Imprenditore cancellato dal registro delle imprese disattiva casella PEC prima del decorso di un anno: è ipotesi di irreperibilità a lui imputabile
06 Ottobre 2016
Massima
L'utilizzo della casella PEC dell'impresa individuale cancellatasi dal Registro delle Imprese quale mezzo per notificare l'istanza di fallimento ed il decreto di fissazione dell'udienza è pienamente valida, anche se l'impresa risulta essere cancellata per cessata attività. La deliberata disattivazione della casella PEC prima dello spirare del termine annuale, decorrente dalla cancellazione dell'impresa di cui all'art. 10 l. fall., è produttiva di una di quelle ipotesi di irreperibilità imputabili all'imprenditore stesso. Il caso
La Corte di Appello di Bari, chiamata a pronunciarsi sul reclamo proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento di una ditta individuale, l'aveva respinto ritenendo nello specifico esente da censure il procedimento notificatorio adottato dal Tribunale. La notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza erano infatti stati eseguiti con esito positivo nella casella PEC della ditta individuale, ancorché cancellata dal Registro delle Imprese. Ad abudantiam, come rilevato dalla Corte, erano state eseguite anche le ulteriori formalità previste dall'art. 15 l. fall. (tentata notifica presso la sede, deposito dell'atto presso la casa comunale nonché presso la residenza dell'imprenditore individuale). Da qui il rigetto del reclamo e la conferma della declaratoria di fallimento. La questione
La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, seppur con qualche elemento di novità, è pressoché analoga a quella recentemente affrontata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 16 giugno 2016, n. 146. L'imprenditore individuale, poi dichiarato fallito, denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge; più nello specifico, avuto riguardo alle tematiche che interessano in questa sede, dopo aver sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell'art. 15 l. fall., argomenta che la cancellazione dell'impresa equivarrebbe all'ipotesi di morte dell'imprenditore; il che renderebbe dunque privo di valore l'utilizzo della PEC per le notificazioni. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, riproponendo numerosi stralci della sentenza della Corte Costituzionale sopra citata, ribadisce nuovamente l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 l. fall. sollevata anche in questa sede. Difatti, «il diritto di difesa dell'imprenditore, nel procedimento fallimentare a suo carico, è adeguatamente garantito dalla disposizione denunciata, in ragione del predisposto duplice meccanismo di ricerca». Duplice meccanismo di ricerca contraddistinto da una prima notifica all'indirizzo PEC, di cui l'imprenditore è obbligato a dotarsi e a mantenere attivo per tutta la vita dell'impresa. Solo nel caso in cui detta notifica non sia possibile, segue la notificazione presso la sede dell'impresa, il cui indirizzo deve essere obbligatoriamente comunicato ed aggiornato al fine di assicurare un adeguato sistema di pubblicità, anche nell'interesse dell'imprenditore stesso. L'esito negativo di entrambi i predetti meccanismi di notificazione – ponendosi quale conseguenza immediata di una violazione di obblighi prescritti dalla legge a carico dell'imprenditore – porta all'estremo rimedio del deposito dell'atto presso la casa comunale. Vi sono però due elementi di novità che rendono la pronuncia in commento interessante. Il primo è la sostanziale parificazione tra l'imprenditore individuale e quello collettivo per quanto attiene il procedimento di notificazione nel procedimento fallimentare. Il secondo, di ben diverso spessore, è che l'impresa (sia essa individuale o collettiva) sarà tenuta a mantenere in vita l'indirizzo PEC – e comunque aggiornato quello della sede legale – quantomeno per il periodo di un anno a decorrere dall'avvenuta cancellazione. In base all'art. 10 l. fall. infatti l'imprenditore può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cancellazione del registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata precedentemente alla medesima o entro l'anno successivo. In pratica l'imprenditore, nel termine di un anno dalla cancellazione dell'impresa, rimanendo responsabile per la sistemazione delle posizioni debitorie pendenti, è tenuto a far sì che l'impresa sia reperibile. Conseguentemente, l'eventuale disattivazione dell'indirizzo PEC prima del decorso di un anno sarà produttiva di una di quelle ipotesi di irreperibilità definite dalla Corte Costituzionale come imputabili «alla sua stessa negligenza e a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico». Osservazioni
La sentenza in commento, inserendosi sulla linea tracciata nel mese di giugno dalla Corte Costituzionale (dalla quale riprende numerosi passaggi), conferma ancora una volta l'onere in capo all'imprenditore di mantenere aggiornate le informazioni relative all'impresa. L'omissione dei doveri di cui sopra, normativamente previsti e comunque improntati ad obblighi di correttezza, non potranno quindi che essere imputati all'imprenditore con tutte le conseguenze che ne deriveranno. Tra questi doveri di correttezza spicca senza ombra di dubbio quello di rendersi reperibile, quantomeno nel termine di un anno dalla cancellazione dell'impresa, pena il non potersi lamentare della mancata conoscenza di atti o eventi riguardanti l'impresa stessa. Sarebbe quindi auspicabile, come già rilevato, che i predetti doveri fossero accompagnati da un adeguato sistema di controlli e sanzioni e, soprattutto, che i principi applicati alle procedure fallimentari fossero estesi anche alle notificazioni in ambito prettamente civilistico. |