Gli effetti della marcatura temporale nel processo civile
27 Giugno 2017
Massima
In presenza di documento informatico munito di marca temporale, è onere della parte interessata a negare la certezza della data, allegare e provare la violazione delle regole tecniche sulla validazione temporale, al rispetto delle quali l'art. 20, comma 3, CAD subordina l'opponibilità ai terzi della data (e dell'ora) apposta al documento informatico da certificatore accreditato e iscritto nell'elenco di cui all'art. 29, comma 6, CAD (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal d. lgs. n. 179/2016). Il caso
Il caso scrutinato dalla Corte di Cassazione costituisce la prima occasione in cui i principi in materia di onere della prova nel processo civile vengono applicati alla materia della validazione temporale informatica. In particolare, nell'ambito di un procedimento di ammissione al passivo fallimentare si è posta all'esame dei giudici di merito, prima, e di legittimità, dopo, la questione attinente l'efficacia probatoria di un documento munito di marca temporale e perciò avente data certa. La controversia è quindi giunta all'esame della Corte di legittimità dopo che nel giudizio di merito si era deciso che, a fronte della produzione di documento munito di marca temporale e delle contestazioni della controparte circa il rispetto delle regole tecniche relative alla suddetta procedura informatica, spettasse alla parte che aveva prodotto il documento dimostrare che la marcatura temporale era avvenuta nel rispetto delle regole tecniche (in allora) dettate dal d.P.C.M. 30 marzo 2009. La questione
La questione in esame è dunque la seguente: un documento munito di marca temporale apposta da un certificatore accreditato ai sensi dell'art. 29 CAD gode di una presunzione di correttezza della procedura informatica seguita e può pertanto definirsi munito di data certa in difetto di prova contraria offerta dalla controparte? Le soluzioni giuridiche
La questione giuridica affrontata dalla Corte di Cassazione è certamente nuova nella prospettazione, per così dire, informatica. In effetti per la prima volta vengono applicati alla materia della validazione temporale i principi codicistici in tema di datazione certa dei documenti probatori e viene stabilita una stretta correlazione tra attendibilità del documento informatico e procedure di accreditamento del soggetto certificatore. La decisione prende le mosse da un impianto normativo superato dal nuovo testo del codice dell'amministrazione digitale; peraltro i principi enunciati sono di estrema utilità anche nel nuovo contesto normativo, che in merito ha dettato norme ancora più cogenti in punto necessità di accreditamento da parte dei certificatori. Osservazioni
Il tema affrontato dalla Corte di Cassazione è particolarmente interessante perché porta a calare nel mondo dell'informatica le disposizioni e l'interpretazione giurisprudenziale in tema di datazione certa del documento ai sensi dell'art. 2704 c.c.. Val dunque la pena ricordare che, in una situazione del tutto speculare a quella oggetto della presente analisi (ovvero l'apposizione del timbro postale al fine di cristallizzare la data di un documento), si possono rinvenire due orientamenti della giurisprudenza di legittimità che portano ad attribuire diversa attendibilità a tale forma di marcatura analogica a seconda del soggetto che l'appone. Laddove si tratti di un servizio reso da Poste Italiane si afferma che: «qualora la scrittura privata non autenticata formi un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo è data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita, mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare - pur senza necessità di querela di falso - che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un momento diverso» (Cass. 28 maggio 2012, n. 8438). Diverso è invece l'orientamento nel caso in cui l'analogo servizio sia reso da un servizio privato; in tal caso si afferma infatti che «il timbro datario apposto sul plico consegnato al mittente da parte del fornitore privato del servizio postale che ne ha curato l'invio non è idoneo a rendere certa la data di ricezione dello stesso, non essendo il personale dipendente di tale impresa, a differenza di quello addetto al servizio pubblico, munito di poteri pubblicistici di certificazione della data della corrispondenza trattata, né l'apposizione del timbro può essere considerata una circostanza oggettiva, esterna alle parti, idonea a stabilire in modo egualmente certo quando sia stato formato il documento, secondo la previsione dell'art. 2704 c.c.» (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26778). Ebbene, a fronte di tali orientamenti relativi al mondo analogico, la fattispecie oggetto di causa presenta una particolarità e cioè che nel caso di specie la marcatura digitale avviene ad opera di un soggetto privato, che si è però sottoposto ad una procedura di accreditamento, e in assenza di un principio di supremazia da parte dell'ex monopolista pubblico (ovvero Poste Italiane). In effetti, per i servizi di firma digitale, validazione temporale e conservazione dei documenti informatici le procedure di accreditamento che erano previste dall'art. 29 CAD ponevano tutti gli erogatori di tali servizi in condizioni di parità, sicché, una volta completata con successo la procedura sopra menzionata, il servizio offerto da Poste Italiane era in tutto e per tutto uguale a quello offerto da ogni altro operatore privato. Ad oggi, dopo la riforma del codice dell'amministrazione digitale, la situazione è ancora mutata, se possibile in senso maggiormente restrittivo, visto che ora l'art. 29 CAD prevede che «I soggetti che intendono avviare la prestazione di servizi fiduciari qualificati o svolgere l'attività di gestore di posta elettronica certificata, di gestore dell'identità digitale di cui all'articolo 64, di conservatore di documenti informatici di cui all'articolo 44-bis presentano all'AgID domanda, rispettivamente, di qualificazione o di accreditamento, allegando alla stessa una relazione di valutazione della conformità rilasciata da un organismo di valutazione della conformità accreditato dall'organo designato ai sensi del Reg. CE n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 e dell'art. 4, comma 2, l. 23 luglio 2009, n. 99» (comma 1) e che «Il richiedente deve trovarsi nelle condizioni previste dall'articolo 24 del Regolamento eIDAS» (comma 2). Invero, andando addirittura oltre le previsioni cogenti del regolamento eIDAS, il legislatore è giunto ad equiparare ai prestatori di servizi fiduciari anche coloro che erogano servizi di conservazione e certificazione. Per di più l'obbligo è ora sancito in una norma primaria e pertanto non vi potranno essere discussioni circa l'obbligo di accreditamento per l'erogazione dei suddetti servizi, come invece avvenuto in passato. Questo anche perché ora le procedure di certificazione/accreditamento non sono rivolte solo a coloro che intendono erogare servizi verso la pubblica amministrazione (come continua a prevedere il d.P.C.M. 3 dicembre 2013) ma costituiscono un presupposto generale per poter offrire al pubblico i servizi in analisi. A fronte di tale nuovo assetto normativo è facile comprendere l'importanza della pronuncia in analisi con la quale la Suprema Corte ha di fatto esteso l'orientamento formatosi in tema di validazione temporale analogica da parte degli ex uffici postali pubblici a tutti servizi digitali erogati da fornitori accreditati presso l'Agenzia per l'Italia Digitale: il principio di diritto enunciato sarà infatti applicabile alla generalità dei servizi contemplati dall'art. 29 CAD; conseguentemente ogni volta che verrà esibito un documento marcato temporalmente o distribuito da un sistema di conservazione, oppure verrà prodotta una ricevuta di consegna di un messaggio di posta elettronica certificata si potrà affermare di essere in possesso di una valida prova attestante la data certa, l'integrità e leggibilità del documento oppure il corretto recapito dello stesso; sarà invece onere della controparte fornire la prova contraria. Assolvere a tale onere sarà però arduo, visto il rigido regime di controlli cui sono e saranno sottoposti tali servizi. In conclusione, si può osservare come il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione sia certamente corretto e prenda oltretutto le mosse dall'insegnamento della pregressa giurisprudenza in tema di timbro postale apposto dagli uffici (una volta) pubblici e dalla considerazione che chi si avvale di servizi regolarmente accreditati a norma di legge può fare affidamento sul fatto che il rispetto delle regole tecniche per il servizio erogato (nella fattispecie, la validazione temporale) sia stato già verificato dall'ente a ciò preposto, vale a dire l'Agenzia per l'Italia Digitale. Pare pertanto corretto addossare alla controparte una prova contraria che, di fatto, dovrebbe risolversi nella contestazione dell'attività di certificazione/accreditamento svolta dal soggetto pubblico. Tale fondamentale riflessione non era invece stata fatta dai giudici del merito, la cui decisione è stata, dunque, correttamente sovvertita.
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