La produzione nel giudizio di appello delle prove della notifica a mezzo PEC

13 Settembre 2017

La produzione dei documenti informatici attestanti la regolarità di una notificazione telematica può essere effettuata anche al di fuori delle preclusioni istruttorie e una volta maturate le stesse?
Massima

Si deve escludere che per la produzione telematica del file in formato .eml, attestante la notificazione della sentenza di primo grado ai fini del decorso del termine breve per l'impugnazione, valgano le preclusioni di cui all'art. 345 c.p.c. in quanto tale file non ha alcuna attinenza con il merito della controversia essendo volto solo a dimostrare l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

Il caso

Il caso scrutinato dalla Corte d'appello di Torino è molto particolare e trae origine da una controversia in tema di intermediazione immobiliare che vedeva soccombere in primo grado il cliente di una s.a.s. agente immobiliare, con conseguente impugnazione da parte del primo.

La società evocata in giudizio si costituiva eccependo l'inammissibilità dell' appello sia perché notificato allorché il termine di cui all'art. 325 c.p.c. era ormai decorso, sia richiamando l'art. 348-bis c.p.c. e lamentando la nullità dell'atto introduttivo per carenza di vocatio in jus (effettivamente mancante).

Da quanto si ricava dalla narrativa della Corte d' appello si evince che l'appellante aveva posto in notificazione due successivi atti di appello – il secondo contenente la vocatio in jus – e aveva quindi iscritto a ruolo il procedimento utilizzando l'atto “completo”.

Successivamente, all'udienza fissata per la discussione ex art. 352 e 281-sexies c.p.c. la parte appellante, a fronte dell'eccezione di tardività dell' appello, contestava l'esistenza e comunque la legittimità della documentazione prodotta dalla società appellata per dimostrare l'avvenuta notificazione (nello specifico si trattava notificazione effettuata a mezzo PEC della quale era stata prodotta la sola stampa della ricevuta di consegna).

A fronte di tale eccezione la Corte d'appello non emetteva sentenza e disponeva procedersi con il rito ordinario, invitando le parti alla precisazione delle conclusioni definitive e assegnando i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e note di replica.

Proprio con le note conclusive l'agenzia immobiliare appellata produceva il file .eml relativo alla notificazione della sentenza di primo grado; sorgeva così questione circa la tempestività di detta produzione dal momento che l'appellante sollevava eccezione di tardività ex art. 345 c.p.c..

La questione

La questione da analizzare è dunque la seguente: la produzione dei documenti informatici attestanti la regolarità di una notificazione telematica può essere effettuata anche al di fuori delle preclusioni istruttorie e una volta maturate le stesse?

Le soluzioni giuridiche

La tematica affrontata dalla Corte d'appello è particolarmente importante per le conseguenze che può comportare sia per il caso esaminato sia per i casi in cui i messaggi di posta elettronica (certificata o meno) costituiscano veri e propri documenti probatori; la pronuncia si pone dunque come momento di riflessione circa l'applicazione delle preclusioni istruttorie anche ad atti del processo che in realtà svolgono la funzione di documentare la regolare instaurazione del contraddittorio.

Sul punto la risposta della Corte d'appello è netta e chiara, nel senso di negare che in tale ultimo caso valgano le preclusioni istruttorie, che si riferiscono invece all'individuazione della materia del contendere e all'impossibilità di incrementare le produzioni al di fuori delle scadenze eventualmente maturate. Nel caso di specie, osserva la Corte, non si tratta di nulla di tutto ciò, non avendo la produzione alcun collegamento con il merito della controversia ed essendo la stessa utile solo a dimostrare l'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Non mancano però opportune osservazioni relative al diritto di difesa della controparte, che nel caso di specie si afferma essere stato salvaguardato dal momento che il documento informatico era stato prodotto con la prima difesa utile e successiva alla proposizione dell'eccezione (ovvero con la comparsa conclusionale) e la controparte aveva potuto spiegare le proprie difese in sede di note di replica.

Osservazioni

Il punto di partenza dal quale muove la decisione in commento è la considerazione (indubbiamente corretta) secondo cui la mancata produzione, all'atto dell'iscrizione a ruolo, del documento informatico idoneo a dimostrare la regolare effettuazione della notificazione a mezzo PEC non determina a carico della parte alcuna preclusione, ben potendo tale documentazione essere prodotta in corso di causa e a fronte delle contestazioni della controparte.

Per la verità sul punto non constano precedenti, trattandosi di materia (la notificazione a mezzo PEC) relativamente nuova e tuttora poco esplorata in tali aspetti particolari. È però possibile desumere, da casi relativi a fattispecie analoghe (o comunque non troppo dissimili) a quello in esame, un orientamento della Suprema Corte che va abbastanza chiaramente nel senso indicato dalla Corte torinese.

Se è infatti vero, ad esempio, che «la parte cui sia stato notificato un atto d'impugnazione entro il termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c., qualora eccepisca la necessità dell'osservanza del termine breve di cui all'art. 325 stesso codice e l'avvenuto superamento del medesimo, deve provare il momento di decorrenza producendo copia autentica della sentenza impugnata, corredata della retata di notificazione» (Cass. 19 dicembre 1997, n. 12886), è anche vero che «in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, l'onere di provare la tempestività della opposizione grava sull'attore, e la relativa dimostrazione, pur non essendo esclusi altri mezzi, viene fornita in genere mediante la relazione di notificazione apposta in calce alla copia del provvedimento monitorio. La produzione di tale documento, peraltro, può utilmente essere compiuta non solo in tutto il corso del giudizio di primo grado, ma anche in appello, in quanto nessuna norma impone che essa sia contestuale alla costituzione in giudizio dell'opponente» (Cass. 5 dicembre 2001, n. 15369).

Ecco dunque che proprio da tale massima si ricava un valido precedente giuridico per la tesi sostenuta dalla Corte d'appello di Torino; mutatis mutandis ci si trova in fattispecie in cui il suddetto principio ha trovato valida applicazione.

Del resto, come correttamente rilevano i Giudici torinesi, l'allegazione del documento informatico mirava solo a sostituire con l'originale quelle che apparivano essere copie informali perché prive di attestazione di conformità e ingiustificatamente sostitutive dell'originale telematico; si trattava dunque di documentare attività processuale correttamente compiuta dalla parte.

L'unico limite che giustamente viene posto è la salvaguarda del diritto di difesa della controparte, che nella specie veniva giudicata sussistente; possiamo dunque immaginare che diversa sarebbe stata la decisione della Corte laddove l'appellato avesse atteso le note di replica per produrre il file attestante la regolare notifica telematica o comunque avesse speculato sui tempi processuali ritardando la produzione in questione.

Come si diceva in apertura di commento, la sentenza è importante anche per quanto non dice espressamente dal momento che obbliga a riflettere sul caso in cui una comunicazione inviata a mezzo PEC (o a mezzo posta elettronica ordinaria) costituisca un vero e proprio documento rilevante per la causa (si pensi ad esempio ad un'interruzione di prescrizione inviata per via telematica).

In tali casi accade spesso che le parti si limitino a produrre mere stampe analogiche dei documenti informatici; potrebbe così facilmente accadere che una comunicazione elettronica rilevante per il processo venga prodotta solo con la memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c. e venga magari disconosciuta ex art. 2719 c.c. dalla controparte con la successiva memoria in replica.

Ove si verificasse una tale ipotesi le conseguenze sarebbero ben più gravi di quelle esaminate dalla Corte torinese dal momento che la parte destinataria del disconoscimento non potrebbe più produrre il documento informatico, essendo ormai maturate le preclusioni istruttorie e non essendo certo ipotizzabile un caso di rimessione in termini. In tale ipotesi, non si tratterebbe solamente di documentare il corretto espletamento di attività processuale ma di una scelta deliberata della parte che, pur essendo in possesso del documento informatico (o potendolo comunque agevolmente recuperare) rinuncerebbe ad avvalersi della stessa per ripiegare su di un documento analogico che, ad esempio, non fornirebbe alcuna informazione certa circa il regolare recapito.

In conclusione è dunque opportuno osservare come l'orientamento sposato dalla Corte d'appello di Torino sia certamente da giudicare con favore ma con l'opportuna avvertenza della sua non estensibilità ad ogni caso in cui venga prodotto un documento analogico in luogo di un documento informatico. La pronuncia salva, per espressa ammissione, i soli di casi in cui occorra documentare un'attività processuale correttamente effettuata, ma non potrà certamente essere invocata per porre rimedio a situazioni riguardanti documenti probatori in senso stretto per la produzione dei quali la parte sia incorsa in preclusioni processuali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.