L’utilizzabilità della firma digitale nel processo di Cassazione

25 Luglio 2017

Il ricorso e il controricorso per Cassazione, se notificati a mezzo PEC, possono essere sottoscritti con firma digitale o debbono recare esclusivamente la firma autografa del difensore per essere poi notificati in copia per immagine (ovvero quali scansioni dell'originale)?
Massima

Nel giudizio di cassazione non operano le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali di cui ai commi da 1 a 4 dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012 e, dunque, rimangono intatte le previsioni di cui agli artt. 365 e 370 c.p.c., che impongono la sottoscrizione autografa (e non digitale) del ricorso e del controricorso (anche con annesso ricorso incidentale) e il suo deposito in originale cartaceo presso la cancelleria della Corte.

Il caso

Il caso scrutinato dalla Corte di Cassazione non presenta in realtà profili particolarmente critici in punto di stretto diritto stante che, nell'ambito di un contenzioso relativo ad una domanda di risarcimento danni connessa ad un contratto di trasporto, la parte soccombente in appello decideva di ricorrere in Cassazione avverso la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione (che era stata dichiarata con sentenza e non con ordinanza ex art. 348-bis c.p.c.). La parte vittoriosa notificava a sua volta il controricorso (contenente anche il ricorso incidentale, è dato comprendere) e, quindi, superato il vaglio dell'ammissibilità del ricorso, si giungeva alla decisione finale con rigetto del ricorso principale e accoglimento del controricorso.

In questo quadro all'apparenza lineare si innestavano alcune considerazioni relative alla notificazione del controricorso, che era stata effettuata a mezzo PEC (considerazioni che peraltro venivano riferite a tutte le ipotesi di notificazione di atti nel giudizio innanzi alla Suprema Corte), che meritano approfondite riflessioni.

Secondo la Corte, infatti, la mancata applicabilità delle norme sul processo telematico al giudizio di Cassazione comportava l'impossibilità di notificare atti muniti di firma digitale, cosicché la notificazione a mezzo PEC poteva essere effettuata solo utilizzando atti recanti la sottoscrizione autografa del difensore.

Nello specifico, peraltro, la notificazione veniva fatta salva in quanto al controricorso notificato per via telematica era stata allegata la procura, questa volta sottoscritta con modalità analogica, cosicché si poteva fare applicazione del principio secondo cui «la firma apposta dal difensore in calce o a margine del ricorso per cassazione ai fini dell'autenticazione della procura speciale vale anche quale sottoscrizione del ricorso, in quanto consente di attribuire al difensore che ha autenticato la sottoscrizione della procura speciale anche la paternità del ricorso stesso» (Cass. n. 18491/2013).

La questione

La questione da analizzare è dunque la seguente: il ricorso e il controricorso per Cassazione, se notificati a mezzo PEC, possono essere sottoscritti con firma digitale o debbono recare esclusivamente la firma autografa del difensore per essere poi notificati in copia per immagine (ovvero quali scansioni dell'originale)?

Le soluzioni giuridiche

La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione è particolarmente importante per le conseguenze pratiche che può comportare e si pone come momento di riflessione circa l'applicazione delle norme sul processo civile telematico e di quelle sulle notifiche eseguite dagli avvocati per via telematica.

Il problema che si affronta è relativo all'equivoco che spesso si ingenera e che porta ad affermare la possibilità di utilizzare la notificazione a mezzo della posta elettronica certificata solo nei casi in cui siano già state attivate le funzionalità del processo telematico nell'ufficio ove si intende incardinare un determinato procedimento.

La lettura normativa data in quest'occasione dalla Corte di Cassazione, è però ancora più particolare, visto che non si nega del tutto la possibilità di utilizzare la notificazione a mezzo PEC nel giudizio di Cassazione (dove per l'appunto non vigono le norme sul processo telematico), ma si nega la sola possibilità di sottoscrivere il ricorso con firma digitale per poi provvedere alla notifica telematica, affermandosi che l'art. 365 c.p.c. non contemplerebbe tale modalità di sottoscrizione del ricorso.

Osservazioni

Il punto di partenza dal quale muove la decisione in commento è la considerazione (indubbiamente corretta) secondo cui al giudizio innanzi alla Suprema Corte non si applica l'infrastruttura del processo telematico.

Da tale punto di partenza si giunge però ad una conclusione errata laddove si afferma l'impossibilità di notificare atti muniti di firma digitale, di talché gli stessi dovrebbero sempre recare la sottoscrizione autografa del difensore.

Al fine di considerare la (non) correttezza di questa tesi occorre però valutare che nel caso di specie la notificazione a mezzo PEC di atto sottoscritto digitalmente non era stata effettuata in applicazione delle norme sul processo telematico, bensì in applicazione della l. n. 53/1994 la quale, all'art. 3-bis prevede espressamente che:

  • la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi (comma 1);
  • quando l'atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l'avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell'atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità (comma 2).

Nel caso di specie, non si è presenza di una facoltà (la notificazione a mezzo PEC da parte dell'avvocati) subordinata all'entrata in vigore delle norme sul processo telematico, bensì di un potere riconosciuto da una norma di applicabilità generale, con il solo vincolo del rispetto della normativa concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, che nel caso di specie non è certamente (o non solo) quella del d.l. n. 179/2012 richiamata dalla Corte, ma è semmai quella del

CAD

(d.lgs. n. 82/2005) con le sue regole tecniche attuative.

I giudici del Supremo Collegio, dunque, non considerano che in forza del combinato disposto dell'art. 3-bis, comma 1, l. n. 53/1994 e dell'art. 21, comma 2, CAD, è certamente possibile la sottoscrizione e la successiva notificazione di documenti informatici muniti di firma digitale.

A tal proposito è significativo che il suddetto art. 21, comma 2, CAD preveda espressamente che il documento informatico sottoscritto con firma digitale abbia l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c. e che venga fatta una riserva espressa con riguardo alle sole disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa anche regolamentare in materia di processo telematico.

Nulla invece si prevede con riguardo alle notificazioni per via telematica, che dunque restano regolamentate dal solo combinato disposto sopra esaminato; a conferma di quanto si afferma, vi è anche il fatto che le norme in analisi non richiamano in alcun modo le disposizioni di cui al d.l. n. 179/2012 (laddove disciplinano la facoltà di notificare documenti informatici nativi a mezzo PEC), né è dato rinvenire nel nostro ordinamento alcuna clausola che subordini la possibilità di eseguire notificazioni a mezzo all'entrata in vigore delle disposizioni concernenti il processo telematico.

Si tratta dunque di ambiti completamente differenti che solo parzialmente entrano in contatto attraverso gli art. 18, d.m. n. 44/2011 e dell'art. 19-bis Provv. 16 aprile 2014, che dettano le regole e le specifiche tecniche per l'attività di notificazione per via telematica da parte degli avvocati. Queste norme sono però state dettate avendo in primis come obiettivo il successivo deposito telematico degli atti notificati e dunque non condizionano in alcun modo il potere originario conferito dalla legge n. 53/1994.

S ricordi infatti che lo stesso corpus normativo in analisi già regolamenta compiutamente il caso in cui, in assenza di applicabilità delle norme sul processo telematico si debba provvedere al deposito dell'atto notificato a mezzo della posta elettronica certificata.

L'art. 9, comma 1-bis, prevede infatti che «qualora non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell'atto notificato a norma dell'articolo 3-bis, l'avvocato estrae copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesta la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi dell'art. 23, comma 1, d.l. 7 marzo 2005, n. 82». E l'art. 23 CAD, si noti, detta proprio le regole per estrarre copie analogiche da documenti informatici.

Un'ulteriore riflessione pare importante al fine di tratteggiare l'erroneità della decisione della Suprema Corte nel caso di specie: se si applicasse alla lettera il dictum in esame, invero, gli stessi principi enunciati in sentenza entrerebbero in crisi irreversibile. Ricordiamo infatti che secondo quanto emerge dalla decisione in commento sarebbe possibile la sola notifica a mezzo PEC di documenti recanti sottoscrizione autografa del difensore; questi dunque dovrebbe provvedere alla redazione di un ricorso in originale analogico e alla successiva estrazione di copia per immagine da allegare alla busta informatica. In tal modo si verrebbe a realizzare l'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 3-bis l. n. 53/1994, il quale prevede espressamente che «quando l'atto da notificarsi non consiste in un documento informatico, l'avvocato provvede ad estrarre copia informatica dell'atto formato su supporto analogico, attestandone la conformità con le modalità previste dall'art. 16-undecies d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012, n. 228. La notifica si esegue mediante allegazione dell'atto da notificarsi al messaggio di posta elettronica certificata».

Se però si nega (come fa la Corte) l'applicabilità del d.l. n. 179/2012 al giudizio di Cassazione, di fatto si nega la possibilità di effettuare le notificazioni con le modalità indicate dalla stessa Corte regolatrice.

È dunque evidente l'errore in cui si è incorsi nel caso di specie, essendo invece tale modalità di notificazione certamente esperibile, anche se tortuosa.

In conclusione. È possibile esprimere l'auspicio che la decisione in commento rimanga isolata, viste le criticità che l'affliggono.

L'interpretazione fornita dalla Suprema Corte non è invero supportata dal quadro legislativo vigente e, come visto, se applicata alla lettera, porterebbe addirittura a negare la possibilità di notificare ricorsi o controricorsi con le modalità tratteggiate in sentenza.

Vero è, invece, che la l. n. 53/1994 detta sul punto disposizioni molto chiare che disciplinano:

  • la notificazione a mezzo PEC di atti redatti sotto forma di documento informatico nativo ovvero sotto forma di originale analogico acquisito in copia informatica per immagine mediante scansione;
  • il successivo deposito della notificazione effettuata per via telematica in quegli uffici nei quali è possibile provvedere al deposito del documento informatico (e dunque sia presso il Giudice di Pace sia presso la Corte di Cassazione).

L'auspicio è dunque che, salvo l'incidente di percorso in commento, la Corte di Cassazione continui correttamente a ritenere ammissibili tutte le modalità di notificazione previste dalla l. n. 53/1994.

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