Competenza del giudice di paceFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 7
05 Maggio 2016
Inquadramento IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
Per la competenza per materia e valore del giudice di pace opera la norma generale di cui all' art. 7 c.p.c.
Con riferimento alla riserva contenuta nell'articolo in commento, il giudice di legittimità ha precisato che essa attribuisce alla competenza per valore la portata di canone attributivo dotato di valenza solo residuale, destinato, quindi, ad operare solo se la competenza non è attribuita per materia o in via funzionale ad un altro giudice. Per questo, qualora si controverta in materia di beni immobili, il valore della causa non può assumere rilevanza poiché si tratta di controversia attribuita al tribunale ratione materiae.
La competenza del giudice di pace, secondo quanto già previsto per il conciliatore, è limitata al processo di cognizione, rimanendo escluso dal processo di esecuzione, comprese le controversie distributive (ma non dalle opposizioni alla esecuzione atteso che esse sono incidenti di cognizione) nonché da quello cautelare, esclusi i procedimenti di istruzione preventiva; il giudice di pace può comunque pronunciare provvedimenti anticipatori di condanna ex artt. 186- bis ss. c.p.c.
Restano affidati alla competenza dello stesso ufficio i rimedi della revocazione e della opposizione di terzo: spetta inoltre allo stesso ufficio decidere a seguito della cassazione della sua sentenza: o per motivi diversi dalla competenza, in sede di rinvio ex art. 383, o per motivi di competenza, per avere a torto negato la propria competenza, in sede di riassunzione ex art. 382. Sempre a seguito di pronuncia del Supremo Collegio è inoltre chiamato a decidere cause sulle quali sia stata negata la competenza di altro giudice.
Di grande rilievo, l'orientamento della giurisprudenza di merito che trae un importante corollario dall'equiparazione disciplinare e ordinamentale della magistratura onoraria a quella togata: il c.d. «foro dei magistrati», ex art. 30-bis c.p.c. , si applica anche ai giudici di pace.
Competenza per le cause relative a beni mobili
Per l'interpretazione della nozione di causa relativa a beni mobili si sono formati due diversi orientamenti.
A parere dell'opinione più risalente tale nozione va intesa anche in relazione a quella della competenza del tribunale sui diritti immobiliari ( Cass. civ., 30 gennaio 2006, n. 2143 ) e, pertanto, la competenza del giudice di pace, nei limiti per valore stabiliti dalla previsione, va estesa a qualsiasi azione mobiliare (Gionfrida, Competenza, 51 e ss.). Sicché si tratterebbe di una competenza generale per valore rispetto alle cause relative a beni mobili ( Cass. civ., 18 gennaio 2005, n. 899 ).
Secondo un'altra interpretazione la norma porrebbe una competenza di tipo misto, ossia comprensiva della materia e del valore con la conseguenza che, all'interno del valore da essa indicato, il giudice di pace, avrebbe competenza sulle controversie relative a beni mobili rispetto a qualsivoglia diritto in contestazione (così Verde, Profili, 70 e ss.; Satta, Punzi, Diritto processuale civile, 34 e ss.).
La nozione di «causa relativa a beni mobili» posta dall' art. 7 c.p.c. può in realtà essere determinata ad excludendum, ossia ritenendo che la formula dell' art. 7, comma 1, c.p.c. escluda dalla competenza del giudice onorario qualsiasi controversia relativa a beni immobili, sia con riferimento ad azioni reali che con riguardo ad azioni personali. Si potrebbe, viceversa, ritenere che la formula escluda la competenza rispetto alle azioni reali su beni immobili ma comprenda le azioni personali sui beni immobili, purché, ovviamente, nel limite di valore prescritto (Luiso, Competenza, 18 e ss.).
Si è comunque precisato che l'esclusione delle cause relative ai beni immobili insieme con l'espresso rinvio alle cause relative a beni mobili, consente di ritenere che queste ultime siano quelle in cui il diritto azionato in giudizio non riguarda alcuno dei beni indicati come immobili dall' art. 812 c.c. e, in ogni caso, non vi è corrispondenza con la nozione di «cause relative a beni immobili» di cui all' art. 15 c.p.c. , relativo alle controversie ove sono in discussione diritti reali e che non riguarda le azioni personali (Segré, Della competenza, 120 e ss.).
Potrebbero, pertanto, venire in considerazione alcune ipotesi concrete: ad esempio potrebbe trattarsi di un diritto di credito sia nascente da negozio che da fatto illecito, di un diritto reale, o di un diritto potestativo; la competenza sussiste, infatti, indipendentemente dalla natura del diritto che si fa valere ed ancorché collegato con un diritto reale immobiliare purché non sia in contestazione, neppure incidentalmente, il rapporto giuridico di diritto o di fatto con l'immobile (Cass. civ., 29 gennaio 1973, n. 280); può altresì trattarsi di una causa di risarcimento del danno diverso da quello derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, purché rientrante nel limite di valore prescritto dalla disposizione ( Cass. civ., 19 dicembre 2006, n. 27142 ). Pertanto, resterebbero relative a beni immobili, le controversie su crediti a prezzo o a canone locatizio o a risarcimento danni, sebbene i crediti si riferiscano a rapporti relativi a immobili, ove tali rapporti (vendita, locazione, proprietà) non siano in discussione in vista di una decisione sul punto mentre rientrerebbe nell'ambito della causa relativa a bene mobile la controversia relativa ad es. al pagamento del prezzo dell'immobile compravenduto, oppure l'azione di risarcimento dei danni arrecati all'immobile ( Cass. civ., 26 febbraio 2003, n. 2889 ).
La norma prevede un limite di valore non superiore a 5.000,00 euro.
Tuttavia l' art. 7 c.p.c. attribuisce alla competenza per valore portata residuale, destinata ad operare solo se la competenza non sia attribuita per materia o in via funzionale ad altro giudice. La prima conseguenza della considerazione è che, in caso di controversia in tema di beni immobili, il valore della causa non ha rilievo, spettando le medesime cause alla competenza per materia del tribunale ( Cass. civ., 28 novembre 2001, n. 15100 ; Cass. civ., 28 maggio 2004, n. 10300 ; Cass. civ., 31 gennaio 2006, n. 2143 ).
In ogni caso quando la domanda venga proposta dinanzi al giudice di pace senza determinazione del quantum, il valore della causa si presume rientrante nella competenza del giudice adito ( Cass. civ., 22 aprile 2009, n. 9541 ). Esso si determina in base alla domanda, secondo le previsioni degli artt. 10 e ss. c.p.c. e trova applicazione la regola posta dall' art. 14 c.p.c.
L' art. 7 c.p.c. stabilisce che le cause in parola sono attribuite al giudice di pace purché non siano dalla legge assegnate alla competenza di altro giudice. La riserva contenuta nell' art. 7 c.p.c. attribuisce - anche secondo la giurisprudenza - alla competenza per valore, portata di canone attributivo dotato di valenza solo residuale, destinato, perciò, ad operare solo se la competenza non sia attribuita per materia o in via funzionale ad altro giudice. Da ciò consegue che, nel caso in cui si controverta in materia di beni immobili, il valore della causa non può assumere rilevanza, trattandosi di controversia demandata al tribunale ratione materiae ( Cass. civ., 28 novembre 2001, n. 15100 ) .
Orientamenti a confronto
Competenza per le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti
La norma dell' art. 7 c.p.c. non è suscettibile di interpretazione estensiva od analogica, perché impone l'esistenza di uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne, invece, semplice occasione: esulano, pertanto, dall'ambito applicativo della disposizione le ipotesi in cui i danni arrecati siano dipesi da un'insidia senza che nella vicenda sia coinvolto alcun veicolo o natante ( Cass. civ., 11 ottobre 2002, n. 14564 ; Giudice di Pace di Foggia, 16 febbraio 2002, in Arch. Civ., 2002, 1223; Giudice di Pace di Bergamo, 23 novembre 1998, in Giur. Merito, 2000, 342); i danni devono, quindi, essere stati cagionati dalla circolazione di veicoli o di natanti.
La giurisprudenza ritiene che il concetto di circolazione vada inteso in senso ampio e che, pertanto, comprenda anche la sosta dei veicoli ( Cass. civ., 24 luglio 1987, n. 6445 ) o la circolazione con il motore spento, o la sua circolazione a motore spento, purché il veicolo si trovi in luogo pubblico o di uso pubblico o comunque in luogo adibito al traffico di pedoni o veicoli (CC 3 feb. 1987/965) e persino la circolazione dei veicoli con guida di rotaie ( Cass. civ., 12 marzo 2005, n. 5455 ; Cass. civ., 28 marzo 2006, n. 7072 ). La circolazione stradale va intesa, pertanto, come l'attività materiale con cui si attua l'uso della strada in ogni sua esplicazione.
Il giudice di pace è competente anche rispetto a fattispecie che, pur non essendo suscettibili di rientrare nella formulazione dell' art. 2054 c.c. , tuttavia rientrano nella nozione di fatti illeciti prodotti dalla circolazione stradale ( Cass. civ., 11 dicembre 2000, n. 15573 ). Nel concetto di circolazione stradale indicato dall' art. 2054 c.c. come possibile fonte di responsabilità, deve essere compresa anche la posizione di arresto del veicolo su area pubblica, in quanto anche in occasione di fermate o soste sussiste la possibilità di incontro o comunque di interferenza con la circolazione o di persona, ed anche in tali contingenze non può il conducente ritenersi esonerato dall'obbligo di assicurare l'incolumità dei terzi ( Cass. c iv., 28 novembre 1990 n. 11467 ) . Non solo, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha, poi, precisato che deve escludersi che l'espressione circolazione di veicoli contenuta nell' art. 7 comma 2 c.p.c. in funzione della individuazione della relativa regola di competenza, si debba intendere nel senso di alludere alla circolazione dei veicoli soltanto su strade pubbliche o di uso pubblico o comunque su strade o aree private con situazione di traffico equiparabile a quella di una strada pubblica. Ne deriva che la regola di competenza sarebbe applicabile anche nel caso di circolazione su strada o su area privata ( Cass. civ., 1 agosto 2008, n. 20946 ) .
Per la nozione di «veicolo» bisogna far riferimento agli artt. 46 e ss. d.lgs. 285/1992, ossia alle disposizioni del codice della strada, nonché all'art. 47 dello stesso codice che ne contiene una esplicita classificazione.
Per la nozione di «natante» bisogna rifarsi all' art. 136 cod. nav. In particolare, sull'ambito della specifica competenza del giudice di pace ex art. 7, comma 2, si è precisato che il termine natante è usato in senso nautico generale, cioè mezzo nautico per il quale è obbligatoria l'assicurazione per la responsabilità civile introdotta con la l. n. 990 del 1969 . Ne consegue che il giudice di pace è competente a conoscere delle cause concernenti tutti i sinistri marittimi, col solo rispetto del limite di valore (Giudice di pace Roma, 12 maggio 1998, in Dir. Trasporti, 2000, 542). Seppure si è affermato che, con il termine natante, ai sensi dell' art. 7 c.p.c. , debbono intendersi soltanto le imbarcazioni di cui all' art. 13 l. 11 febbraio 1971 n. 50 e quindi il giudice di pace è incompetente a conoscere della causa avente ad oggetto il risarcimento del danno subito da una imbarcazione da diporto avente lunghezza superiore a 7,5 metri, e quindi non rientrante nella categoria dei natanti ai sensi della citata l. n. 50 del 1971 (Giudice di pace Napoli, 14 luglio 1998, in Riv. giur. circol. trasp., 1999, 1063), vi è anche giurisprudenza che afferma che n ella norma il termine natante è usato in senso nautico generale, cioè mezzo nautico per il quale è obbligatoria l'assicurazione per la responsabilità civile introdotta con la l. n. 990 del 1969 . Ne consegue che il giudice di pace è competente a conoscere delle cause concernenti tutti i sinistri marittimi, col solo rispetto del limite di valore ( Giudice di pace Roma 12 maggio 1998, in Dir. trasporti, 2000, 542 ).
La norma in esame attribuisce alla competenza del giudice di pace le controversie in questione, con il limite di valore di euro 20.000,00. Si tratta di una tipologia di competenza speciale per valore e per materia, in relazione alla quale diviene rilevante il titolo e non il soggetto nei cui confronti tale credito viene fatto valere né la natura del danno (alle persone o alle cose) di cui si chiede il risarcimento; per radicarla, infatti, è sufficiente, ed esclusivo, il rinvio alla circolazione dei veicoli e dei natanti e, quindi, alla causa petendi della richiesta risarcitoria. Se la domanda di risarcimento del danno da circolazione stradale è proposta al giudice di pace senza indicazione del quantum, secondo la regola già citata si presume rientrante nella competenza del giudice adito ex art. 14 c.p.c. , laddove non sia tempestivamente contestata ( Cass. 15 giugno 2004, n. 11258 ; Cass. 12 luglio 2005, n. 14586 ; Cass. 31 luglio 2006, n. 17456 ).
Competenza per materia indipendente dal valore: singole ipotesi
Il comma 3 dell'art. 7 prevede che il giudice di pace sia competente, qualunque ne sia il valore, per le cause relative ad apposizione dei termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti e dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi. La regola deve ritenersi limitata: ossia non può valere l'attribuzione di competenza qualora si controverta sulla proprietà o sui confini; in questo caso, infatti, la competenza deve essere determinata in base alla regola dell' art. 15 c.p.c. e, quindi, sulla base del valore della parte dell'immobile che è in contestazione.
La prima ipotesi è quella relativa alle «… cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi».
La giurisprudenza ha spesso affermato che, mentre le cause di apposizione di termini rientrano nella competenza per materia del giudice di pace qualunque ne sia il valore, le cause di regolamento di confini ne esulano comunque perché rientrano tra quelle relative a beni immobili, assoggettate alla regola della distribuzione della competenza per valore in base ai criteri posti dell'art. 15 con riguardo al valore della parte controversa dell'immobile ( Cass. civ., 30 novembre 1988, n. 6500 ). Questo perché, diversamente dall'azione di apposizione di termini ex art. 951 c.c. la quale presuppone l'esistenza di un confine certo e determinato, e tende ad ottenere soltanto che la linea di demarcazione tra proprietà finitime sia resa visibile e riconoscibile mediante la collocazione di segni esteriori che indichino materialmente il tracciato, l'azione di regolamento di confini ex art. 950 c.c. presuppone invece l'incertezza dei confini, che può derivare tanto dalla mancanza di qualsiasi limite quanto dalla contestazione sul confine esistente, perché lo scopo dell'azione è la rimozione dell'incertezza e la determinazione quantitativa dell'oggetto della proprietà dei due confinanti, nella presupposta e non controversa validità ed efficacia dei titoli di acquisto delle parti. Qualora si chieda contestualmente regolamento di confini ed apposizione di termini sul confine regolato, la prima azione assorbe l'altra, escludendo la competenza per materia ( Cass. civ., 19 luglio 1999, n. 7695 ; contra Cass. civ., 8 marzo 1996 n. 1850 e Cass. civ., 8 maggio 2002, n. 6596).
La Cassazione in argomento ha precisato che per stabilire se le immissioni che si propagano dall'immobile del vicino su quello altrui superino la normale tollerabilità, occorre avere riguardo alla destinazione della zona ove si trovano gli immobili perché se essa è prevalentemente abitativa, il contemperamento delle ragioni della proprietà con quelle della produzione deve essere effettuato dando prevalenza alle esigenze personali di vita del proprietario dell'immobile adibito ad abitazione rispetto alle utilità economiche derivanti dall'esercizio di attività produttive o commerciali nell'immobile del vicino. In particolare, con riferimento ai limiti massimi di esposizione al rumore, i criteri stabiliti dal d.p.c.m. 1 marzo 1991 per la determinazione di essi, benché dettati per la tutela generale del territorio, possono essere utilizzati come parametro di riferimento per stabilire l'intensità e, di riflesso, la soglia di tollerabilità delle immissioni rumorose nei rapporti tra privati purché considerati come limite minimo e non già massimo, dato che tali parametri sono meno rigorosi di quelli applicabili nei singoli casi ai sensi dell' art. 844 c.c. ( Cass. civ. , sez. II, 18 aprile 2001 n. 5697 ; nello stesso senso Cass. civ. , sez. II, 3 agosto 2001 n. 10735 ; Cass. civ., sez. II, 13 settembre 2000 n. 12080 ). In ogni caso l'accertamento delle cause che determinano immissioni moleste nel fondo altrui non influisce sul giudizio di tollerabilità delle stesse, che si deve effettuare secondo i criteri indicati dall' art. 844 c.c. cui è estraneo il criterio della colpa e quindi, una volta accertata l'esistenza dell'immissione molesta e stabilito il suo grado di tollerabilità, l'individuazione delle cause può servire solo per determinare le misure da adottare per la sua eliminazione ( Cass. Civ., sez. II, 3 novembre 2000 n. 14353 ) .
L'azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità ai sensi dell' art. 844 c.c. può essere esperita anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del locatario di questo, quando soltanto a costui debba essere imposto un facere o un non facere, suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego ( Cass. Civ. , sez. II, 1 dicembre 2000 n. 15932 ) . Segue: Casistica
Competenza per le cause relative ad interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali
Con una modifica, effettuata con l'inserimento di un ulteriore numero nella norma, ad opera della l. 18 giugno 2009, n. 69 , le previsioni dell'articolo sono state integrate, dal n. 3-bis, relativo alle cause per interessi o accessori da ritardato pagamento di prestazioni previdenziali o assistenziali. Ne deriva un combinato disposto con la norma dell' art. 442 c.p.c. , ultimo comma, a norma del quale «per le controversie di cui all'articolo 7, terzo comma, numero 3-bis, non si osservano le disposizioni di questo capo, né quelle di cui al capo primo di questo titolo». Non si applicano, pertanto, le disposizioni relative alla competenza e al rito per le controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie né quelle relative alle controversie di lavoro. La dottrina in argomento ha specificato che l'interpretazione più logica del numero in commento limiti la competenza del giudice di pace all'ipotesi in cui l'ente abbia riconosciuto e liquidato la somma capitale ma non gli interessi e gli accessori (Trisorio Liuzzi, Le novità, 255 e ss.). Pertanto il giudice di pace è competente solo se la domanda riguardi, per l'appunto, gli accessori e non se la domanda sia relativa anche all'accertamento e al pagamento della prestazione previdenziale e assistenziale, perché, in questo caso entrambe le domande dovranno essere attribuite al tribunale in funzione di giudice del lavoro (Ronco, I mutamenti, 1574).
Riferimenti
ASPRELLA, sub art. 7 c.p.c. , in Commentario del codice di procedura civile a cura di Comoglio, Consolo, Sassani, Vaccarella, Torino, 2012;
ASPRELLA, Il giudice di pace, origine storica, norme processuali, fattispecie civilistiche, in La giurisprudenza del giudice di pace, a cura di Riviezzo, Milano, 2008.
CHIARLONI, Competenza del giudice di pace, in Le riforme del processo civile, a cura di CHIARLONI, Bologna, 1992, 993 e ss.;
GIONFRIDA, Competenza in materia civile, in Enc. del dir., vol. VIII, Milano, 1961, 57 e ss.;
LUISO, Competenza del giudice di pace, in Consolo, Luiso, Sassani, Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 18 e ss.;
RONCO, I mutamenti nel sistema della competenza, in Giur. it., 2009, 1574;
TEDOLDI, Giudice di pace, in Dig. Civ., Agg., vol. II, Torino, 2003, 737 e ss.;
TRISORIO LIUZZI, Le novità in tema di competenza, litispendenza, continenza e connessione, in Foro it., 2009, 255 e ss.;
VERDE, Profili del processo civile, I, Napoli, 2002, 70 e ss.;
SATTA, PUNZI, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 34 e ss.; Riferimenti normativiRiferimenti giurisprudenziali |