Inammissibili nel processo penale per le parti private le notifiche a mezzo PEC
20 Maggio 2016
Massima
Nel processo penale, alle parti private non è consentito effettuare comunicazioni e notificazioni mediante posta elettronica certificata, atteso che tale mezzo è previsto, dal 15 dicembre 2014, solo per le notificazioni da parte delle cancellerie. La tassatività delle forme in materia di impugnazioni - anche cautelari - impedisce sia l'estensione alla PEC dell'interpretazione giurisprudenziale secondo cui è ammissibile la trasmissione di atti difensivi a mezzo telefax, interpretazione ormai pacifica con riferimento al deposito di memorie o richieste ex art. 121 c.p.p., sia l'applicazione del disposto di cui all'art. 48, d.lgs. 5 marzo 2005, n. 82 che equipara la trasmissione di un documento informatico con posta elettronica certificata alla notificazione a mezzo posta, ma solo con riferimento alla conoscenza legale dell'atto da parte del destinatario e facendo comunque salva la specialità delle normative di settore. Il caso
Il difensore di un imputato presentava, a mezzo di posta elettronica certificata, richiesta di riesame, ai sensi dell'art. 309 c.p.p., avverso un'ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Grosseto per i reati di rapina e violazione della legge sulle armi. Il Tribunale di Firenze, sezione del riesame, dichiarava inammissibile l'istanza perché irritualmente proposta a mezzo PEC. Il difensore proponeva ricorso per Cassazione avverso la predetta ordinanza del Tribunale per violazione di legge adducendo due ordini di motivazioni: da un lato, sotto un profilo strettamente normativo, il ricorrente rilevava come la l. 16 gennaio 2003, n. 3 ed il d.lgs. 5 marzo 2005, n. 82 legittimino nel nostro ordinamento la trasmissione di atti e documenti alle pubbliche amministrazioni mediante posta elettronica certificata, dall'altro, a livello procedurale, riteneva sussistente nel sistema processuale penale il principio di conservazione degli atti che abbiano raggiunto comunque il loro scopo, principio in virtù del quale esiste un obbligo generale in capo al Giudice di provvedere su tutte le istanze in qualsiasi modo pervenute all'ufficio, così come riconosciuto ormai pacificamente dalla giurisprudenza di legittimità in tema di trasmissione di istanze a mezzo telefax. La questione
La questione in esame è la seguente: le parti private, nell'ambito del processo penale, possono comunicare e notificare alle cancellerie dell'Autorità giudiziaria atti ed istanze difensive con il mezzo della posta elettronica certificata? Le soluzioni giuridiche
La sentenza in commento si pone in un solco, recente ma ormai consolidato, di pronunce di legittimità che respingono, in radice, qualsivoglia tentativo di interpretare in maniera elastica ed evolutiva le disposizioni processual-penalistiche in tema di notificazioni, rectius depositi, di atti da parte delle parti processuali private. Negli stessi termini dell'arresto in esame si possono, infatti, collocare la sentenza della Corte di Cass., sez. I pen., 28 gennaio 2015, n. 18235 che ha dichiarato inammissibile un'istanza difensiva di rimessione in termini ex art. 175 c.p.p. inviata a mezzo PEC, la sentenza della Suprema Corte, sez. III pen., 11 febbraio 2014, n.7058, che ha considerato legittimo il rifiuto da parte di un Giudice di merito di valutare un'istanza di rinvio d'udienza trasmessa dal difensore a mezzo di posta elettronica (invero, ordinaria e non certificata, ma dalla motivazione emerge chiaramente che tale circostanza è stata del tutto irrilevante ai fini della decisione de qua), nonché la sentenza della Cassazione, sez. II pen., 29 settembre 2011, n. 37037, con la quale è stata confermata la declaratoria di inammissibilità per tardività di una richiesta di riesame trasmessa dalla difesa a mezzo posta elettronica certificata all'indirizzo di posta elettronica della cancelleria centrale del Tribunale anziché a quello della sezione del riesame competente a decidere. Va inoltre sottolineato che i Giudici di legittimità hanno riservato lo stesso trattamento anche alla pubblica accusa: la Corte (Cass., sez. V pen., sent., 5 marzo 2015, n. 24332) ha infatti dichiarato inammissibile la richiesta di riesame presentata a mezzo PEC dal Pubblico Ministero osservando come, in assenza di un intervento legislativo ad hoc, le modalità di presentazione e spedizione di un'impugnazione cautelare, previste dall'art. 583 c.p.p., espressamente richiamato dagli artt. 309, comma 4, e 310, comma 2, c.p.p., debbano ritenersi tassative e senza equipollenti. Osservazioni
La sentenza in commento non convince per il suo eccesso di formalismo. La Corte, infatti, non volendo aprire all'innovazione, si trincera dietro un muro di argomenti che si basano su di una rigida interpretazione letterale delle norme codicistiche. Abbiamo già avuto modo, in passato, di vedere lo stesso atteggiamento di chiusura in merito alla possibilità di presentare istanze difensive a mezzo fax, sino a quando le Sezioni Unite, con la pronuncia Cass. 27 marzo 2014 n. 40187, hanno sdoganato un'interpretazione sistematica più rispondente all'evoluzione dei mezzi di comunicazione, giustificata, peraltro, anche da esigenze di semplificazione e celerità connesse al principio della ragionevole durata del processo. Nel caso di specie, se è vero che l'art. 583 c.p.p. è norma tassativa, è altresì vero che essa prevede espressamente che gli atti di impugnazione possano essere proposti con telegramma o con raccomandata inviata alla cancelleria competente e, a sua volta, l'art. 48, d.lgs. n. 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale) equipara la posta elettronica certificata alla notificazione a mezzo posta (raccomandata). La tesi della Corte secondo cui l'art. 48 CAD non potrebbe trovare applicazione nel processo penale perché fa salve le norme speciali di settore è del tutto anacronistica. La versione originaria della norma de qua che equiparava la PEC alla raccomandata solo «nei casi consentiti dalla legge», è infatti stata modificata dall'art. 33, d.lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 e prevede oggi che la trasmissione di un documento per via telematica equivale alla notificazione per mezzo della posta «salvo che la legge disponga diversamente». L'impostazione è stata completamente ribaltata e l'eccezione è diventata la regola. La Cassazione sembra non aver rilevato questo fondamentale intervento legislativo di portata generale che, a parere di chi scrive, consente di ritenere legittimo l'utilizzo della PEC in tutte le ipotesi in cui il codice di procedura penale autorizza espressamente l'invio di atti tramite raccomandata, come nel caso delle impugnazioni (art. 583 c.p.p.), anche cautelari (artt. 309 e 310 c.p.p.), della nomina (art. 96 c.p.p.) e delle notificazioni richieste dalle parti private (art.152 c.p.p.). Né pare giuridicamente fondato l'assunto secondo cui l'equiparazione si riferirebbe solamente al meccanismo di conoscenza legale e non alla certezza dell'identificazione dell'autore. Siffatto rilievo è superato non solo dal filone giurisprudenziale formatosi in materia di autenticità della provenienza e della ricezione delle trasmissioni a mezzo fax, consolidato dalla sentenza delle Sezioni Unite 28 aprile 2011, n. 28451, ma anche dagli attuali sistemi tecnologici di firma digitale che, se apposta su di un documento informatico (ad esempio una nomina o un atto di impugnazione) trasmesso in allegato ad un messaggio di posta elettronica certificata, garantiscono in maniera assolutamente certa l'identificazione dell'autore del documento stesso. Da ultimo, pare ormai inconferente anche l'obiezione di natura squisitamente pratica, spesso sollevata in passato, relativa alla mancanza di un valido e specifico indirizzo PEC in capo ai singoli uffici giudiziari potenziali destinatari di notifiche: invero, con l'entrata in vigore a livello nazionale delle notifiche penali a mezzo posta elettronica certificata, a far data dal 15 dicembre 2015, ogni ufficio è ormai dotato di autonomo ed esclusivo account di posta elettronica. In conclusione, pare ragionevole affermare che la posta elettronica certificata possa oggi, pur in assenza di un intervento legislativo ad hoc (che sarebbe comunque auspicabile), essere considerata un valido ed idoneo strumento per la presentazione da parte delle parti processuali (pubblica e private) di tutti gli atti per cui il codice di procedura penale prevede la possibilità di spedizione a mezzo raccomandata, nonché per tutte le istanze più informali per cui la giurisprudenza ha pacificamente ritenuto ammissibile la trasmissione a mezzo fax, fermo restando il dovere del mittente di inviare l'atto all'esatto indirizzo PEC della cancelleria competente a riceverlo. Al più, la giurisprudenza, in sede interpretativa, potrebbe richiedere al mittente l'onere di apporre sull'atto trasmesso la sua firma digitale al fine di garantire in modo assolutamente certo la sua autenticità.
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