Brevi note sulla conservazione degli effetti della notifica PEC “omessa”

Francesco Pedroni
Yari Fera
22 Settembre 2017

Come si stabilisce se un ricorso per cassazione è inammissibile per tardività ex art. 327 c.p.c.?
Massima

La notifica PEC da considerarsi omessa per causa non imputabile al notificante conserva i propri effetti se quest'ultimo riprende spontaneamente e completa il procedimento notificatorio entro il tempo pari alla metà dei termini di cui all'art. 325 c.p.c..

Il caso

Un ricorrente per cassazione effettua una prima notifica a mezzo PEC del proprio ricorso entro il termine di impugnazione. Tuttavia, il file allegato al messaggio PEC, contenente il ricorso per cassazione, non risulta leggibile a causa di un malfunzionamento del server del ricorrente. Preso atto della circostanza, quest'ultimo effettua una seconda notifica a mezzo PEC, questa volta in modo regolare e completo, ancorché il quinto giorno successivo alla prima notifica quando il termine di impugnazione risulta ormai spirato.

La questione

Si tratta di stabilire se un ricorso per cassazione sia inammissibile per tardività ai sensi dell'art. 327 c.p.c., dovendosi a tale scopo preliminarmente indagare sul difetto relativo alla prima notifica via PEC del ricorso effettuata entro il termine di impugnazione. Svolto tale controllo, va poi analizzata la seconda notifica (sempre) via PEC, di per sé non tempestiva, per verificare se alla stessa può ricollegarsi un effetto salvifico della prima in relazione al rispetto del termine di impugnazione.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione ritiene che la prima notifica, rispetto alla quale il file allegato al messaggio PEC contenente il ricorso per cassazione risulta illeggibile, sia «meramente tentata ma non compiuta, cioè in definitiva omessa», ancorché per causa «non imputabile» alla parte notificante. Posto che la seconda notifica, valida ed efficace, è stata effettuata spontaneamente ed entro la metà del termine di cui all'art. 325 c.p.c. decorrente dalla notizia dell'esito negativo della notifica, la parte notificante ha «conserva[to] gli effetti collegati alla notifica originaria», tra cui l'effetto relativo al rispetto del termine per proporre ricorso per cassazione.

Osservazioni

Il provvedimento in commento richiama numerosi principi fissati dalla Cassazione a Sezioni Unite in relazione ad ipotesi patologiche di notifiche in ambito processuale.

È di particolare interesse esaminare la questione relativa alla qualificazione, operata nella decisione in commento, in relazione alla prima notificazione effettuata dal ricorrente, posto che da tale qualificazione discendono effetti diversi e contrapposti, che, con il provvedimento in esame, la Cassazione non sembra aver applicato correttamente.

Come noto, infatti, solo la notifica nulla può essere oggetto di sanatoria ex tunc attraverso la costituzione in giudizio della parte destinataria della notificazione o, in mancanza di tale costituzione, attraverso la rinnovazione della notificazione che può essere effettuata spontaneamente dalla parte notificante ovvero, in mancanza e al ricorrere dei relativi presupposti, essere disposta dal giudice ai sensi dell'art. 291 c.p.c..

Con specifico riferimento alle ipotesi di notifica che non si concluda positivamente per fatto non imputabile alla parte notificante, si è formata giurisprudenza consolidata che consente a tale parte di rinnovare spontaneamente la notificazione con effetto salvifico dalla data della prima notificazione (cfr. Cass., S.U., n. 17352/2009), purché la rinnovazione intervenga entro la metà del tempo indicato dall'art. 325 c.p.c. per ciascun tipo di atto di impugnazione, una volta avuta notizia dell'esito negativo della prima richiesta (Cass., S.U., n. 14594/2016).

La notifica inesistente, invece, non può essere sanata in alcun modo per la semplice ragione che l'atto non esiste, è un “non atto” (Cass., S.U., n. 14916/2016).

Proprio con la decisione n. 14916/2016, le Sezioni Unite della Cassazione, nel tentativo di individuare un criterio distintivo tra le categorie della nullità e dell'inesistenza della notificazione (del ricorso per cassazione), hanno ricondotto le ipotesi di inesistenza ai casi di:

  • totale mancanza materiale dell'atto;
  • mancanza degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, per tali intendendosi: «a) nell'attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall'ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, sì da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa».

Nel richiamarsi ai criteri individuati da Cass., S.U., n. 14916/2016 – ed utilizzandone lo stesso wording – la pronuncia ora in esame ha ritenuto che la notifica nella quale l'atto allegato al messaggio PEC risulti illeggibile debba considerarsi «meramente tentata ma non compiuta, cioè in definitiva omessa». Parrebbe quindi di capire che la notifica sia stata considerata inesistente. Ma se così fosse, tale notifica non avrebbe potuto essere sanata attraverso la rinnovazione di un'ulteriore valida – ma tardiva – notifica, dal momento che, come sopra visto, la notifica inesistente è insuscettibile di sanatoria.

Erroneo appare quindi l'implicito richiamo alla categoria della inesistenza.

Ci si domanda se l'argomentazione per far salvi gli effetti della prima notifica avrebbe potuto far leva sul (solo) mancato perfezionamento della notificazione per fatto non imputabile alla parte notificante con conseguente applicazione del relativo orientamento giurisprudenziale. La risposta è negativa nella misura in cui nel caso di specie la parte notificante aveva completato, ancorché in modo viziato, il procedimento di notificazione, tanto che era stata altresì generata la ricevuta di avvenuta consegna.

La soluzione più corretta è forse quella di qualificare la notificazione come nulla, non essendo l'atto notificato oggettivamente conoscibile da parte del destinatario (cfr. Cass. n. 20625/2017 che richiama Cass., S.U., n. 7665/2016 in relazione alle notifiche via PEC irrituali), e coerentemente sanare con effetto ex tunc la notifica viziata grazie alla rinnovazione della notificazione.

Ciò, peraltro, in linea al principio fissato nella soprarichiamata pronuncia n. 14916/2016 a Sezioni Unite che, con il condivisibile obiettivo di limitare le ipotesi di inesistenza «ad ipotesi talmente radicali che il legislatore ha, appunto, ritenuto di non prendere nemmeno in considerazione», individua la «omessa» notifica nei soli «casi in cui l'atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente»: ipotesi queste nelle quali non sembra ricomprendersi il caso in cui l'allegato al messaggio PEC sia illeggibile.

Sotto altro profilo, il provvedimento in commento entra a far parte di una serie sempre più nutrita di precedenti che si trovano ad affrontare la questione legata alla qualificazione di una notifica a mezzo PEC non corrispondente al modello legale in cui l'alternativa tra nullità e inesistenza dovrebbe implicare la possibilità di sanare o meno l'eventuale vizio (v. ad es. Cass. n. 20072/2015 che considera inesistente la notifica PEC a fronte della mancata produzione della ricevuta di avvenuta consegna della notifica a mezzo PEC del ricorso per cassazione; Cass. n. 14338/2017 secondo la quale il difetto legato alla mancata apposizione della firma digitale sull'atto oggetto di notifica comporta inesistenza della notifica; in senso però opposto, cfr. Cass. n. 6518/2017).

Le soluzioni giurisprudenziali più radicali che si spingono a qualificare inesistenti notifiche non conformi allo schema normativo non appaiono condivisibili per due ragioni di principio. Da un lato, la categoria dell'inesistenza ha – e deve avere – portata assolutamente residuale limitata ai casi nei quali la notificazione risulta priva dei suoi presupposti essenziali, come affermato dalla stessa giurisprudenza a Sezioni Unite della Cassazione (cfr. Cass., S.U., 14916/2016). Dall'altro lato, la principale fonte normativa che disciplina la notificazione in proprio dell'avvocato individua nella (sola) nullità la sanzione da applicare in caso di violazione del proprio dettato normativo (art. 11 l. n. 53/1994), tenendo comunque presente che alcune pronunce escludono l'applicazione automatica di tale nullità (cfr. App. Milano n. 3083/2016).

In tale prospettiva, risolutore potrebbe essere un nuovo intervento delle Sezioni Unite chiamate a chiarire gli effetti legati alla violazione delle disposizioni normative relative alla notifica effettuata in proprio dall'avvocato, ed in particolare a mezzo PEC. Un'occasione in tale senso sembra offerta dalla recente ordinanza di rimessione al Primo Presidente della Cassazione operata dalla sezione VI con l'ordinanza interlocutoria, 31 agosto 2017, n. 20672 con la quale si chiede di chiarire quali siano gli effetti legati alla violazione delle disposizioni tecniche sulla forma degli atti informatici da notificare.