La natura del reclamo cautelare e le conseguenze in tema di PCT

Michele Nardelli
06 Dicembre 2016

La questione controversa riguarda la natura del procedimento di reclamo. In particolare si è posto il problema se qualificare il reclamo quale atto introduttivo di un procedimento autonomo, ovvero quale atto facente parte dell'unico procedimento cautelare.
Massima

Il reclamo avverso i provvedimenti cautelari introduce un procedimento autonomo rispetto alla trattazione di prime cure, procedimento caratterizzato dalla collegialità dell'organo giudicante in luogo della monocraticità del primo giudice, dalla devoluzione al collegio di una disamina necessariamente successiva e distinta rispetto a quella che viene definita con il provvedimento reclamato, dalla iscrizione ex novo al ruolo generale, dal suo carattere meramente eventuale (come peraltro per il giudizio di merito). Va pertanto ammessa la introduzione con deposito cartaceo del reclamo, tenuto anche conto che l'ordinanza del giudice di prime cure può chiudere in via definitiva il procedimento introdotto con il ricorso cautelare, tanto che è prevista in tale sede la regolamentazione delle spese, ciò che contrasta con una considerazione di endoprocedimentalità in senso proprio del reclamo.

Il caso

Proposto reclamo cautelare, con atto depositato con modalità cartacea piuttosto che telematica, viene eccepita l'inammissibilità del gravame, proprio in ragione della forma cartacea adottata per la costituzione del reclamante.

Il Tribunale di Roma ha però ritenuto infondata l'eccezione per le ragioni esplicitate nella motivazione.

La questione

La questione controversa, come emerge nel provvedimento in commento, riguarda la natura del procedimento di reclamo.

In particolare si è posto il problema di qualificare il reclamo quale atto introduttivo di un procedimento autonomo, ovvero quale atto facente parte dell'unico procedimento cautelare, questo articolato su una fase di prime cure e poi su una fase di reclamo. Tale questione è stata affrontata in vista della valutazione relativa alla ammissibilità di un reclamo depositato con modalità cartacea invece che telematica.

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza ha assunto posizioni non univoche sul punto.

Secondo Trib. Locri, 20 ottobre 2016, «il ricorso per reclamo non introduce un nuovo e diverso giudizio, atteso che lo strumento del reclamo di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. costituisce una ulteriore ed eventuale fase, dinanzi al collegio, facente parte integrante dell'unitario procedimento cautelare già instaurato dinanzi al primo giudice, che in tal modo, rispetto alla prima fase, ne costituisce mera prosecuzione a seguito dell'impugnazione dinanzi ad altro giudice rispetto a quello, monocratico, che ha emesso l'iniziale ordinanza oggetto di reclamo. Trattasi di ulteriore fase procedimentale in prosecuzione, finalizzata al riesame della domanda cautelare, e che è comunque destinata a concludersi con altro provvedimento (di conferma, revoca o riforma) che, in ogni caso, sostituisce quello emesso dal primo giudice in ordine alla valutazione sulla fondatezza delle pretesa cautelare azionata, nonché produce effetti sino all'esito del giudizio di cognizione, salva la revoca o la modifica per motivi sopravvenuti».

Secondo Trib. Palermo, 10 maggio 2016, «La questione della obbligatorietà della forma (telematica anziché cartacea) non può essere considerata al di fuori del sistema delle invalidità (artt. 156 ss. c.p.c.) il quale esclude che possa procedersi a declaratoria di inammissibilità dell'atto processuale (recte, per la materia in esame: di invalidità), ove l'atto abbia comunque raggiunto lo scopo cui è destinato: nella specie, per essere stato assicurato il radicamento regolare, sostanziale e pieno del contraddittorio. Deve piuttosto rilevarsi che secondo la ratio della novella introdotta con l'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, ove l'obbligo sancito dalla norma sia contravvenuto la violazione è suscettibile di rimedi processuali e ordinamentali di natura diversa, quale può essere la concessione alla controparte di un termine per non essere stata posta nelle condizioni di esaminare tempestivamente, in via telematicamente, l'atto processuale di causa».

Secondo Trib. Ancona, 28 maggio 2015, pur essendo il reclamo da qualificare atto endoprocessuale, non di meno «in assenza di una disposizione che sanzioni con l'inammissibilità il deposito degli atti introduttivi in forma diversa da quella del deposito telematico- se il reclamo è depositato con modalità cartacea (ma nel rispetto del termine indicato e secondo le modalità previste per tale tipo di deposito) e se è avvenuta la regolare costituzione del contraddittorio, la violazione della suddetta disposizione -in applicazione dei principi della libertà delle forme (art. 121 c.p.c.) e del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.) - non possa essere sanzionata (tanto meno con la nullità che ai sensi dell'art. 156, comma 1 c.p.c. deve essere espressamente comminata dalla legge)».

Secondo Trib. Vasto, 15 aprile 2016, «l'opzione tra la natura cartacea e quella informatica del documento non sottende un problema di forma, ma una ben più radicale questione che afferisce all'essenza stessa del documento, di talché appare inconferente il richiamo sia al principio processuale di libertà delle forme, sia a quello di tassatività delle nullità (per cui non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge), sia a quello del cd. raggiungimento dello scopo (per cui la nullità per inosservanza di specifici requisiti di forma non può mai essere pronunciata se l'atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato), per il dirimente rilievo che tutti i richiamati principi attengono, per l'appunto, alla forma degli atti processuali e non a profili afferenti alla loro stessa natura. Ne consegue che -rispetto agli atti processuali che, per espresso obbligo di legge, devono essere depositati telematicamente (e, quindi, redatti in modo informatico)- l'atto creato in modalità cartacea non è semplicemente nullo, ma è da considerarsi giuridicamente inesistente, in quanto, essendo stato redatto in modo assolutamente non previsto dalla normativa ed essendo totalmente privo degli estremi e dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come atto del tipo normativamente considerato, è non soltanto inidoneo a produrre gli effetti processuali propri degli atti riconducibili al corrispondente tipo, ma è addirittura non passibile di considerazione sotto il profilo giuridico».

Secondo Trib. L'Aquila, 14 luglio 2016, il «procedimento di reclamo può essere definito come una nuova decisione sulla domanda cautelare o sommaria effettuata da un diverso giudice non sovraordinato a carattere devolutivo-sostitutivo e che esso, pertanto costituisce la prosecuzione dell'originario procedimento e non una fase successiva e distinta dello stesso. Ne discende che, in ossequio, alle previsioni legislative indicate, il reclamo in quanto atto della parte già costituita dovrà essere presentato esclusivamente attraverso modalità telematica a pena di inammissibilità rilevabile anche d'ufficio (Trib. Torino, 6 marzo 2015; Trib. Foggia 15 maggio 2015)».

Secondo Trib. Asti, 23 marzo 2015, «Il reclamo cautelare principale va considerato atto introduttivo del relativo giudizio e può quindi essere depositato, a scelta del ricorrente, in forma telematica o in forma cartacea. Quand'anche qualificato come proveniente da parte costituita, il relativo deposito cartaceo è comunque ammissibile in virtù dei principi di libertà delle forme (art. 121 c.p.c.) e del raggiungimento dello scopo (art. 156 c.p.c.)».

Osservazioni

L'ordinanza del Tribunale di Roma rappresenta l'ennesimo capitolo di un dibattito che si protrae ormai da tempo, in ordine alle modalità di deposito degli atti processuali, a seguito della introduzione della normativa in tema di processo civile telematico.

La questione è stata in questo caso affrontata in relazione all'atto introduttivo del reclamo cautelare.

La necessità di una attività interpretativa deriva dal dato normativo, che presenta due profili di criticità. La norma, art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012, utilizza l'avverbio “esclusivamente” per disciplinare le modalità di deposito degli atti, a cura delle parti già precedentemente costituite.

I profili di criticità sono in particolare due. Da un punto di vista generale, si tratta di comprendere se vi siano conseguenze allorquando un deposito venga effettuato con modalità cartacea, a cura di una parte già costituita. Da un punto di vista particolare, si tratta di comprendere se l'atto introduttivo del reclamo sia da intendere come atto endoprocessuale, e quindi in tal caso soggetto alla regola dettata dall'art. 16-bis d.l. n. 179/2012.

La strada scelta dal Tribunale di Roma è stata nel senso di valorizzare questo solo secondo aspetto, pervenendo alla conclusione, condivisibile, per la quale il reclamo non rappresenti una seconda fase dell'unico procedimento cautelare, sicché già in radice non è soggetto alla norma richiamata.

Alla conclusione qui raggiunta erano già pervenute altre decisioni di merito (peraltro a loro volta contrastate). Il merito del Tribunale di Roma è stato però quello di individuare specifici profili processuali, utili ad escludere l'unicità procedimentale.

In particolare la collegialità dell'organo giudicante (del reclamo), in luogo della monocraticità del primo giudice; la devoluzione al collegio di una disamina necessariamente successiva e distinta rispetto a quella che viene definita con il provvedimento reclamato; la iscrizione ex novo al ruolo generale; il suo carattere meramente eventuale (come peraltro per il giudizio di merito); la circostanza per la quale l'ordinanza del giudice di prime cure può chiudere in via definitiva il procedimento introdotto con il ricorso cautelare, tanto che è prevista in tale sede la regolamentazione delle spese, ciò che contrasta con una considerazione di endoprocedimentalità in senso proprio del reclamo.

In senso contrario si è sostenuto (Trib. Foggia, 15 maggio 2015) che il reclamo non rappresenti un giudizio autonomo, ma introduca una fase eventuale relativa al medesimo giudizio avviato con il ricorso cautelare, tanto che la decisione maturata al suo esito sarebbe passibile di ulteriori modifiche in caso di sopravvenienze nel corso del giudizio di merito.

Si è anche fatto riferimento (Trib. Vasto, 15 aprile 2016) ai casi di procedimenti di natura bifasica, o comunque caratterizzati dalla presenza di eventuali “appendici” o subprocedimenti, finalizzati a consentire il riesame del provvedimento concesso dal giudice della prima fase.

Ma non può non ravvisarsi una chiara e netta difformità di natura tra questi casi e il reclamo, dal momento che nel caso del reclamo è espressamente previsto dalla normativa processuale (art. 669-terdecies, comma 2, c.p.c.) che del collegio che deve decidere non possa far parte il giudice che ha emanato il provvedimento reclamato.

Si tratta di un profilo di rilievo, perché in tal modo si stabilisce una netta divergenza tra il reclamo cautelare e i procedimenti bifasici unitari (e la Corte Costituzionale, 7 novembre 1997, n. 326 aveva già spiegato che «è l'esigenza stessa di garanzia che sta alla base del concetto di revisio prioris instantiae, a postulare l'alterità del giudice dell'impugnazione, il quale si trova -per via del carattere devolutivo del mezzo di gravame- a dover ripercorrere l'itinerario logico che è stato già seguito onde pervenire al provvedimento impugnato», laddove «ben diversa, infatti, rispetto a quella che si determina relativamente alla pluralità di gradi del giudizio, si presenta la situazione quando l'iter processuale semplicemente si articoli attraverso più fasi sequenziali (necessarie od eventuali poco importa), nelle quali l'interesse posto a base della domanda -e che regge il giudizio- impone l'appagamento di esigenze, a quest'ultimo connesse, di carattere conservativo, anticipatorio, istruttorio, ecc.»).

Vi è nel caso in esame, in altre parole, una chiara autonomia tra le diverse fasi, e questo impedisce di valorizzare la precedente costituzione nella fase cautelare, per affermare l'immanenza della costituzione anche nella fase di reclamo.

A tale argomento, come detto, il Tribunale di Roma ha aggiunto quelli ulteriori già richiamati, che a loro volta appaiono convincenti in vista della esclusione della unitarietà delle due fasi.

Ed allora, deve concludersi affermando che effettivamente la fase di reclamo si ponga, rispetto alla fase cautelare di prime cure, in termini di autonomia, e si caratterizzi per il suo carattere impugnatorio. E questo certamente è sufficiente per ritenere la soluzione di continuità tra le due fasi.

Come è ovvio, questo comporta anche che la proposizione del reclamo, e quindi la relativa costituzione della parte che lo abbia instaurato, ben possa avvenire con modalità cartacea, senza che rilevi l'avverbio “esclusivamente”, di cui all'art. 16-bis d.l. n. 179/2012.

Mette conto evidenziare, da un punto di vista generale, che sia pure non nella specifica situazione, la Cassazione (sez. lav., 4 novembre 2016, n. 22479) ha recentemente stabilito come «L'utilizzo di una modalità di deposito conosciuta ed ammessa dall'ordinamento, ancorché diversa da quella prevista per lo specifico atto (nella specie dell'invio telematico in luogo del deposito cartaceo), in assenza di una sanzione espressa di nullità, integra una mera irregolarità, e non impedisce il raggiungimento dello scopo del deposito, costituito dall'ingresso dell'atto nella sfera di conoscibilità del destinatario, e conseguente alla generazione della ricevuta di avvenuta consegna (seconda PEC) da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia».

Si tratta di un principio di indubbio rilievo, poiché permette di valorizzare il raggiungimento dello scopo del deposito, che nella specie è quello di permettere l'instaurazione del rapporto processuale tra la parte e l'Ufficio Giudiziario, con la conseguenza che non potrebbe valorizzarsi, per ritenere l'inammissibilità del deposito cartaceo in luogo di quello telematico, il dato letterale della norma richiamata, in assenza di una espressa sanzione nel senso della inammissibilità di una tale forma di deposito.

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