Contestazione della ricevuta di consegna della notifica di cancelleria a mezzo PEC
12 Settembre 2016
Massima
Nelle notifiche telematiche a mezzo della posta elettronica certificata, richieste dal cancelliere dell'ufficio giudiziario (nella specie, ai sensi dell'art. 15, comma 3, l. fall.), la ricevuta di avvenuta consegna generata automaticamente dal sistema informatico del gestore di posta elettronica certificata del destinatario costituisce prova dell'avvenuta consegna del messaggio nella sua casella, suscettibile di prova contraria a carico della parte che intende contestarne il contenuto senza necessità di proposizione di querela di falso. Il caso
Il titolare di un'impresa individuale, dichiarato fallito con sentenza del Tribunale di Pordenone, proponeva reclamo deducendo di non aver avuto notizia dell'istanza di fallimento e dell'udienza prefallimentare, evidenziando l'attribuzione del medesimo indirizzo PEC (cui la notifica risultava inviata dalla cancelleria) a due diverse imprese commerciali, quella individuale dichiarata fallita ed una s.r.l. (di cui era amministratore), e producendo documentazione tesa a dimostrare la mancata ricezione di qualsiasi mail nel giorno indicato dalla ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) della PEC di notifica. La Corte d'Appello di Trieste respingeva l'impugnazione rilevando, da un lato, l'accessibilità dell'unico indirizzo PEC così comunicato dallo stesso reclamante per le due imprese da lui gestite e, dall'altro, la necessità di previa querela di falso per la contestazione della RdAC. Il fallito proponeva ricorso in Cassazione denunciando l'erronea superabilità della fidefacienza della RdAC soltanto con querela di falso, l'erronea irrilevanza dell'intestazione a soggetti diversi del medesimo indirizzo PEC e formulando comunque la querela di falso. La Suprema Corte, nella pronuncia in commento, respinge i primi due motivi ritenendo assorbito il terzo per difetto d'interesse ed apporta talune correzioni alla motivazione della sentenza impugnata. La questione
La questione in esame è dunque la seguente: la ricevuta di avvenuta consegna di una notifica di cancelleria via PEC, costituendo prova di detta consegna, è dotata di fede privilegiata, superabile esclusivamente con querela di falso, oppure è suscettibile di prova contraria a carico della parte che intende contestarne il contenuto, senza necessità di detta querela? Le soluzioni giuridiche
La soluzione della questione presuppone il suo esatto inquadramento giuridico. La Suprema Corte, seguendo nel provvedimento in commento le indicazioni del ricorrente, a tal fine richiama correttamente: - l'art. 15, comma 3, l. fall. che, per le istanze di fallimento successive al 31 dicembre 2013 (quale quella del caso in esame), prevede a cura della cancelleria la notifica diretta via PEC di ricorso e decreto di fissazione udienza alla casella del debitore risultante dal Registro Imprese o dall'INI-PEC; - l'art. 16, comma 4, d.l. n. 179/2012 che prevede per le comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria l'esclusiva modalità telematica all'indirizzo PEC risultante dai registri accessibili alla P.A.; - l'art. 16 d.m. n. 44/2011 che individua il perfezionamento di tali comunicazioni e notifiche nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore PEC; - l'art. 45 Codice dell'Amministrazione Digitale (d.lgs. n. 82/2005), ai sensi del quale il documento informatico trasmesso per via telematica si intende consegnato al destinatario se reso disponibile all'indirizzo elettronico da questi dichiarato, nella sua casella di posta elettronica messa a disposizione dal gestore; - l'art. 48 CAD, a mente del quale la trasmissione del documento informatico via PEC equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta, con opponibilità ai terzi di data ed ora delle relative trasmissione e ricezione, se conformi alle norme anche tecniche in materia. Alla luce di tale quadro normativo, la Cassazione conferma che la RdAC rilasciata dal gestore PEC del destinatario comporta presunzione di avvenuta consegna a quest'ultimo: ma fino a prova contraria o fino a querela di falso? Il giudice d'appello (sent. n. 47/2015) aveva ritenuto necessaria quest'ultima, limitandosi ad affermare che il citato art. 48 CAD «equipara la trasmissione telematica, mediante PEC, di comunicazioni, che necessitano di una ricevuta d'invio e di una ricevuta di consegna, alla notifica per mezzo della posta. Ne consegue che al fine di porre nel nulla l'attestazione dell'incaricato del pubblico servizio (Gestore iscritto in apposito elenco e sottoposto alla vigilanza dell'AgID) occorre proporre querela di falso in relazione alla non veritiera attestazione contenuta nella ricevuta di avvenuta consegna che conferma la messa a disposizione del messaggio nella casella del destinatario». La Corte Suprema esclude invece che la RAC sia dotata di fede privilegiata, per molteplici ragioni, che in parte erano state già indicate dal ricorrente: - gli atti aventi pubblica fede devono ritenersi in numero chiuso ed insuscettibili di estensione analogica, incidendo sulle libertà costituzionali e sull'autonomia privata; - la disciplina secondaria sopra delineata induce ad escludere il riconoscimento alla RdAC di una qualsivoglia certezza pubblica; - il gestore PEC, salvo il caso in cui sia una Pubblica Amministrazione, rimane un soggetto privato, pur iscritto in un elenco pubblico e sottoposto a vigilanza pubblica, costituito in forma di società di capitali e quindi naturalmente privo del potere di attribuire pubblica fede; - l'equiparazione tra PEC e notifica a mezzo posta è limitata all'efficacia giuridica e non rende applicabile l'intera disciplina di cui alla l. n. 890/1982 né la relativa giurisprudenza: diversamente dalla relata firmata digitalmente dall'Ufficiale Giudiziario nelle notifiche telematiche o dall'attestazione del portalettere apposta sull'avviso di ricevimento, che fanno fede fino a querela di falso in quanto attività diretta di un pubblico ufficiale o da questi delegata ex lege all'agente postale, nel caso in esame la RAC è emessa automaticamente, senza alcuna cooperazione di un p.u. e sottoscritta digitalmente da un privato. In qualche passaggio della motivazione la Cassazione sembra non escludere del tutto la fidefacienza pubblica della RAC in casi specifici (laddove per esempio rammenta che la trasmissione via PEC equivale alla notifica a mezzo posta salva diversa disposizione o che il gestore PEC rimane un soggetto privato salvo quando il servizio è gestito direttamente da una p.a.), ma paiono prevalere gli argomenti relativi al numero chiuso degli atti dotati di pubblica fede e all'assimilazione solo parziale tra PEC e notifiche via posta. La Cassazione conclude così che la Corte d'Appello ha errato nel ritenere sempre necessaria la querela di falso per superare la presunzione di avvenuta consegna contenuta nella RAC e che deve invece applicarsi il principio di cui in massima. Osservazioni
A margine della questione principale sopra descritta, la Suprema Corte si pronuncia anche sull'intestazione a soggetti diversi (l'impresa individuale fallita ed altra società di capitali di cui il fallito era comunque amministratore) del medesimo indirizzo PEC e sulla documentazione prodotta dal fallito tesa a dimostrare la dimostrare la mancata ricezione di qualsiasi mail nel giorno indicato dalla RdAC, confermando per entrambe il giudizio di irrilevanza espresso dalla Corte d'Appello. Quanto alla prima, in difetto di prova contraria di cui è onerato il destinatario, la notifica telematica si ritiene perfezionata nei confronti del titolare dell'indirizzo PEC – ancorché contemporaneamente riferibile a più soggetti – all'emissione della RdAC da parte del suo gestore. Quanto alla seconda, la natura della documentazione prodotta non emerge dalla sentenza in commento, mentre dalla pronuncia impugnata si ricava che trattavasi di tabulati forniti dal gestore su richiesta del fallito attestanti l'assenza di traffico dati in entrata ed in uscita sulla sua casella PEC nel periodo e nel giorno di emissione della RdAC. La Corte d'Appello di Trieste aveva ritenuto che essi non avessero alcuna valenza in mancanza di un autore certo e che non fosse necessario interpellare il gestore, come pure proposto dal fallito, perché la RdAC costituiva prova dell'avvenuta consegna fino a querela di falso. Il ricorrente aveva censurato, oltre a detta pubblica fede, anche tale sindacato in merito, ostandovi il principio di non contestazione. La Cassazione, chiarita la non necessità della querela, ha però concordato con il giudice di secondo grado nel ritenere il documento privo di sicura riferibilità al gestore PEC ed inidoneo a superare la presunzione di avvenuta consegna discendente dalla RdAC. |