Omessa consegna di comunicazione telematica e casella PEC del destinatario satura: l'avvocato imputet sibi

01 Agosto 2016

Il Tribunale di Milano esamina le conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata consegna al destinatario di una comunicazione di cancelleria, quando la relativa casella di posta elettronica certificata risulti satura.
Massima

È imputabile al difensore la mancata consegna della comunicazione telematica di cancelleria che sia dipesa dalla saturazione della casella PEC del destinatario.

Il caso

Tizio e Caio proponevano ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. reclamo al Tribunale in composizione collegiale avverso l'ordinanza con cui il G.E. si era pronunciato sull'istanza di sospensione ex art. 624 c.p.c. del processo esecutivo.

Il Presidente fissava con apposito decreto l'udienza di discussione del reclamo dinanzi al Collegio, contestualmente assegnando ai ricorrenti termine per notificare l'atto introduttivo ed il provvedimento.

Del decreto presidenziale la cancelleria trasmetteva comunicazione all'indirizzo PEC del difensore dei reclamanti, ma le veniva restituito un messaggio di mancata consegna con la causale “casella piena”.

Due giorni prima dell'udienza, con istanza urgente, l'avvocato dei ricorrenti chiedeva fissarsi nuova udienza e concedersi nuovo termine per notificare reclamo e decreto, sostenendo di avere appreso dell'udienza solo in occasione di un accesso al PolisWeb e di non aver ricevuto alcuna comunicazione di cancelleria.

All'esito dell'udienza collegiale, nella quale il difensore dei ricorrenti argomentava che la cancelleria – una volta appurata l'impossibilità della notifica via PEC – avrebbe dovuto procedervi a mezzo telefax, il Tribunale di Milano dichiarava inammissibile il reclamo.

La questione

La questione sottoposta all'esame del Tribunale attiene alle conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata consegna al destinatario di una comunicazione di cancelleria, quando la relativa casella di posta elettronica certificata risulti satura: in tale ipotesi, la comunicazione s'intende ugualmente perfezionata, oppure la cancelleria ha l'onere di rinnovarla con altro mezzo?

La soluzione giuridica

Il Collegio di Milano ha osservato che:

  • ai sensi del comma 4 dell'art. 16 d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221), le comunicazioni a cura della cancelleria debbono effettuarsi esclusivamente all'indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario, risultante da elenchi pubblici o comunque accessibili alle PP.AA.;
  • quando il messaggio PEC non può essere consegnato per causa imputabile al destinatario, la comunicazione viene eseguita esclusivamente mediante deposito in cancelleria;
  • l'uso del fax o la rimessione dell'atto all'ufficiale giudiziario per la notifica sono consentiti – e, anzi, doverosi - unicamente laddove la causa del mancato recapito tramite PEC non sia da imputarsi al destinatario;
  • nella fattispecie, il mancato ricevimento del decreto di fissazione dell'udienza è dipeso dalla negligenza del difensore, il quale aveva omesso di controllare con la necessaria periodicità la capienza residua della propria casella PEC e si era astenuto dal cancellare i messaggi che avevano causato la saturazione dello spazio disponibile: donde la ritualità della comunicazione telematica (pur effettivamente non recapitata) ed il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'iter procedimentale, con la conseguente declaratoria di inammissibilità del reclamo per mancata sua notifica al resistente.
Osservazioni

Tralasciando – giacché estranea al processo civile telematico – la problematica dei corollari (non pacifici; si vedano ad esempio Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2016, n. 2174, e Cass. civ., sez. VI, ord., 24 settembre 2013, n. 21869, per la sufficienza del tempestivo deposito del ricorso in riassunzione ad impedire l'estinzione del processo e per l'irrilevanza – a questi fini – dell'inesistenza della notifica di ricorso e decreto di fissazione d'udienza) della mancata notificazione di atto introduttivo e decreto nelle cause promosse con ricorso, nonché la questione della necessità o meno (per la tesi negativa v. Cass. civ., sez. VI, ord., 8 giugno 2016, n. 11770) di comunicazione del decreto al difensore del ricorrente da parte del cancelliere), qui interessa evidenziare come l'ordinanza in commento si inscriva in quel filone giurisprudenziale rigoroso che sempre meno tollera disattenzioni o superficialità nella gestione della posta elettronica certificata da parte dei protagonisti del processo civile, siano essi le parti od i loro difensori.

Al riguardo, tra le più recenti – e significative – pronunce meritano di essere citate Cass. civ., sez. VI, ord., 6 luglio 2016, n. 13817 e Cass. civ., sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13917, entrambe rese in matera fallimentare, con riguardo a vicende nelle quali le società dichiarate fallite avevano eccepito di non avere avuto rituale conoscenza della fissazione dell'udienza ex art. 15 R.D. n. 267/1942, in quanto il relativo avviso era stato loro notificato via PEC dalla cancelleria ed incolpevolmente non lo avrebbero aperto (in un caso in ragione dell'asserito virus informatico che avrebbe colpito il computer); la Suprema Corte, nel respingere i ricorsi, ha affermato che:

(i) è onere dell'imprenditore, obbligato per legge a dotarsi di un indirizzo PEC, assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella di posta elettronica certificata, ove necessario delegando detto compito a persona esperta nel settore;

(ii) tale doverosa diligenza si estende all'utilizzo di dispositivi di vigilanza e controllo ed all'adozione di misure anti-intrusione, nonché alla verifica dei messaggi in arrivo (quand'anche nella casella di posta indesiderata).

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