Se il deposito non è telematico devono essere concessi nuovi termini
08 Giugno 2016
Massima
La questione dell'obbligatorietà della forma (telematica, anziché cartacea) non può essere considerata al di fuori del sistema dell'invalidità, il quale esclude che possa procedersi a declaratoria di inammissibilità dell'atto processuale ove l'atto abbia comunque raggiunto lo scopo cui è destinato. Il caso
Un reclamo avverso un'ordinanza del Giudice dell'Esecuzione con cui veniva dichiarata l'interruzione del procedimento esecutivo veniva proposto in modalità tradizionale anziché telematica; la controparte eccepiva l'inammissibilità del ricorso per reclamo in quanto depositata in cancelleria in modo difforme a quanto prescritto dall'art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012. La questione
La questione giuridica affrontata è la sorte del deposito effettuato con modalità “tradizionale” di un reclamo alla luce dell'art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012, a mente del quale «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». Le soluzioni giuridiche
Il Collegio palermitano, per quanto qui interessa, rigettava l'eccezione di inammissibilità formulata da parte reclamata, considerando che la norma di cui all'art. 16-bis, comma 1,d.l. n. 179/2012 «va letta ed applicata […] secondo la logica della flessibilità», e comunque non può considerarsi estranea al sistema delle invalidità (artt. 156 ss. c.p.c.). Conseguentemente non può dichiararsi l'inammissibilità dell'atto processuale ove esso abbia raggiunto il suo scopo (in questo caso, il regolare, sostanziale e pieno radicamento del contraddittorio). Osservava altresì il Collegio che «la violazione della norma è suscettibile di rimedi processuali e ordinamentali di natura diversa, quale può essere la concessione alla controparte di un termine per non essere stata posta nella condizioni di esaminare tempestivamente, in via telematica, l'atto processuale di causa». Osservazioni
La pronuncia in commento è occasione di un'importante riflessione in merito alle norme sull'obbligatorietà del deposito telematico. Esse, come noto, prevedono che (per le categorie di soggetti, procedimenti e atti indicati nelle disposizioni di cui all'art. 16-bis d.l. n. 179/2012) il deposito abbia luogo «esclusivamente con modalità telematiche, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici». Nulla, peraltro, viene stabilito in merito all'ipotesi di inosservanza dell'obbligo. Il Giudice siciliano non ritiene che l'avverbio “esclusivamente” abbia valore determinante, affermando (e questo è il punto fondamentale) che la norma preveda un'obbligatorietà di “forma” dell'atto, e che pertanto rientra nel sistema delle invalidità processuali a norma degli artt. 156 e ss. c.p.c., con ogni istituto collegato (in particolare, quello della sanatoria dell'atto viziato nella forma per raggiungimento dello scopo). La ricostruzione appare assai criticabile, giacché produce l'effetto di svuotare totalmente di significato le norme sull'obbligatorietà del deposito telematico. Invero, le norme di legge ordinaria sull'obbligatorietà della “modalità telematica” di deposito sono poste a tutela dell'interesse generale al buon funzionamento dell'amministrazione della Giustizia: l'adozione degli strumenti telematici per i depositi è stata una precisa scelta di campo (secondo un documento del Comitato di Progetto del progetto di «Assistenza alla realizzazione del processo civile telematico» presentato al convegno unitario dei laboratori tenutosi a Roma in data 4 maggio 2004, «il PCT rappresenta una scelta di fondo dell'amministrazione della giustizia dalla quale non è pensabile tornare indietro»). Ed in effetti, non appare casuale come il legislatore non utilizzi l'espressione “forma telematica”, bensì quella di “modalità telematica” di deposito; detta modalità, ovviamente, implica che l'atto debba essere redatto in “forma” digitale, che diventa così “vincolata”. Se si considerasse solamente il profilo della “forma dell'atto”, inevitabile sarebbe considerare applicabile il regime dettato dall'art. 156 c.p.c.: l'atto in forma cartacea tradizionale raggiunge sempre il proprio scopo (di essere letto dal Giudice e dalle parti del processo), anche se la modalità di deposito in cancelleria non è quella imposta dalla norma. Non appare in questo caso possibile “salvare” l'atto, che viene presentato all'Ufficio in difformità a quanto stabilito da una norma di rango primario, posta a tutela dell'interesse generale allo svolgimento dell'attività processuale con modalità che alleggeriscono (almeno nelle intenzioni e nelle proiezioni) il lavoro degli Uffici Giudiziari. Conseguentemente, non sembra improprio affermare che il deposito effettuato con modalità diversa da quella telematica è da considerarsi inammissibile, o comunque irricevibile a causa della radicale difformità dalla modalità prescritta dalla norma di legge; la rilevabilità del vizio è da ritenersi d'ufficio, se è vero (come sembra) che entra in gioco la necessità di tutela di un interesse generale; sembra comunque doveroso affermare che è possibile per la parte rinnovare l'atto e provvedere al deposito telematico entro la scadenza dei termini processuali. |