Gina Gioia
Guido D'Ippolito
19 Dicembre 2016

L'esistenza di una pluralità di giurisdizioni statali è principio che comporta, implicitamente, la necessità, per chi intenda agire in giudizio, di procedere con l'individuazione del plesso fornito di giurisdizione. La giurisdizione costituisce una condizione di decidibilità della domanda che il giudice sarà a chiamato a scrutinare.
Inquadramento

L'esistenza di una pluralità di giurisdizioni statali è principio che comporta, implicitamente, la necessità, per chi intenda agire in giudizio, di procedere con l'individuazione del plesso fornito di giurisdizione. La giurisdizione costituisce una condizione di decidibilità della domanda che il giudice sarà a chiamato a scrutinare, al fine di verificare se sia proprio l'ordine giurisdizionale al quale appartiene (ad es. civile, amministrativo, tributario o contabile) quello al quale l'ordinamento riconosce il potere e il dovere di decidere la controversia oggetto della causa, avuto riguardo alle parti ed alla situazione giuridica dedotta in giudizio.

Potrà darsi un difetto assoluto o relativo di giurisdizione a seconda che, rispettivamente, ci si trovi in un'ipotesi mancanza di tutela della situazione giuridica soggettiva, o, diversamente, nell'ipotesi in cui sia quello specifico giudice adito ad essere carente di giurisdizione, ma ve ne sia, comunque, uno competente a decidere, fra gli organi giurisdizionali dello Stato italiano.

Si indica come difetto assoluto di giurisdizione anche la situazione in cui il giudice italiano sia sfornito di competenza internazionale, rispetto alla controversia per la quale sia stato adito.

Tradizionalmente, il conflitto di giurisdizione si configura allorquando sia più di un giudice a declinare la propria competenza giurisdizionale – nel qual caso si parla di conflitto negativo - o, viceversa, ad affermarla – per cui si parla di conflitto positivo.

Il conflitto potrebbe verificarsi tra giudici speciali (ad es. amministrativo e contabile), o tra giudici speciali e ordinari (ad es. tributario e civile). Il tratto caratteristico di queste ipotesi è che il conflitto sia reale, ossia risultante da due decisioni, rese da due giudici differenti, nelle quali si declini o si affermi l'esistenza della giurisdizione in capo al giudice adito.

L'art. 59, l. n. 69/2009 ha virtualmente posto fine ai cd. conflitti negativi reali, attraverso il regolamento di giurisdizione di ufficio. Infatti, il giudice adito a seguito della riassunzione della causa per effetto della declinatoria di giurisdizione del primo giudice, nel caso ritenga di non avere giurisdizione, è tenuto a sollevare il regolamento di giurisdizione d'ufficio; residuano, tuttavia, alcune ipotesi, seppur limitate, nelle quali è configurabile un conflitto di giurisdizione.

La norma appena citata ha tendenzialmente posto fine anche ai conflitti positivi, che si generavano sostanzialmente per la mancanza di una norma di raccordo tra i diversi plessi giurisdizionali. La previsione della translatio iudicii, con la conseguente salvezza degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla proposizione della domanda davanti al giudice privo di giurisdizione, fa venir meno l'esigenza che spesso gli avvocati avvertivano di proporre la domanda davanti ai plessi dei quali avrebbe potuto essere riconosciuta la giurisdizione, al solo scopo di non incorrere in decadenze e prescrizione.

In evidenza

Nel caso in cui l'adito giudice amministrativo non sollevi, immediatamente, con ordinanza, il conflitto di giurisdizione, incardinando il giudizio dinanzi a sé per poi emettere una sentenza con cui, a propria volta, declini la giurisdizione, per ciò stesso costringendo la parte soccombente a proporre appello e ad investire della questione il giudice amministrativo di secondo grado, il conflitto è inammissibile, e neppure può essere sollevato dal Consiglio di Stato adito in appello (così Cass. civ., Sez. Un., ord., 7 gennaio 2016, n. 63)

Qualora nel corso di un processo riassunto, il giudice di prime cure abbia erroneamente ritenuto la sua giurisdizione o, comunque, non si sia avvalso della possibilità prevista dal comma 3 dell'art. 11 del c.p.a., non sollevando alla prima udienza il conflitto, la giurisdizione deve ritenersi definitivamente radicata, senza ulteriori possibilità di contestazione (Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2862).

Il conflitto positivo e il conflitto negativo di giurisdizione

L'ipotesi di conflitto di giurisdizione, come accennato, postula che la tutela della medesima situazione soggettiva sia stata richiesta a più giudici contemporaneamente, e questi abbiano declinato la propria giurisdizione o, nell'ipotesi del conflitto positivo di giurisdizione, che più giudici abbiano affermato in una pronuncia, implicitamente o esplicitamente, la propria giurisdizione. A tale ultimo riguardo, si consideri che l'adozione di una decisione del giudice che non verta sulla giurisdizione implica, in ogni caso, non solo il riconoscimento di questa, ma anche un suo concreto esercizio.

È necessario, dunque, che il conflitto sia reale e non meramente virtuale, il che impone che i giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi abbiano emesso una pronuncia, declinatoria o affermativa, in merito al proprio potere di decidere la controversia.

Nel caso in cui, invece, non siano state rese due sentenze, vertenti sulla giurisdizione, ci si troverà dinanzi ad un conflitto c.d. virtuale di giurisdizione: lo strumento apprestato dal codice di rito, per risolvere tale diversa ipotesi, è il regolamento di giurisdizione.

Il conflitto positivo di giurisdizione postula che un giudice speciale ed uno ordinario, o due giudici speciali abbiano emesso una sentenza, affermando la sussistenza della propria giurisdizione, in merito a domande connotate dal medesimo petitum sostanziale (si vedano a tal riguardo, Cass. civ., Sez. Un., 29 agosto 2008, n.21928, Cass. civ., Sez. Un., 23 marzo 2007, n. 7108, Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2000, n. 1258 e Cass. civ., Sez. Un., 10 agosto 1996, n. 7408).

A fronte di un tale conflitto, saranno le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ad individuare quale tra i due giudici investiti sia effettivamente dotato di giurisdizione procedendo, altresì, alla caducazione della decisione resa dal giudice sprovvistone (in questo senso Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2000, n. 1258).

Il conflitto di giurisdizione negativo comporta, invece, che a fronte della medesima domanda entrambi i giudici aditi, negando la propria giurisdizione, si siano spogliati della causa.

Affinché possa darsi tale ipotesi è necessario che la giurisdizione sia declinata sia esplicitamente che implicitamente.

Ad esempio, non ricorrerebbe un'ipotesi di conflitto negativo di giurisdizione nel caso in cui mentre il giudice amministrativo abbia declinato la propria giurisdizione, il giudice ordinario abbia adottato dei provvedimenti che, implicitamente, presuppongano in capo a sé l'esistenza della giurisdizione.

Il conflitto di giurisdizione all'indomani della l. n. 69/2009

Con l'entrata in vigore dell'art. 59, l. n. 69/2009, la disciplina dei conflitti di giurisdizione ha mutato, in maniera rilevante, la propria ragion d'essere.

Uno dei principi ispiratori della riforma che ha introdotto la translatio iudicii, anche in materia di giurisdizione, è stato quello di garantire la continuità degli effetti della domanda una volta che questa venga riassunta, o riproposta secondo una parte della dottrina, innanzi al secondo giudice indicato come competente dal primo che abbia declinato, invece, la propria giurisdizione.

Appare evidente come un tale risultato sarebbe del tutto frustrato, ove il secondo giudice potesse emettere una sentenza definitiva con la quale statuire solo in merito al proprio difetto di giurisdizione. In una tale prospettiva, proprio al fine di garantire quanto più possibile la piena continuità degli effetti della domanda, il legislatore ha previsto all'art. 59, comma 3, l. n. 69/2009 il regolamento di giurisdizione d'ufficio.

Sulla base di tale norma, dunque, il giudice indicato dal primo come fornito di giurisdizione ha il dovere – nel caso si ritenga a suo volta sprovvisto della possibilità di decidere – di investire della questione direttamente, a mezzo di ordinanza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché siano queste a statuire in merito a quale sia l'ordine giurisdizionale ad avere effettivamente giurisdizione nel caso di specie. Tale mezzo è impiegabile solo ove sulla questione non siano già intervenute le Sezioni Unite.

L'incidenza di un tale strumento sui conflitti di giurisdizione è evidente.

I conflitti negativi di giurisdizione sono destinati a scomparire: a fronte di una sentenza con la quale venga declinata la giurisdizione, la parte riassumerà il giudizio innanzi il giudice indicato come dotato di giurisdizione. Il secondo giudice adito in riassunzione non avrà più la possibilità di declinare la propria giurisdizione, ma dovrà solo, eventualmente, sollevare la questione innanzi le Sezioni Unite.

Tuttavia, in concreto, alcune ipotesi potrebbero continuare a verificarsi, ove il giudice adito per secondo, manchi di ricorrere al regolamento d'ufficio, emettendo un'altra declinatoria. Considerato, infatti, come l'art. 59 non abbia coperto l'intero arco delle situazioni processuali provocate da una dichiarazione di difetto di giurisdizione (tanto da non avere determinato l'abrogazione dell'art. 362 c.p.c.), nel caso in cui il giudice adito all'esito di una pronuncia declinatoria della giurisdizione dichiari, a sua volta, il proprio difetto di giurisdizione, mancando di sottoporre la relativa questione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, resta ferma la possibilità di far valere, in ogni tempo, il conflitto reale negativo di giurisdizione ai sensi dell'art. 362, secondo comma, n. 1), c.p.c., a prescindere dalla circostanza che una delle due sentenze sia passata in giudicato (si vedano Cass. Civ., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16883, Cass. Civ., Sez. Un., 7 gennaio 2013, n. 150 e Cass. Civ., Sez. Un., 20 giugno 2012, n. 10139; nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5953).

Resterebbe, tuttavia, da appurare se attraverso il ricorso all'art. 362, n. 2 gli effetti legati alla predisposizione della domanda continuino a prodursi o, se in ragione della “denunciabilità in ogni tempo” del conflitto, si debba ritenere che tali effetti vengano meno.

I conflitti positivi, invece, non sembrano destinati a permanere, anche se tuttavia, perché il sistema disegnato dalla richiamata riforma sembrerebbe aver fatto venire meno l'esigenza cautelativa di proporre la medesima domanda, innanzi a due diversi ordini giurisdizionali.

Va, in ogni caso, precisato che a fronte del giudicato formatosi sul merito della prima pronuncia, il secondo giudice sarà tenuto ad uniformarsi non ponendosi più una questione di giurisdizione ma, eventualmente, solo di giudicato. Nel caso vengano proposte (più o meno) contestualmente due domande aventi ad oggetto il medesimo rapporto giuridico sostanziale davanti a due plessi giurisdizionali differenti, l'ordinamento (purtroppo) non ha previsto una norma simile all'art. 39 c.p.c. Secondo una certa impostazione, in questi casi, dovrebbe continuare ad applicarsi l'art. 362, comma 2, n. 1, c.p.c., mentre un'altra impostazione avvalora la tesi della sospensione per pregiudizialità, ex art. 295 c.p.c.

L'art. 59, l. n. 69/2009 non fornisce le regole procedurali da impiegarsi al fine di sollevare, d'ufficio, il conflitto di giurisdizione, pur richiamandone l'istituto. A tal riguardo ha sopperito l'interpretazione giurisprudenziale, proponendo un'applicazione analogica dell'art. 45 e dell'art. 47, c.4.

L'art. 11, comma 3, c.p.a e il conflitto di giurisdizione

L'art. 11 c.p.a. è rubricato «Decisioni sulle questioni di giurisdizione». In particolare, al comma 3 è dato leggere che «Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione». L'ipotesi, dunque, appare chiara: nel caso in cui altro giudice abbia declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo, quest'ultimo potrà sollevare d'ufficio il conflitto di giurisdizione.

Tuttavia, l'impiego del conflitto di giurisdizione, in questa sede, non appare convincente. Come si è a avuto modo di chiarire, può darsi conflitto di giurisdizione, ex art. 362 c.p.c., in quanto vi siano due sentenze che statuiscano in tema di giurisdizione; nel caso di specie, invece, appare evidente come la sentenza sia una sola: quella con la quale l'altro giudice declina la giurisdizione affermandone la sussistenza in capo al giudice amministrativo. Lo strumento da prevedersi, dunque, nel caso di specie, sarebbe dovuto essere quello del regolamento di giurisdizione d'ufficio. Appare quanto mai discutibile, soprattutto nello spirito di quella comunicazione tra le giurisdizioni realizzata attraverso la l. n.69/2009 (giacché il riconoscimento della continuità degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice incompetente si può collocare solo all'interno di un sistema unitariamente inteso), che la medesima situazione venga regolata in modi diversi, a seconda di quale sia il plesso giurisdizionale coinvolto per secondo.

La necessità della introduzione ad opera dell'art. 11 c.p.a. di una norma analoga, ma non identica all'art. 59, l. n. 69/2009, è piuttosto dubbia. Il legislatore del 2009 aveva inteso lasciare fuori dal codice di rito civile quest'ultimo articolo, affinché fosse applicabile a tutte le giurisdizioni. Sulla scia del c.p.a., nel processo contabile è stato inserito l'art. 17, d. lgs. 174/2016, che regola, a sua volta, la decisione sulla giurisdizione del giudice contabile.

La denuncia del conflitto di giurisdizione

La denuncia del conflitto di giurisdizione, può essere effettuata, in accordo con la previsione di cui all'art. 362, comma 2 c.p.c., attraverso un atto che soggiace agli stessi requisiti formali richiesti per un ordinario ricorso in Cassazione (Cass. civ., Sez.Un., 20 agosto 2010, n. 18811 e Cass. civ., Sez. Un., 9 marzo 2007, n. 5402).

La denuncia può essere effettuata in ogni tempo e, dunque, a prescindere dal fatto che una o l'altra pronuncia siano passate, o meno, in giudicato.

Tale aspetto conferma il fatto che il rimedio in oggetto non possa essere considerato un'impugnazione ma, invece, solo uno strumento di risoluzione del conflitto di giurisdizione.

In questo senso, depone l'ulteriore circostanza che vengano sottoposte all'attenzione della Suprema Corte entrambe le sentenze rese dai giudici trovatisi in una situazione di conflitto.

La peculiarità dell'oggetto di un tale procedimento fa sì che il contenuto dell'atto differisca da un normale ricorso per Cassazione. Ed infatti, nel caso di denuncia di conflitto ai sensi del disposto dell'art. 362, comma 2 c.p.c. non è necessario che la parte indichi specificamente le norme violate o erroneamente applicate dal giudice, ma è sufficiente la deduzione, nella motivazione, dell'errata applicazione dei principi relativi al riparto di giurisdizione (così, ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9690).

La ragione di una tale differenza è da rinvenirsi proprio nella circostanza che il giudizio, qui in oggetto, non ha lo scopo di impugnare una sentenza, bensì, ha l'unica finalità di costituire il mezzo processuale con il quale richiedere alla Corte di legittimità la soluzione del conflitto verificatosi.

Resta, tuttavia, ferma la natura del tipo di giudizio al quale la Suprema Corte viene chiamata e, pertanto, risultano applicabili le norme tipiche di quel procedimento, fra le quali, in primis, per il caso di pluralità di parti, l'art. 331 c.p.c..

La natura di giudizio svincolato dai gradi precedenti dei quali non costituisce, come chiarito, fase impugnatoria impone che, per il rispetto delle norme in materia di notificazioni, l'atto introduttivo venga notificato alla parte direttamente. Il relativo procedimento sarebbe, dunque, inammissibile, per inesistenza della notificazione, qualora il ricorso fosse stato notificato al procuratore della parte, costituitosi in uno dei giudizi nei quali sia sorto il conflitto (si veda, a tal riguardo, Cass. civ., 11.09.2008, n. 23384).

Ove si ponga un problema di successione di leggi, la soluzione del conflitto di giurisdizione dovrà essere trovata applicando la legge in vigore al momento dell'avvio del primo procedimento, nel caso in cui la seconda iniziativa processale consista, di fatto, in una mera riproposizione della medesima domanda.

Avuto riguardo all'ulteriore portata dell'art. 362 c.p.c., per quanto di interesse in questa sede, può evidenziarsi come la previsione del primo comma appaia implicitamente superata, seppur in parte, dal disposto dell'art. 111, comma7 Cost. e in parte dall'art. 111, comma 8, Cost. In base alla prima delle due norme, infatti, si ritiene che siano generalmente ricorribili in Cassazione le sentenze dei giudici speciali per ogni ipotesi di violazione di legge, stante la natura giurisdizionale delle stesse e non solo, dunque, per motivi attinenti alla giurisdizione. La seconda norma, invece, si pone in linea con l'art. 362, comma 1, perché postula che siano ricorribili solo le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti limitatamente ai motivi attinenti alla giurisdizione, al fine di verificare che l'organo speciale sia rimasto nell'ambito del proprio potere giurisdizionale.

La conversione del ricorso per conflitto di giurisdizione

Come ricordato, presupposto affinché possa correttamente incardinarsi un procedimento ai sensi della previsione dell'art. 362, comma 2 c.p.c. è l'esistenza di due pronunce che abbiano statuito, implicitamente o meno, sulla giurisdizione in maniera contrastante. Può capitare, tuttavia, che venga presentato un ricorso per conflitto di giurisdizione nel caso in cui una delle due decisioni rivesta la forma dell'ordinanza e che il relativo procedimento sia ancora pendente.

In tali ipotesi è possibile effettuare una conversione in ricorso ex art. 41 c.p.c. per regolamento preventivo di giurisdizione, purché nel secondo procedimento non sia stata emessa una pronuncia di merito e non sia intervenuta una pronuncia sulla giurisdizione passata in giudicato.

Anche il regolamento preventivo ex art. 41, ritenuto inammissibile, potrà essere convertito in una denuncia di conflitto di giurisdizione ai sensi dell'art. 362, comma 2, c.p.c. ove ne abbia i requisiti formali e sostanziali, come ad esempio nel caso in cui il giudice amministrativo e quello civile abbiano declinato la propria giurisdizione con decreto (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 novembre 2002, n. 16430).

Casistica

CASISTICA

Termine per sollevare il conflitto

È inammissibile il conflitto negativo di giurisdizione sollevato d'ufficio dal Consiglio di Stato oltre il termine stabilito dall'art. 59, comma 3, l. 18 giugno 2009, n. 69 ossia successivamente alla prima udienza fissata per la trattazione del merito, dovendosi escludere che la scelta, da parte del giudice amministrativo in primo grado, di definire il procedimento con il rito camerale in luogo di quello ordinario sia idonea a determinare il superamento della barriera temporale stabilita dal legislatore, il cui scopo è quello di evitare che la questione di giurisdizione si trascini oltre la soglia di ingresso del giudizio, né assumendo rilievo un'eventuale richiesta degli appellanti, che non può influire, ampliandone i limiti, sull'esercizio di un potere officioso. (Nella specie, il TAR, dopo la declinatoria del Tribunale, aveva a sua volta declinato la giurisdizione con sentenza pronunciata in forma semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a., per cui, il Consiglio di Stato, a fronte di una sollecitazione degli appellanti, aveva ritenuto di poter sollevare conflitto di giurisdizione) (ex multis Cass. civ. Sez. Un., ord., 19 maggio 2014, n. 10922).

Conflitto reale e identità del petitum

Come più volte ribadito da questa Corte Suprema (ex plurimis Cass. Sez. Un. n. 1258/2000, n. 14/2000), presupposto indefettibile per la denunciabilità di un conflitto reale, positivo o negativo, di giurisdizione è la identità della lite cui si riferiscono le decisioni dei diversi giudici, affermativa ovvero declinatoria della giurisdizione, identità da valutare alla stregua del "petitum" sostanziale, cioè del titolo della pretesa. Nella specie, la domanda risarcitoria proposta in sede ordinaria ed ora pendente davanti al TAR non può obiettivamente ritenersi identica a quella originariamente proposta avanti allo stesso TAR unitamente alla richiesta di annullamento della revoca della concessione, giacché quest'ultima collegava la pretesa risarcitoria alla dedotta illegittimità della revoca, mentre la successiva domanda riguarda danni - peraltro più ampi nelle componenti e nel quantum - asseritamente derivati dalle modalità di gestione dell'iter procedimentale da parte dell'amministrazione comunale (Cass. civ., Sez. Un., ord., 23 marzo 2007, n. 7108).

Irrilevanza, per la denuncia del conflitto di giurisdizione, del passaggio in giudicato della sentenza

È principio consolidato, infatti, che nell'ipotesi in cui il giudice ordinario ed il giudice amministrativo abbiano entrambi negato, con sentenza, la propria giurisdizione sulla medesima controversia, si è in presenza, non di un conflitto virtuale di giurisdizione (risolvibile con istanza di regolamento preventivo di cui all'art. 41 c.p.c.), ma di un conflitto reale negativo di giurisdizione che, ai sensi dell'art. 362 c.p.c. , comma 2, n. 1, può essere denunciato alle Sezioni Unite della Suprema Corte - con atto soggetto agli stessi requisiti formali del ricorso per cassazione in ogni tempo e, quindi, indipendentemente dalla circostanza che una delle due pronunzie in contrasto sia o meno passata in giudicato (Cass.Sez. Un. 7 gennaio 2013 n. 150; Cass., Sez. Un. 20 giugno 2012 n. 10139; Cass. Sez. Un., 18 giugno 2008 n. 16540; Cass., Sez. Un., 20 giugno 2007, n. 14290; Cass. Sez. Un., 20 ottobre 2006 n. 22521). Per la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59 infatti, il passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la giurisdizione serve a vincolare le parti alla statuizione adottata ed a far salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda, come se fosse stata fin dall'inizio proposta davanti al giudice di cui è dichiarata la giurisdizione (comma 2). Il passaggio in giudicato non condiziona, invece, il potere del giudice dichiarato competente di sollevare di ufficio davanti alle Sezioni unite della Corte di cassazione la questione di giurisdizione (comma 3) (Cass. civ., Sez. Un., sent., 5 luglio 2013, n. 16883).

Natura non impugnatoria del procedimento per il conflitto di giurisdizione e notifica del ricorso introduttivo

Opera il principio per cui il ricorso per cassazione previsto dall'art. 302 c.p.c., primo comma, n. 1 - quale rimedio predisposto dalla legge per permettere che possa essere denunziato in ogni tempo e indipendentemente dal passaggio in giudicato delle sentenze in contrasto, il conflitto positivo o negativo di giurisdizione fra i giudici speciali o tra questi e i giudici ordinari - non rientra tra i mezzi di impugnazione in senso proprio, con la conseguenza che lo stesso, essendo del tutto svincolato dai processi ai quali le sentenze fanno riferimento ed essendo soggetto alle disposizioni sulle notificazioni in generale, deve essere notificato alla parte personalmente ed è inammissibile, per inesistenza (e non mera nullità) della notificazione, qualora questa sia stata effettuata al procuratore che in rappresentanza di tale parte si sia costituito nell'uno o nell'altro dei giudizi a conclusione dei quali si è verificato il conflitto (Cass. civ., Sez. Un., 14 novembre 2003, n. 17207)

Sulla conversione del ricorso

Il ricorso non è suscettibile di conversione in regolamento preventivo della giurisdizione, non essendo il regolamento proponibile dopo che il giudice di merito abbia emesso una sentenza, anche soltanto, come nel caso di specie, limitata alla giurisdizione, sentenza sottoposta perciò al rimedio dell'appello. Tale regola è rimasta ferma anche a seguito dell'entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, che ha disciplinato la translatio iudicii, risultandone anzi da quest'ultima rafforzata, sia perché le disposizioni sul regolamento preventivo di giurisdizione sono rimaste immutate in virtù del comma 3, ultima parte, del suddetto art. 59, sia perché, anche nel nuovo sistema processuale, in materia di giurisdizione il legislatore ha inteso conservare la natura non impugnatoria del rimedio del regolamento preventivo, la cui funzione continua ad essere proprio quella di prevenire decisioni impugnabili o possibili conflitti reali di giurisdizione, e, quindi, quella di soddisfare un'esigenza di rispetto della compresenza nell'ordinamento di ordini giudiziali distinti (Cass. civ., Sez. Un., Sent., 7 luglio 2010, n. 16040)

Non può procedersi alla conversione del ricorso per conflitto ex art. 362 c.p.c. , comma 2, n. 1, in ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione ex art. 362 c.p.c. , comma 1, sia perché in relazione a tale secondo rimedio è intervenuta decadenza (la decisione delle Sezioni riunite è stata pubblicata il 12 giugno 1997, mentre il ricorso per conflitto è stato notificato il 17 e 18 maggio 1999), sia perché la decisione delle Sezioni riunite della Corte dei conti, recante pronuncia di inammissibilità dell'appello per ragioni processuali, ed essendo quindi censurabile soltanto per error in iudicando, non può fornirne la materia (Cass. civ. Sez. Unite, 12/12/2000, n. 1258)

Un ricorso inammissibile quale istanza di regolamento preventivo è suscettibile di conversione in denuncia di conflitto di giurisdizione, ove ne presenti i presupposti ed i requisiti formali. Questa evenienza si verifica nel caso di specie, da un lato perché il ricorso risulta ritualmente notificato ad entrambi i soggetti destinatari, i quali, come organi centrali dell'amministrazione statale sono stati (e dovevano essere, a prescindere dalla loro posizione nei giudizi conclusi con i riferiti decreti) intimati personalmente presso l'Avvocatura generale dello Stato; dall'altro lato, perché tali decreti, divenuti inoppugnabili per difetto di opposizione, costituiscono altrettante decisioni declinatorie della potestas iudicandi, non più revocabili dai diversi giudici che le hanno pronunciate su di una identica domanda, e sono perciò idonee ad integrare gli estremi del conflitto reale negativo, denunciabile ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 362, secondo comma, n. 1, c.p.c. Vero è che il ricorso per denuncia di conflitto non è, di per sé, destinato alla trattazione col rito camerale, applicato nella specie, ma riservato, in ogni caso (a prescindere, cioè, della loro inammissibilità o manifesta fondatezza o infondatezza), soltanto all'esame dei regolamenti di giurisdizione, giusta l'espressa previsione dell'art. 375, primo comma n. 5) c.p.c. , nel testo introdotto dalla legge 24 marzo 2401, n. 89 (Cass. civ., Sez. Un., 21 novembre 2002, n. 16430)

Sul contenuto del ricorso ex art. 362, coMMA 2 c.p.c.

Va anzitutto disattesa la preliminare eccezione sollevata d'inammissibilità del ricorso, per mancata indicazione della norme di diritto che si assumono violate, considerato che l'impugnazione, proposta non per violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, bensì per motivi inerenti alla giurisdizione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e dell'art. 362 c.p.c., non avrebbe dovuto indicare necessariamente nella sua intestazione le norme violate o erroneamente applicate dal giudice speciale, essendo sufficiente la deduzione, nella parte motiva, dei principi, relativi al riparto della giurisdizione tra G.A e G.O. di cui si denunci malgoverno, indicazione che nella specie non manca, risultando anche corredata dal richiamo alle fonti normative statali, comunitarie e regionali, con indicazione degli articoli rilevanti, invocate a sostegno della propria tesi (Cass. civ., Sez. Un., Sent., 22 aprile 2013, n. 9690)

Conflitto di giurisdizione nel codice del processo amministrativo e regole procedurali

La lacuna di cui all'art. 59, comma 3, l. 18 giugno 2009, n. 69 che, nell'istituire l'istituto della proposizione d'ufficio del conflitto di giurisdizione non ha previsto le relative regole procedimentali, può essere colmata in via analogica con quelle indicate negli artt. 45 e 47 c.p.c. (Cass. civ., Sez. Un., ord., 30 settembre 2015, n. 19455)

La L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59, pur configurando l'istituto della proposizione d'ufficio del conflitto di giurisdizione, non prevede specifiche regole procedurali e tale lacuna è colmabile applicando in via analogica la disciplina del conflitto di competenza di cui all'art. 45 c.p.c. e seguenti. In particolare, l'art. 47 c.p.c. dispone la rimessione del fascicolo d'ufficio alla cancelleria della Corte di Cassazione con ordinanza che, se pronunciata fuori udienza, deve essere prima comunicata alle parti a cura del cancelliere del medesimo giudice ai fini della rituale instaurazione del contraddittorio (Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 24-02-2015, n. 3676)

La L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3, istituendo, nel quadro di una disciplina normativa della translatio iudicii conseguente a una pronuncia declinatoria della giurisdizione, l'istituto della proposizione d'ufficio del conflitto di giurisdizione, non ha dettato le regole procedurali relative. La lacuna è agevolmente colmabile facendo riferimento in via analogica alla disciplina del conflitto di competenza di cui all'art. 45 c.p.c.. Al riguardo rilevano l'art. 47, comma 4, secondo cui "il regolamento d'ufficio è richiesto con ordinanza dal giudice, il quale dispone la rimessione del fascicolo d'ufficio alla cancelleria della corte di cassazione", e, con riferimento specifico all'instaurazione del contraddittorio in cassazione, l'art. 47, comma 5, che recita: "Le parti, alle quali è notificato il ricorso o comunicata l'ordinanza del giudice, possono, nei venti giorni successivi, depositare nella cancelleria della corte scritture difensive e documenti". Si fa evidentemente riferimento sia al regolamento di competenza ad iniziativa di parte (proposto mediante notificazione del relativo ricorso) che al regolamento d'ufficio, richiesto con ordinanza dal giudice che solleva il conflitto (Cass. civ., Sez. Un., ord., 8 aprile 2011, n. 8036)

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