Legittimo il deposito della comunicazione del provvedimento in Cancelleria se la casella PEC del difensore non accetta il messaggio
17 Gennaio 2017
Massima
Il fatto che il gestore di posta certificata attesti che «la casella dell'utente destinatario non è in grado di accettare il messaggio» sottende un evento che dipende dallo stato della casella dell'utente e, quindi, oggettivamente riferibile alla sfera di controllo dello stesso. Ciò legittima l'esecuzione delle comunicazioni e delle notificazioni mediante deposito in Cancelleria. Il caso
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto avverso un'ordinanza ex art. 348-ter c.p.c. emessa dalla Corte d'appello di Caltanissetta con la quale era stato dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Gela per tardività. A detta del ricorrente, la Corte d'appello, preso atto della mancata consegna della PEC (con la quale era stata comunicata l'ordinanza che aveva dichiarato inammissibile l'appello), avrebbe dovuto procedere, in applicazione del comma 8 dell'art. 16 d.l. n. 179/2012, alla notifica della stessa con le modalità ordinarie e non come invece è accaduto presso la cancelleria. Secondo la Corte, invece, che ha deciso in Camera di Consiglio ex art. 380-bis c.p.c., la notifica dell'ordinanza sarebbe stata correttamente eseguita presso la cancelleria atteso che la PEC del difensore dell'appellante non era in grado di ricevere messaggi per causa imputabile al difensore stesso. La questione
La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento riguarda tanto la durata del termine per impugnare l'ordinanza d'inammissibilità, emessa ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c. nelle c.d. udienze filtro, quanto l'individuazione del dies a quo di decorrenza dello stesso. A detta del ricorrente non vi sarebbe stata alcuna comunicazione dell'ordinanza (per la verità la notifica sarebbe stata effettuata via PEC solamente al difensore nel giudizio di primo grado), da qui l'applicabilità del termine ordinario di cui all'art. 327 c.p.c. e la conseguente tempestività del ricorso. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione affronta partitamente sia la questione relativa al termine per proporre il ricorso per Cassazione avverso detto tipo di ordinanze, sia quello relativo alle modalità di comunicazione/notificazione dell'ordinanza nel caso in cui la casella del destinatario non sia in grado di ricevere il messaggio. Relativamente alla prima questione la Corte, nell'incipit della propria decisione, statuisce che nel caso in cui sia stata effettuata la comunicazione dell'ordinanza ex art. 348-ter c.p.c., il ricorrente dovrà rispettare il termine di 60 giorni (art. 325 c.p.c.) decorrente dalla stessa; diversamente, nel caso in cui la controparte abbia proceduto alla notificazione, il termine decorrerà da quest'ultima. Solo nel caso in cui risultino omesse sia la comunicazione da parte della cancelleria che la notificazione, opererà il termine di cui all'art. 327 c.p.c.. La Corte di Cassazione, dopo aver riaffermato la necessità di indicare nel ricorso se l'ordinanza è stata o meno comunicata e/o notificata (principio da rivedere alla luce di quanto statuito in Cass. civ., S. U., 13 dicembre 2016, n. 25516) passa all'esame della questione che più ci interessa in questa sede, ovverosia la validità della comunicazione del contenuto dell'ordinanza, ai fini della decorrenza del c.d. termine breve, mediante deposito in cancelleria nel caso in cui la casella del destinatario non sia in grado di ricevere il messaggio. Ferma la circostanza che l'ordinanza, come riferito nella relazione della Corte, era stata comunicata a mezzo PEC al difensore del primo grado, risulta documentalmente provato che analoga comunicazione era stata trasmessa, sempre a mezzo PEC, al difensore incaricato del gravame; il secondo messaggio, tuttavia, non era stato consegnato in quanto «la casella dell'utente destinatario non è in grado di accettare il messaggio». Contrariamente all'assunto del ricorrente, la Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, non fosse possibile applicare la previsione dei cui al comma 8 dell'art. 16 d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni nella l. 221/2012; difatti, presupposto per l'applicazione della salvaguardia di cui al predetto comma è che l'impossibilità alla comunicazione/notificazione con modalità telematiche non sia dipesa a causa imputabile al destinatario. Nel caso di specie, sempre secondo quanto statuito dalla Corte di Cassazione in maniera più che condivisibile, l'attestazione rilasciata dal gestore non può lasciare dubbi sul fatto che la mancata consegna è dipesa dallo “stato” della casella dell'utente – si pensi a titolo esemplificativo ad una casella piena – che lo stesso avrebbe dovuto scongiurare. Da qui, a ricaduta, il fatto che la comunicazione dell'ordinanza risulta essersi perfezionata mediante deposito in cancelleria e, conseguentemente, che l'impugnazione è stata presentata tardivamente. Interessante l'ulteriore rilievo effettuato dalla Corte con la quale specifica che nel caso in cui avesse trovato fondamento l'assunto del ricorrente – e quindi fosse stato ritenuto applicabile il comma 8 dell'art. 16 d.l. n.179/2012 – questi avrebbe comunque dovuto provare la causa allo stesso non imputabile che avrebbe impedito la comunicazione/notifica telematica. Osservazioni
La sentenza in commento, conferma ulteriormente l'orientamento costante indicato dal Giudice di legittimità, con il quale viene ribadita l'importanza di mantenere funzionante e di verificare periodicamente la propria casella di posta certificata. La Suprema Corte, già con la sentenza, sez. lav., 2 luglio 2014, n. 15070, aveva statuito che «l'avvocato, che abbia effettuato la comunicazione del proprio indirizzo di PEC al Ministero della Giustizia per il tramite del Consiglio dell'Ordine di appartenenza, diventa responsabile della gestione della propria utenza, nel senso che ha l'onere di procedere alla periodica verifica delle comunicazioni regolarmente inviategli dalla cancelleria a tale indirizzo, indicato negli atti processuali, non potendo far valere la circostanza della mancata apertura della posta per ottenere la concessione di nuovi termini per compiere attività processuali». Analogamente, la Corte di Cassazione penale, sez. V, 8 gennaio 2016, n. 6913, ha ulteriormente ribadito che «le notificazioni e comunicazioni a soggetti per cui la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo PEC, i quali non abbiano provveduto a munirsi o a comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria e le stesse modalità si adottano anche nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario». Tutto ciò per ribadire che, se da un lato l'introduzione della posta certificata ha agevolato il lavoro di noi professionisti, dall'altro ci ha costretto ad adoperare un grado maggiore di diligenza nell'utilizzo e nella manutenzione di detto strumento. Non potremo quindi fare altro che adoperarlo, considerandolo come un secondo studio dove siamo e saremo sempre reperibili. |