Il sommario disconoscimento non priva di valore le riproduzioni informatiche

29 Aprile 2016

Il formale, ma sommario, disconoscimento di documenti costituenti riproduzioni informatiche, ai sensi dell'art. 2712 c.c., non può dare luogo all'esclusione di tali documenti dal novero degli atti di causa utili per la decisione.
Massima

Il formale, ma sommario, disconoscimento di documenti costituenti riproduzioni informatiche, ai sensi dell'art. 2712 c.c., non può dare luogo all'esclusione di tali documenti dal novero degli atti di causa utili per la decisione, perché esso deve essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta.

Il caso

La pronuncia in commento viene resa all'esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fondato su fonte contrattuale e su fatture insolute.

In particolare, il fornitore eccepisce l'inadempimento del cliente e la conseguente interruzione della fornitura, ai sensi dell'art. 1460 c.c.: il Giudice, ritenuti più che provati il credito e l'inadempimento, conferma il decreto e – ai fini che qui interessano – esprime in un obiter dictum delle considerazioni sul disconoscimento delle riproduzioni informatiche. Infatti, a sostegno del comparto probatorio circa il rapporto contrattuale, l'opposto ha prodotto in giudizio diverse comunicazioni via e-mail, dando l'occasione al Giudice di affrontare il tema della loro valenza probatoria.

La questione

La questione in esame è se il sia ammissibile un disconoscimento generico e sommario, ancorché formale, di documenti costituenti riproduzioni informatiche.

Le soluzioni giuridiche

L'esegesi offerta dalla pronuncia in commento riconduce la produzione documentale della mail nell'alveo degli artt. 2712 e 2719 c.c..

L'art. 2712 c.c. sancisce che le riproduzioni informatiche fanno prova dei fatti e cose che rappresentano, fintanto che non venga espressamente disconosciuta la loro conformità ai fatti e cose medesimi. Opportuno appare, inoltre, il richiamo all'art. 2719 c.c., in quanto è da ipotizzarsi che le comunicazioni di posta elettronica siano state depositate in modalità cartacea, quali copie fotostatiche delle autentiche informatiche.

Infatti, l'opponente ha sollevato nel giudizio contestazioni circa la conformità di quanto rappresentato nelle mail alla realtà fattuale, al fine di operare il disconoscimento richiesto dall'art. 2712 c.c. per caducare l'attitudine probatoria della riproduzione informatica.

Rileva il Giudicante che l'eccezione dell'opponente è da considerarsi inammissibile, in ragione della sommarietà e genericità con cui è stata formulata: richiama, a tal proposito, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3122), secondo cui tale disconoscimento, pur non dovendo presentare i requisiti del disconoscimento di scrittura privata ex art. 214 c.p.c., «deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta».

Osservazioni

L'interpretazione fornita dal Tribunale meneghino è fondamentalmente corretta e merita ulteriori precisazioni.

In verità, il Giudice ha mancato di considerare in maniera esplicita un aspetto preliminare, ossia la qualificazione delle comunicazioni mail quali documenti informatici ai sensi dell'art. 20 CAD, norma primaria in tal senso.

L'applicazione di tale disposizione avrebbe consentito al Tribunale di determinare, innanzitutto, l'idoneità delle mail a costituire prova scritta, in virtù delle quattro caratteristiche di integrità, sicurezza, qualità ed immodificabilità in essa elencate; appurato ciò, avrebbe potuto liberamente apprezzarne il valore probatorio. Tuttavia, al fine di dare un senso alla coesistenza di tale art. 20 CAD con l'art. 2712 c.c., data la loro identità di oggetto, deve ritenersi il primo pregiudiziale al secondo.

L'operazione logica da seguire, invero, dovrebbe avviarsi appunto con la valutazione dell'idoneità del documento informatico a rivestire forma scritta; il libero apprezzamento circa l'attitudine probatoria, invece, si deve considerare subordinato alla presunzione di conformità del contenuto digitale originale a quello rappresentato nella riproduzione informatica, salvo disconoscimento. Non avrebbe altrimenti senso disciplinare in due disposizioni diverse la capacità probatoria dello stesso oggetto, in modo, peraltro, antitetico – da un lato libero apprezzamento, dall'altro piena prova sino a disconoscimento. La composizione di tale apparente conflitto va rinvenuta nella diversa direzione assunta dalle norme, l'una a fondare la sostanza del documento, l'altra la regola probatoria che lo sottende.

Suddetta esegesi, d'altronde, appare conferente con la giurisprudenza formatasi in ordine all'art. 2712 c.c., la quale precisa che il disconoscimento previsto da quest'ultimo non degrada la fonte di prova, non la priva di ogni valenza probatoria (a differenza del disconoscimento di cui all'art. 214 c.p.c.): perde, infatti, lo status di prova piena, divenendo liberamente apprezzabile o comunque argomento di prova, idonea da sola o unitamente ad altri elementi a fondare la decisione. Afferma la Cassazione che «in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni informatiche di cui all'art. 2712 c.c., il "disconoscimento" che fa perdere ad esse la qualità di prova, pur non soggetto ai limiti e alle modalità di cui all'art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendosi concretizzare nell'allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta, ma non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, comma 2, c.p.c., perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni» (Cass. civ., sez. lav., 17 febbraio 2015, n. 3122; Cass. civ., sez. lav., 11 maggio 2005, n. 9884)

È giusto rilevare, in effetti, che le due nome si pongono in un rapporto di consequenzialità logica, assolvendo a funzioni diverse. L'art. 20 CAD concerne il documento informatico originario, quale rappresentazione primigenia di un certo contenuto: invero, l'originale della mail può dirsi essere solo quella sequenza di bit transitata in un certo momento dal terminale del mittente, poi attraverso la rete e il provider, fino al terminale del ricevente. Quanto conservato nei terminali e prodotto in giudizio non è, invece, che una copia, una riproduzione informatica dell'”originalissimo”, assennatamente riconducibile all'art. 2712 c.c., quale norma di chiusura – sempre che, infatti, non debba sussumersi sotto le fattispecie previste dall'art. 23-bis CAD in tema di copie e duplicati informatici.

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