La nullità degli atti processuali non sottoscritti con firma digitale

24 Febbraio 2017

Il TAR Calabria con la pronuncia in esame si inserisce nell'acceso dibattito giurisprudenziale avente ad oggetto la nullità dell'atto processuale non sottoscritto con firma digitale.
Massima

Sussistono le condizioni che consentono la rimessione in termini per errore scusabile, ai sensi dell'art. 37 c.p.a., in considerazione delle comprensibili e oggettive incertezze riscontrabili soprattutto in casi in cui, come quello di specie, la notificazione del ricorso è stata effettuata quando ancora non erano vigenti le norme in materia di processo amministrativo telematico e il deposito ha avuto luogo successivamente all'entrata in vigore delle norme richiamate.

Tale difformità non si traduce in una nullità, avendo l'atto raggiunto il suo scopo.

Il caso

Il TAR Calabria con la pronuncia in esame si inserisce nell'acceso dibattito giurisprudenziale avente ad oggetto la nullità dell'atto processuale non sottoscritto con firma digitale, introducendo un orientamento che presta maggior attenzione a un dato fattuale: l'entrata in vigore della riforma comporta necessariamente incertezze idonee a configurare un errore scusabile di cui all'art. 37 c.p.a..

La questione

Con l'entrata in vigore del PAT il 1 Gennaio 2017 si è assistito ad una vera e propria rivoluzione del processo amministrativo: il PAT è il primo processo interamente telematico, non restando alcuna facoltà per i difensori di scegliere tra atto analogico e atto digitale nemmeno per quanto attiene al ricorso introduttivo. Tale necessaria forma digitale di tutti gli atti del processo, ha determinato una diffusa incertezza riguardo alla necessità di apporre la firma digitale agli atti processuali.

Infatti, l'art. 6, comma 5, all. A, d.P.C.M. n. 40/2016 indica che l'apposizione della firma digitale sul modulo di deposito del ricorso “si intende estesa” a tutti gli allegati e quindi, necessariamente, agli atti processuali e ai documenti.

D'altra parte, l'art. 9 d.P.C.M. n. 40/2016 indica espressamente che gli atti processuali sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale. Tale precisazione è stata recentemente introdotta anche nella norma di rango primario, ovvero l'art. 136, comma 2-bis, d.lgs. n. 104/2010.

Le soluzioni giuridiche

Sebbene il PAT sia entrato in vigore da poco più di un mese, esiste già una nutrita giurisprudenza in tema alle conseguenze processuali della mancata sottoscrizione dell'atto con firma digitale.

Una delle prime pronunce sull'argomento, è stata pubblicata dal Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, decr., 1 gennaio 2017, n. 10) il quale ha rilevato che l'atto di appello risulterebbe sprovvisto di firma digitale «riportata soltanto nel modello per il deposito digitale dell'atto di appello e degli allegati».

Alcun riferimento viene fatto con riguardo alla disposizione delle norme tecniche del PAT per cui la firma digitale apposta al modulo di deposito si intenderebbe estesa agli atti ad esso allegati.

È necessario sottolineare che tale estensione opera solo sul piano giuridico: a livello informatico, infatti, la firma digitale PADES-BES che viene apposta al Modulo di deposito “non passa” agli atti ad esso allegati.

Si tratta, quindi, di una finzione giuridica, il cui scopo è, evidentemente, quello di permettere una maggior speditezza nelle attività di deposito.

Tale circostanza, tuttavia, è entrata in conflitto con quanto previsto dall'art. 136 c.p.a., che richiede espressamente l'apposizione della firma digitale.

È necessario domandarsi, quindi, quale sia la portata dell'art. 6, comma 5, d.P.C.M. n. 40/2016: la finzione giuridica dell'estensione della firma digitale è idonea a considerare l'atto firmato digitalmente ai sensi dell'art. 136 c.p.a.?

La sezione II-ter del TAR Lazio ha ritenuto «non scrutinabile» l'istanza ex art. 56 c.p.a. presentata con ricorso privo di firma digitale (TAR Lazio, sez. II-ter, decr., 27 gennaio 2017, n. 497), ma ha consentito comunque al ricorrente di effettuare un nuovo deposito telematico contenente l'atto processuale firmato digitalmente (TAR Lazio, sez. II-ter, decr., 30 gennaio 2017, n. 499). La mancanza della firma digitale verrebbe considerata, quindi, mera irregolarità, suscettibile di essere regolarizzata mediante un nuovo deposito all'interno del medesimo fascicolo informatico.

La pronuncia in esame del TAR Calabria, al contrario, considera la mancata sottoscrizione digitale come motivo di nullità dell'atto. La concessione della rimessione in termini resterebbe, quindi, unico rimedio attivabile, almeno in questa prima fase di avvio del processo amministrativo telematico, nella quale alcuni errori commessi dal difensore possono ancora essere ritenuti “comprensibili”.

Il tema della mancata sottoscrizione dell'atto si intreccia, inoltre, con un altro tipo di errore sul quale la giurisprudenza è stata chiamata a pronunciarsi: il deposito dell'atto processuale come copia informatica per immagine di un atto analogico.

Si tratta di alcune ipotesi in cui il difensore, anziché formare e depositare l'atto come documento informatico, ha ottenuto una scansione dell'atto processuale su carta, talvolta non apponendo la firma digitale alla copia informatica per immagine così estratta.

Il TAR Campania ha recentemente dichiarato inammissibile il ricorso depositato come copia informatica per immagine (TAR Campania, sez. I, sent., 6 febbraio 2017, n. 213).

Chiamato a pronunciarsi su questione analoga, il TAR Calabria ha considerato nullo l'atto processuale depositato sotto forma di copia informatica per immagine priva di firma digitale, in quanto la mancanza dei requisiti formali indicati non permetterebbe il raggiungimento dello scopo dell'atto ai sensi dell'art. 156 c.p.c..

Ciò, non solo per il mancato rispetto della forma digitale obbligatoria dell'atto, ma altresì perchè «la mancanza della firma digitale apposta sull'atto di costituzione impedisce di verificarne la paternità».

Lo stesso TAR, con sentenza di poco successiva ha considerato come ammissibile l'atto processuale depositato sotto forma di copia per immagine, ma munito di firma digitale (TAR Calabria, sez. I, sent., 10 febbraio 2017, n. 175).

L'elemento discretivo ai fini della validità del deposito telematico di una copia ottenuta da scansione, sarebbe, quindi, la presenza della firma digitale.

La paternità “certa” dell'atto permetterebbe all'atto difforme di raggiungere ugualmente lo scopo in quanto, nel formato depositato, risulterebbe comunque leggibile alle parti e al Collegio.

Osservazioni

I giudici amministrativi hanno salutato l'avvento del PAT con una ricca produzione giurisprudenziale (a volte particolarmente severa) e, apparentemente, non è stata tenuta in debita considerazione la giurisprudenza formatasi sugli stessi temi nel processo civile telematico.

In primo luogo, per quanto attiene alla mancanza della firma digitale sull'atto processuale, alcuna pronuncia pare tenere in debita considerazione l'estensione della firma digitale apposta sul modulo, così come esplicitamente indicato dalle Regole tecniche. A ben guardare, peraltro, la norma di cui all'art. 6, comma 5, all. A, d.P.C.M. n. 40/2016 non si pone in contrasto con l'obbligo di sottoscrizione digitale della norma primaria (art. 136, comma 2-bis, c.p.a.). La mancanza della firma digitale, infatti, viene compensata dalla “estensione” citata dalla norma.

Tale estensione, se da un lato può essere considerata come “finzione giuridica”, dall'altro lato si può spiegare come conseguenza della conformazione stessa del software di deposito. Una volta inseriti gli atti all'interno del modulo di deposito, quest'ultimo e i suoi allegati possono essere infatti considerati come un unico documento informatico. Il Giudice Amministrativo ha, infatti, impropriamente parlato di “impedimento di verificare la paternità” dell'atto di costituzione non firmato digitalmente. Tale affermazione non può trovare alcun riscontro né pratico, né teorico.

All'interno del fascicolo informatico è presente una funzione che permette di scaricare un duplicato informatico del modulo utilizzato per il deposito originale. Tale modulo, contiene tutti gli atti allegati: una volta verificata la presenza di una firma digitale valida sul modulo, non si potrebbe certo negare che l'atto processuale sia stato depositato tramite un documento informatico validamente firmato.

Tale operazione, sebbene spieghi il motivo tecnico dell'estensione della firma digitale agli allegati, non è comunque necessaria ai fini di cui si scrive.

La pronuncia in esame del TAR Calabria, infatti, indica che solo l'apposizione della firma digitale all'atto depositato come copia per immagine (scansione) è idoneo a non comportarne la nullità, in quanto ne renderebbe certa la paternità. In alcun modo, tuttavia, è possibile negare la paternità dell'atto depositato sulla base della mancanza della firma digitale. La validità giuridica della copia informatica è prevista dall'art. 22 CAD, il cui comma 3 precisa che le copie per immagine hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità non è espressamente disconosciuta.

La mera assenza della firma digitale non può, quindi, comportare alcuna incertezza sulla paternità dell'atto stesso al difensore in assenza di un suo disconoscimento.

La pronuncia, tuttavia, ha il pregio di riportare il processo amministrativo telematico alla sua iniziale funzione, ovvero quella di garantire una maggiore speditezza nella trattazione del processo.

Il Collegio, infatti, riconosce che anche una copia per immagine è idonea a raggiungere lo scopo cui è preordinata: non è possibile negare che l'atto risulti comunque leggibile, come pure non vi sarebbe lesione del diritto di difesa.

Anche nel PCT si è assistito a varie pronunce di inammissibilità del deposito dell'atto processuale in formato di copia per immagine, sebbene recentemente la giurisprudenza del Giudice Ordinario si sia orientata nel senso di verificare nella contingenza se l'atto depositato abbia raggiunto lo scopo, secondo i requisiti di cui all'art. 156 c.p.c..

Tale lavoro giurisprudenziale e dottrinale rappresenta un'opportunità per il Giudice Amministrativo, il quale ha la possibilità di trarre giovamento dal dibattito già avvenuto nel PCT.