto autorizzativo Ministeriale, concernente la facoltà di deposito telematico di quel determinato atto introduttivo, non fosse possibile depositare telematicamente l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, difettando una norma espressa dell'ordinamento processuale che ne consentisse il deposito in forma telematica.

Il primo e secondo motivo di ricorso per cassazione: l'interpretazione dell'art. 35 d.m. n. 44/2011

Proprio la questione dell'errata interpretazione dell'art. 35 d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, recante il regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ha costituito l'oggetto del primo e secondo motivo di ricorso per cassazione.

Secondo l'art. 35 d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, tramite apposito decreto autorizzativo adottato dalla DGSIA (Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia), il Direttore, all'esito del positivo esercizio della sperimentazione avviata presso ciascun Ufficio giudiziario, verificata la funzionalità della dotazione hardware e software di ciascun Tribunale, decreta che l'Ufficio giudiziario sia autorizzato a ricevere gli atti indicati nell'apposito atto autorizzativo.

Con tutta evidenza, se la finalità della sperimentazione era stata quella di anticipare, per taluni Uffici Giudiziari, l'attivazione del processo civile telematico rispetto alla data di entrata in vigore obbligatoria della riforma (30 giugno 2014) e se lo stesso decreto Ministeriale rilasciato al singolo Ufficio giudiziario individuava, tra gli atti depositabili telematicamente, taluni atti introduttivi, come, ad esempio, la comparsa di risposta, non era dubitabile che, in simili ipotesi, sussistesse la c.d. facoltà per il Difensore di depositare telematicamente, tra gli altri, anche il singolo atto introduttivo individuato specificamente nel decreto autorizzativo.

Il problema, viceversa, si è posto per quegli Uffici giudiziario in cui il decreto autorizzativo - come nel caso del Tribunale di Bergamo - non fosse stato rilasciato per quel determinato atto depositato telematicamente, e non si fosse trattato di atto successivo alla costituzione della parte.

Tali essendo i termini della questione, ancor prima della pronuncia della Suprema Corte si era fatta strada la diversa argomentazione fondata sul fatto che alla Direzione Generale dei sistemi informativi ed automatizzati del Ministero compete esclusivamente il potere di decretare l'avvenuta attivazione ed installazione delle attrezzature informatiche - unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici - nel singolo ufficio, non certo di decretare il valore legale di un determinato atto depositato telematicamente.

Muovendo in questa direzione, si è osservato che la validità di un atto processuale non può farsi dipendere da un provvedimento amministrativo, come risulta il decreto della DGSIA, avente esclusivamente il potere di «accertare l'installazione e l'idoneità delle attrezzature informatiche unitamente alla funzionalità dei servizi di comunicazione, dei documenti informatici nel singolo ufficio» (Trib. Milano, ord., 7 ottobre 2014).

Tale argomentazione risulta espressamente ripresa dalla Suprema Corte, che, al punto 6.2. della sentenza in oggetto, ha rilevato che il citato art. 35 d.m. n. 44/2011, in vista dell'attivazione della trasmissione dei documenti informatici da parte dei soggetti abilitati esterni, si limita a conferire al decreto dirigenziale il compito di accertare l'avvenuta installazione ed attivazione delle attrezzature informatiche e la funzionalità dei servizi di comunicazione, non certo il compito di attribuire un determinato valore legale agli atti depositabili telematicamente, la cui individuazione discende, pertanto, dalla normativa primaria.

Risulta così definitivamente superata l'impostazione che attribuiva ad una fonte di rango sub-regolamentare il compito di individuare il novero degli atti depositabili telematicamente; la Corte ha chiaramente avvertito che non rientra tra i poteri accertativi di funzionalità tecniche anche la funzione di attribuire alla

DGSIA

la facoltà di depositare telematicamente un determinato atto.

La questione di particolare importanza

Ciò posto, viene affrontata la questione di particolare importanza, ovverosia la possibilità di depositare telematicamente atti diversi rispetto a quelli per i quali l'art. 16–bis d.l. n. 179/2012 impone di utilizzare quel canale comunicativo; e, cioè, se ferma restando l'obbligatorietà del processo civile telematico per i soli atti c.d. endo-processuali, il deposito per via telematica dell'atto introduttivo del giudizio rientri, pur in difetto di apposita autorizzazione ex art. 35 d.m. n. 44/2011, tra le facoltà del Difensore che intenda costituirsi in giudizio, oppure sia inammissibile.

Per il vero, la rilevanza della questione è esclusivamente intertemporale, stante l'entrata in vigore del d.l. n. 83/2015, che ha inserito il comma 1-bis nell'art. 16–bis d.l. n. 179/2012 (come modificato, in sede di conversione, dalla l. n. 132/2015) e, ciò nonostante, la decisione viene volutamente assunta nell'interesse della legge, stante la particolare importanza del thema decidendum.

Vale la pena rammentare che, prima della pronuncia della Suprema Corte e sino alla modifica legislativa, entrata in vigore dal 28 giugno 2015, le varie soluzioni interpretative adottate dai vari Tribunali di merito sulla possibilità di depositare telematicamente un atto introduttivo o di costituzione in giudizio si erano rivelate del tutto difformi, oscillando dalla tesi della inesistenza a quella della inammissibilità e/o improcedibilità; dalla ipotesi della mera irregolarità o nullità sanabile a quella della nullità insanabile, con regole protocollari e prassi difformi da Tribunale a Tribunale.

In particolare, a fronte degli orientamenti che avevano dichiarato l'inammissibilità degli atti introduttivi depositati telematicamente (v. Trib. Foggia 10 aprile 2014; Trib. Torino 20 ottobre 2014, Trib. Pavia 22 luglio 2014), si era obiettato che, poiché nel nostro sistema processuale vige il principio della c.d. libertà delle forme, previsto normativamente nell'art. 121 c.p.c., l'obbligo di utilizzare un certo strumento di trasmissione non poteva equivalere, nel silenzio della legge, a statuire il divieto di utilizzo di quel medesimo strumento per gli atti introduttivi, laddove per gli atti endo-procedimentali, a far data dal 30 giugno 2014 (per i soli procedimenti di nuova iscrizione, mentre per quelli già pendenti l'obbligo è divenuto operativo dal 31 dicembre 2014), era addirittura obbligatorio.

Proprio tale argomento viene ripreso dalla Suprema Corte, che, in un passaggio della sentenza (v. punto 6), rileva che «… dal comma 1 del citato art. 16-bis non si ricava la regola, inversa, del divieto di utilizzare il canale comunicativo dell'invio telematico per gli atti introduttivi del processo».

In altri termini, se l'invio telematico è divenuto obbligatorio per gli atti endo-procedimentali, ciò non comporta, ex se, l'esclusione della possibilità di depositare telematicamente anche gli atti introduttivi, non ricavandosi dalla norma alcun divieto di deposito degli atti introduttivi in via telematica.

Non si evince dunque la regola del divieto di deposito telematico per gli atti introduttivi e non v'è sanzione espressa di nullità, con la conseguenza che l'obbligo di utilizzare un certo strumento di trasmissione non può equivalere, nel silenzio della legge, a statuire il divieto di utilizzo di quel determinato strumento per gli atti introduttivi, e ciò tanto più - avverte la Corte - che il deposito telematico degli atti introduttivi costituisce un'eventualità reputata possibile dallo stesso codice di procedura civile, che, all'art. 83, comma 3, c.p.c. nel testo modificato dalla legge 18 giugno 2009, n. 69, prevede la possibilità peril difensore di costituirsi attraverso strumenti telematici, mediante la trasmissione di copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica.

La regola della strumentalità delle forme

In assenza, poi, di espressa sanzione comminante la nullità del deposito telematico di un atto introduttivo, la questione va risolta utilizzando il principio c.d. della strumentalità delle forme e del raggiungimento dello scopo, posto che, ove l'atto ha superato i controlli automatici della cancelleria ed è stato messo a disposizione delle parti, esso ha indubitabilmente realizzato la presa di contatto tra la parte depositante e l'Ufficio giudiziario.

A tal fine, viene richiamata la giurisprudenza di Legittimità (v. Cass., S.U., n. 5160/2009) in materia di deposito irrituale di un atto processuale spedito a mezzo posta (cfr., anche, negli stessi termini, Cass. n. 21667/2012; Cass. n. 3209/2012; Cass. n. 30240/2011; Cass. n. 23239/2011; Cass. n. 12663/2010), secondo cui, poiché lo scopo essenziale del deposito di un atto giudiziario, è la “presa di contatto” fra la parte e l'Ufficio Giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione della controversia, laddove il deposito telematico di un atto introduttivo o di costituzione in giudizio abbia superato i controlli della cancelleria, e sia stato comunque dato corso al procedimento, deve concludersi per la conseguente sanatoria della eventuale irregolarità, ai sensi dell'art. 156 comma 3 c.p.c., essendo stato pienamente raggiunto lo scopo cui l'atto è destinato, con efficacia da valutarsi ex nunc, ossia dal momento in cui l'atto è stato depositato ed accettato dalla cancelleria, e non ex tunc.

Viene così definitivamente superata l'obiezione, posta da alcuni Tribunali di merito, secondo cui, al di fuori delle speciali ipotesi intese a rendere il più possibile agevole l'accesso alla tutela giurisdizionale, ossia la materia del procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione ed il processo tributario, non poteva affatto ritenersi consentita una costituzione a mezzo posta nel giudizio ordinario, stante il fatto che le disposizioni di cui all'art. 165 c.p.c., collegate strettamente agli artt. 72, 73, 74 disp. att. c.p.c., configurano una procedura che necessariamente non può escludere la consegna brevi manu dei documenti, in quanto finalizzata al controllo, da parte della cancelleria, dell'esistenza dei documenti prodotti, in modo da consentire alla parte convenuta di riscontrare l'esistenza di essi documenti ed eventualmente, con la comparsa di costituzione e di risposta, di contestarne la genuinità e l'attinenza alla questione da trattare e, quindi, di soddisfare esigenze di certezza riguardo alla corretta instaurazione del rapporto processuale.

Sul punto, nella decisione citata, la Suprema Corte ha dato continuità all'ultima, recente decisione (v. Cass. n. 12509/2015) in tema del deposito dell'atto di costituzione in giudizio a mezzo posta, tramite la quale è stato rilevato che l'invio a mezzo posta dell'atto processuale destinato alla cancelleria (nella specie, memoria di costituzione in giudizio comprensiva di domanda riconvenzionale) - al di fuori delle ipotesi speciali relative al giudizio di cassazione, al giudizio tributario ed a quello di opposizione ad ordinanza ingiunzione - realizza un deposito dell'atto c.d. irrituale, in quanto non previsto dalla legge, ma che, riguardando «un'attività materiale priva di requisito volitivo autonomo», che non deve necessariamente essere compiuta dal difensore, potendo essere realizzata anche da un nuncius, può essere idoneo a raggiungere lo scopo, con conseguente sanatoria del vizio, ex art. 156 comma 3 c.p.c.,: in tal caso, la sanatoria si produce con decorrenza dalla data di ricezione dell'atto da parte del cancelliere ai fini processuali, ed in nessun caso da quella di spedizione.

Proprio muovendo in questa direzione, la Suprema Corte giunge ad affermare che anche il deposito per via telematica anziché con modalità cartacea dell'atto introduttivo, pur non essendo espressamente previsto dalla legge, si risolve in una mera irregolarità, ossia in una imperfezione o deviazione dallo schema legale tipico di riferimento non viziante la costituzione in giudizio dell'attore, e non idonea ad impedire al deposito stesso di produrre i suoi effetti giuridici tutte le volte in cui l'atto sia stato accettato dalla cancelleria, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica del Ministero della Giustizia ex art. 16-bis d.l. n. 179/2012.

Le questioni (apparentemente) non risolte dalla pronuncia

La portata centrale del decisum (del tutto condivisibile quanto alle conseguenze derivanti dal vulnus normativo concernente gli atti introduttivi nel periodo intertemporale e dall'assenza di sanzione espressa (e tipica) di inammissibilità) è incentrata sul fatto che - similmente alla costituzione a mezzo posta - la costituzione telematica realizza una modalità del deposito che, in quanto attività materiale priva di requisito volitivo autonomo, ha lo scopo di realizzare esclusivamente la “presa di contatto” fra la parte e l'Ufficio Giudiziario dinanzi al quale pende la trattazione della controversia. Di conseguenza, essa si risolve in una mera irregolarità, non impeditiva del raggiungimento dello scopo dell'atto laddove esso abbia superato i controlli della cancelleria e quindi sia stato sottoposto, con effetti ex nunc, all'Ufficio giudiziario dinanzi al quale pende la controversia. Dubbi sussistono invece con riferimento al principio adottato per risolvere l'ipotesi inversa, e speculare, dell'atto endoprocessuale depositato per via cartacea, anziché telematica.

Muovendo in questa prospettiva, appare del tutto ragionevole il richiamo al principio della strumentalità delle forme (ed al fatto che l'ordinamento decrementa le volte in cui il processo civile si conclude con una pronuncia di carattere meramente processuale) nell'ipotesi di casi controversi quanto alla qualificazione da attribuire all'atto depositato, laddove cioè sussistano dubbi sulla natura introduttiva o endo-procedimentale (si pensi, ad esempio, all'ipotesi del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. ovvero all'ipotesi di riassunzione non proveniente da parte precedentemente costituita, al caso del reclamo c.d. Fornero e del ricorso ex art. 28 l. n. 300/1970, oppure all'ipotesi di ricorso in opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi), con conseguente approccio c.d. conservativo, finalizzato, cioè, a definire il merito della lite, con una distribuzione del torto e della ragione tra le parti. Non altrettanto agevole appare il richiamo al principio cardine della strumentalità delle forme e del raggiungimento dello scopo per risolvere il caso dell'atto endo-processuale depositato per via cartacea, posto che, in questa ipotesi, il Legislatore ha specificato la modalità del deposito, senza ammettere equipollenti, tramite l'utilizzo dell'avverbio “esclusivamente”.

Ed, anche se a quell'avverbio non segue alcuna sanzione, espressa, di nullità insanabile ovvero di inammissibilità, è lecito chiedersi se sia ammissibile il ricorso ai principi suddetti per inferire la sanabilità di un atto che doveva, obbligatoriamente, essere depositato per via telematica.

Se si porta alle estreme conseguenze il ragionamento utilizzato dalla Corte, ossia che le forme degli atti del processo non sono prescritte dalla legge per la realizzazione di un valore in sé o per il perseguimento di un fine proprio ed autonomo, ma per la realizzazione di un certo risultato, allora potrebbe dedursi che, mancando nelle previsioni - anche regolamentari - sanzioni espresse comminanti una nullità dell'atto depositato per via cartacea, anche il deposito cartaceo di un atto proveniente da una parte già costituita potrebbe considerarsi, ove accettato dalla cancelleria, sanabile, ove abbia raggiunto lo scopo cui il deposito è destinato, ossia la presa di contatto tra la parte e l'Ufficio giudiziario.

E non v'è dubbio che, pur prevedendo la circolare del Ministero della Giustizia del 27 giugno 2012 l'obbligo della cancelleria di non ricevere tali atti laddove depositati per via cartacea, il problema potrebbe prospettarsi laddove, su insistenza del Difensore, la cancelleria abbia comunque accettato l'atto (si pensi all'ipotesi delle memorie ex art. 183 c.p.c.) e questo, una volta entrato nel sistema ed accettato dalla cancelleria, abbia realizzato quella presa di contatto tra il depositante e l'Ufficio Giudiziario.

In simili ipotesi, è lecito utilizzare il principio del raggiungimento dello scopo e della strumentalità delle forme per sanare il deposito di un atto che doveva avvenire, obbligatoriamente, per via telematica?

La risposta a tale interrogativo non può avvenire, ad avviso di chi scrive, semplicemente attraverso il richiamo al principio del raggiungimento dello scopo, che peraltro riguarda le nullità formali.

Se, invero, l'uso dell'avverbio “esclusivamente” per il deposito di atti endo-processuali sta ad indicare l'insussistenza di modalità equipollenti di deposito e se l'atto, per poter essere depositato telematicamente, deve essere conforme alla normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, ricezione e trasmissione dei documenti informatici, allora potrebbe ritenersi che si è in presenza, sia pur implicitamente, di una norma avente natura imperativa (e, conseguentemente, di un divieto indisponibile alle parti), che, sia pur non seguita da alcuna sanzione processuale, enuclea la volontà del legislatore - come esplicitato anche dalla circolare ministeriale - di non voler consentire alcuna modalità alternativa di deposito, a meno di non voler obliterare la ratio della norma, che non è solo quella di consentire lo scambio dell'atto endo-processuale o il deposito in cancelleria.

In altri termini, se non è contestabile che la forma di un determinato atto non è prescritta per la realizzazione di un valore in sé, ma come lo strumento più idoneo per realizzare un certo risultato, che è l'obiettivo che la norma, disciplinante la forma dell'atto, intende conseguire, allora potrebbe ritenersi che il deposito telematico rappresenta lo strumento per realizzare l'obiettivo che la norma intende conseguire, ossia di realizzare il processo di digitalizzazione della giustizia civile; non pare, pertanto, che possano essere utilizzati i richiami al principio della strumentalità delle forme ed al raggiungimento dello scopo per conseguire la sanatoria di un deposito previsto in termini di esclusività del legislatore, in quanto non strumentale esclusivamente al singolo rapporto processuale, ma costituente l'unica forma di costituzione valida per realizzare l'obiettivo della dematerializzazione della giustizia civile.

Certo, la discussione rimane aperta; può discutersi se il PCT sia un valore in sé, ovvero sia solo uno strumento, per accertare i diritti, nel rispetto dei principi di difesa, del contraddittorio, della ragionevole durata e del giusto processo; ma rimane il fatto che, ove l'argomentazione della Corte venga utilizzata anche per consentire la sanatoria del deposito cartaceo di atti da inviare obbligatoriamente in forma telematica, il senso dell'avverbio “esclusivamente” verrebbe totalmente disatteso, eludendo la portata delle norme sul processo telematico.

L'auspicio è una presa di posizione del Legislatore, similmente a quanto avvenuto per gli atti introduttivi, con conseguente sanzione di inammissibilità od irricevibilità dell'atto depositato per via cartacea in violazione della disciplina del deposito telematico obbligatorio.

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