La rimessione in termini in caso di errori fatali non lavorabili dalla cancelleria

17 Agosto 2016

L'ordinanza in commento affronta per la prima volta una delle problematiche ancora irrisolte del processo civile telematico e in particolare la mancata chiarezza degli avvisi di sistema contenuti nei messaggi PEC di controlli automatici e di lavorazione da parte della cancelleria.
Massima

Deve essere rimesso in termini l'avvocato depositante se, dalla terza PEC di esito dei controlli automatici, non sia possibile comprendere la natura dell'errore e se lo stesso deposito possa o meno essere lavorato dalla cancelleria. In particolare, la rimessione in termini deve essere concessa poiché la dicitura «sono necessarie verifiche da parte dell'ufficio ricevente» induce nell'avvocato l'aspettativa di accettazione del deposito.

Il caso

L'avvocato a seguito del deposito telematico di una comparsa di costituzione e risposta si vedeva recapitare, pressoché contestualmente le tre ricevute di accettazione, consegna ed esito dei controlli automatici. In particolare quest'ultima segnalava la presenza di un errore imprevisto nel deposito e la necessità di non meglio precisate «verifiche da parte dell'ufficio ricevente».

La cancelleria non provvedeva ad accettare il deposito entro il giorno successivo allo stesso, come previsto dalla circolare ministeriale del 23 ottobre 2015 e pertanto l'avvocato, nell'incertezza, non provvedeva ad effettuare un nuovo deposito che, in caso di rifiuto da parte della cancelleria, non sarebbe stato impedito sempre se si fosse trovato nei termini di legge per poterlo eseguire.

La questione

È noto che, ai fini dell'inserimento dell'atto nel fascicolo telematico è indispensabile che la cancelleria accetti il deposito intervenendo manualmente nei tempi previsti dalla circolare ministeriale del 23 ottobre 2015. Tale adempimento è dunque indispensabile ai fini della conoscibilità dell'atto sia dalle controparti che dal giudice, pur precisandosi che, ai sensi dell'art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012 e dell'art. 13 d.m. n. 44/2011, il deposito telematico si intende perfezionato quando viene generata la ricevuta di avvenuta consegna.

Nel caso di specie, il rifiuto da parte della cancelleria, che pur specificando la natura dell'errore qualificandolo come fatale interveniva a termini ormai spirati, non consentiva l'inserimento della comparsa nel fascicolo telematico e non lasciava all'avvocato altra strada se non quella di depositare istanza di rimessione in termini.

Si chiede, dunque, il giudicante se possa essere o meno accolta l'istanza di rimessione in termini, dovendosi valutare nel caso di specie anche la diligenza dell'avvocato nell'interpretare le segnalazioni di errori, non sempre chiare e intellegibili.

Le soluzioni giuridiche

Il Giudice meneghino ha rimesso in termini l'avvocato depositante applicando al caso di specie l'art. 153, comma 2, c.p.c. secondo cui «la parte che sia incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini». Tuttavia, l'applicazione di tale principio giunge dopo un interessante analisi sia della circolare del 23 ottobre 2015 sopracitata che avrebbe imposto alla cancelleria di lavorare il deposito nelle successive 24 ore lavorative, sia di eventuali negligenze dell'avvocato nel valutare il contenuto della terza ricevuta.

In particolare, il Giudice non ritiene esigibile che il legale, dopo aver ricevuto l'avviso di avvenuta consegna del messaggio PEC in epoca idonea a considerare il deposito tempestivamente eseguito ex art. 16-bis, comma 7, d.l. n. 179/2012, debba eseguire nuovamente il deposito senza aver ricevuto alcuna segnalazione circa l'impossibilità di lavorare lo stesso da parte della cancelleria.

Secondo il giudicante, la dicitura contenuta nella terza PEC «sono necessarie verifiche da parte dell'ufficio» giustifica l'inerzia dell'avvocato nel non effettuare un nuovo deposito e di non attivarsi presso la cancelleria per ulteriori verifiche, proprio perché lo stesso confida nel corretto intervento della stessa. Rileva, inoltre, che, solo in presenza di un chiaro e tempestivo avviso di errore fatale, la diligenza dell'avvocato può essere valutata con maggior rigore.

Osservazioni

L'ordinanza in commento oltre ad essere perfettamente condivisibile, affronta per la prima volta una delle problematiche ancora irrisolte del processo civile telematico ed in particolare la mancata chiarezza degli avvisi di sistema contenuti nei messaggi PEC di controlli automatici e di lavorazione da parte della cancelleria.

È, infatti, di particolare interesse la valutazione effettuata sulla diligenza dell'avvocato depositante, che deve essere necessariamente parametrata ad un sistema che spesso non è in grado di far comprendere all'avvocato le cause di possibili anomalie presenti negli invii telematici.

Nel caso di specie, la terza PEC non conteneva, come quasi sempre accade, alcuna specificazione circa il tipo di errore che, com'è noto, si suddividono in tre categorie (Warn, Error e Fatal). Solo in caso di errori appartenenti alle prime due categorie, la cancelleria potrà intervenire forzando l'accettazione del deposito.

È evidente, dunque, che, almeno sino a quando non saranno rese più chiare le segnalazioni di anomalie nei depositi telematici, non si potrà chiedere all'avvocato di effettuare un nuovo deposito telematico “al buio” o meglio senza sapere quali potranno essere le sorti del precedente deposito viziato.

Tuttavia, l'ordinanza rimarca ancora una volta l'attenzione sulla diligenza del difensore che, in fase di invio telematico, non potrà comunque disinteressarsi delle ricevute successive a quella di consegna poiché, laddove le stesse fossero chiare, e il legale fosse nei termini per effettuare un nuovo deposito, la diligenza dovrà valutarsi con estremo rigore.

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