Conseguenze della non corretta redazione dell'attestazione di conformità in caso di notificazione a mezzo PEC

Giuseppe Vitrani
29 Agosto 2016

Il Tribunale di Milano affronta la questione giuridica relativa alle conseguenze del mancato rispetto, nell'attestazione di conformità, delle previsioni di cui al d.P.C.M. 13 novembre 2014 in caso di atto giudiziario notificato a mezzo PEC.
Massima

Nel regime previgente l'entrata in vigore della l. n. 132/2015, in caso di atto notificato ai sensi dell'art. 3-bis l. n. 53/1994 a mezzo della posta elettronica certificata, la mancanza, nell'attestazione di conformità, dell'indicazione dell'impronta informatica del file (c.d. hash) non costituisce motivo di inesistenza o di nullità della notifica stessa laddove non vengano denunziate lesioni del diritto di difesa.

Il caso

La pronuncia in questione trae origine da un atto di citazione in opposizione agli atti esecutivi notificato presso il domicilio eletto dal creditore e del quale veniva eccepita l'inesistenza per svariati motivi, che andavano dall'impossibilità di esperire la notificazione ai sensi dell'art. 489 c.p.c. al domicilio eletto dal creditore stesso presso i propri difensori e giungevano sino alla contestazione della mancata notifica dell'atto di citazione in opposizione anche al terzo pignorato.

Fra le tante eccezioni veniva, altresì, contestato il mancato rispetto delle disposizioni del d.P.C.M. 13 novembre 2014 in tema di redazione dell'attestazione di conformità e, in ragione di ciò, si riteneva di dedurre il vizio di inesistenza della notificazione.

La questione

La questione in esame è, dunque, la seguente: nel regime previgente l'entrata in vigore della l. n. 132/2015, in caso di atto giudiziario notificato a mezzo della posta elettronica certificata il mancato rispetto, nell'attestazione di conformità, delle previsioni di cui al d.P.C.M. 13 novembre 2014 (recante le regole tecniche sul documento informatico ai sensi dell'art. 71 CAD) comporta inesistenza o nullità della notificazione stessa?

Le soluzioni giuridiche

La questione giuridica affrontata dal Tribunale di Milano concerne una problematica sulla quale ha fatto, in realtà, chiarezza la l. n. 132/2015, sancendo la non applicabilità delle regole tecniche sul documento informatico (emanate con d.P.C.M. 13 novembre 2014) al processo civile telematico e dettando regole autonome per la redazione delle attestazioni di conformità (regole che sono state successivamente integrate con l'emanazione dell'art. 19-ter delle specifiche tecniche sul processo telematico).

Per la verità, peraltro, prima dell'entrata in vigore della suddetta legge, dottrina e giurisprudenza concordavano quasi all'unanimità circa la necessità di redigere le attestazioni di conformità rispettando la normativa in questione, sicché la sentenza appare degna di nota proprio perché è una delle poche ad occuparsi dei possibili vizi che possono derivare dal mancato rispetto delle prescrizioni dettate dalle regole tecniche attuative delle disposizioni del Codice dell'Amministrazione Digitale; essa può pertanto costituire un utile riferimento per eventuali controversie nelle quali detta normativa dovesse trovare applicazione.

Nel caso in esame, il Tribunale, compiuta un'operazione ermeneutica volta ad individuare i riferimenti normativi dell'eccezione sollevata dal creditore opposto, ritiene non meritevole di accoglimento la tesi dell'inesistenza della notificazione, considerando in particolare che la sola contestazione della mancata indicazione dell'impronta informatica non accompagnata dalla deduzione della mancanza di conformità dell'atto notificato con l'originale cartaceo prodotto in giudizio, non poteva portare ad accertare la presenza di vizi tali da inficiare l'esistenza (o la validità) dell'atto giudiziario.

Osservazioni

Va subito premesso che il ragionamento del Tribunale di Milano non costituisce la parte centrale della sentenza e neppure uno dei motivi principali per i quali è stata rigettata l'eccezione preliminare di inesistenza della notificazione effettuata a mezzo della posta elettronica certificata (in effetti nel caso sottoposto al giudizio del Tribunale di Milano l'attività di notificazione era stata posta in essere prima che entrasse in vigore il d.P.C.M. 13 novembre 2014, sicché non se ne poteva pretendere il rispetto).

Si tratta, però, di una ricostruzione interessante in quanto, come detto, è una delle poche occasioni nelle quali la giurisprudenza ha avuto modo di occuparsi del rapporto tra Codice dell'Amministrazione Digitale, regole tecniche e processo civile telematico da un punto di vista patologico.

Per la verità, non è neppure chiaro il contesto giuridico nel quale si è dato corso alla notificazione a mezzo PEC; da un inciso della motivazione della sentenza («né, d'altra parte viene in alcun modo contestata la conformità dell'atto notificato con l'originale cartaceo prodotto in giudizio») parrebbe che la notifica dell'atto di citazione in opposizione sia avvenuta con modalità particolarmente farraginose e cioè:

  • redazione dell'atto in forma analogica;
  • successiva scansione e allegazione al messaggio di posta elettronica certificata;
  • notifica di copia (conforme) a mezzo PEC.

Così ricostruita (e a prescindere da ogni questione circa la legittimità o meno di detto procedimento) si sarebbe potuto trattare in effetti di un caso astrattamente rientrante nel campo di applicazione dell'art. 6, comma 3, d.P.C.M. 13 novembre 2014, il quale, per il caso di copie per immagine su supporto informatico di documenti analogici, prevede espressamente che «l'attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di un documento analogico di cui all'art. 22, comma 2, del Codice, può essere inserita nel documento informatico contenente la copia per immagine. Il documento informatico così formato è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'attestazione di conformità delle copie per immagine su supporto informatico di uno o più documenti analogici può essere altresì prodotta come documento informatico separato contenente un riferimento temporale e l'impronta di ogni copia per immagine. Il documento informatico così prodotto è sottoscritto con firma digitale del notaio o con firma digitale o firma elettronica qualificata del pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

Dalle poche informazioni in nostro possesso possiamo, dunque, concludere che ci si trovava in presenza di un caso in cui il pieno rispetto delle regole tecniche sul documento informatico avrebbe imposto l'indicazione dell'impronta informatica della copia per immagine notificata dall'opponente (in questo caso l'attestazione di conformità era situata in relata di notifica, ovvero in documento separato).

A fronte di tale ricostruzione, le risposte date dalla giurisprudenza in commento in ordine agli ipotetici vizi che potrebbero discendere dal mancato rispetto dei requisiti previsti dal d.P.C.M. 13 novembre 2014, sono nette e ben condivisibili.

Viene infatti sposata la linea tracciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in forza della quale si nega la possibilità di giungere a pronunce di nullità laddove la violazione delle norme sia fine a sé stessa e non cagioni alcuna lesione ai diritti di difesa delle parti.

Non a caso la decisione in commento richiama espressamente il passo in cui la Suprema Corte afferma che «La denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l'interesse all'astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l'eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l'eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte» (Cass., S.U., 18 aprile 2016, n. 7665).

Viene così condivisa la linea interpretativa, ormai largamente dominante in giurisprudenza, che teorizza la non accoglibilità di eccezioni con le quali si lamenti un mero vizio procedimentale senza prospettare anche le ragioni per le quali l'erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa e possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale.

In tal senso si sono peraltro espresse anche la Corte d'Appello di Cagliari con sentenza n. 15 luglio 2016, n. 553 e la Corte d'Appello di Milano, la quale ha recentemente constatato come appaia eccessivamente formalistica una lettura della legge n. 53/1994 in forza della quale la violazione di qualsivoglia delle norme che disciplinano la notifica telematica comporti senz'altro la nullità dell'atto processuale, e non possa risolversi in una mera irregolarità, pur quando non risulti leso alcun diritto di difesa del destinatario dell'atto notificato (in tal senso v. App. Milano, 21 luglio 2016, n. 3083).

In conclusione, non si può che concordare con l'approccio del tribunale meneghino che, avendo come corretto orizzonte l'art. 156 c.p.c. e il raggiungimento dello scopo dell'atto, non ha potuto fare a meno di ammonire circa il fatto che le eccezioni di stampo esclusivamente formalistico non possono trovare accoglimento laddove non cagionino alcuna lesione del diritto di difesa.

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