Conflitti di giurisdizione
19 Dicembre 2016
Inquadramento
L'esistenza di una pluralità di giurisdizioni statali è principio che comporta, implicitamente, la necessità, per chi intenda agire in giudizio, di procedere con l'individuazione del plesso fornito di giurisdizione. La giurisdizione costituisce una condizione di decidibilità della domanda che il giudice sarà a chiamato a scrutinare, al fine di verificare se sia proprio l'ordine giurisdizionale al quale appartiene (ad es. civile, amministrativo, tributario o contabile) quello al quale l'ordinamento riconosce il potere e il dovere di decidere la controversia oggetto della causa, avuto riguardo alle parti ed alla situazione giuridica dedotta in giudizio. Potrà darsi un difetto assoluto o relativo di giurisdizione a seconda che, rispettivamente, ci si trovi in un'ipotesi mancanza di tutela della situazione giuridica soggettiva, o, diversamente, nell'ipotesi in cui sia quello specifico giudice adito ad essere carente di giurisdizione, ma ve ne sia, comunque, uno competente a decidere, fra gli organi giurisdizionali dello Stato italiano. Si indica come difetto assoluto di giurisdizione anche la situazione in cui il giudice italiano sia sfornito di competenza internazionale, rispetto alla controversia per la quale sia stato adito. Tradizionalmente, il conflitto di giurisdizione si configura allorquando sia più di un giudice a declinare la propria competenza giurisdizionale – nel qual caso si parla di conflitto negativo - o, viceversa, ad affermarla – per cui si parla di conflitto positivo. Il conflitto potrebbe verificarsi tra giudici speciali (ad es. amministrativo e contabile), o tra giudici speciali e ordinari (ad es. tributario e civile). Il tratto caratteristico di queste ipotesi è che il conflitto sia reale, ossia risultante da due decisioni, rese da due giudici differenti, nelle quali si declini o si affermi l'esistenza della giurisdizione in capo al giudice adito. L'art. 59, l. n. 69/2009 ha virtualmente posto fine ai cd. conflitti negativi reali, attraverso il regolamento di giurisdizione di ufficio. Infatti, il giudice adito a seguito della riassunzione della causa per effetto della declinatoria di giurisdizione del primo giudice, nel caso ritenga di non avere giurisdizione, è tenuto a sollevare il regolamento di giurisdizione d'ufficio; residuano, tuttavia, alcune ipotesi, seppur limitate, nelle quali è configurabile un conflitto di giurisdizione. La norma appena citata ha tendenzialmente posto fine anche ai conflitti positivi, che si generavano sostanzialmente per la mancanza di una norma di raccordo tra i diversi plessi giurisdizionali. La previsione della translatio iudicii, con la conseguente salvezza degli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla proposizione della domanda davanti al giudice privo di giurisdizione, fa venir meno l'esigenza che spesso gli avvocati avvertivano di proporre la domanda davanti ai plessi dei quali avrebbe potuto essere riconosciuta la giurisdizione, al solo scopo di non incorrere in decadenze e prescrizione.
Il conflitto positivo e il conflitto negativo di giurisdizione
L'ipotesi di conflitto di giurisdizione, come accennato, postula che la tutela della medesima situazione soggettiva sia stata richiesta a più giudici contemporaneamente, e questi abbiano declinato la propria giurisdizione o, nell'ipotesi del conflitto positivo di giurisdizione, che più giudici abbiano affermato in una pronuncia, implicitamente o esplicitamente, la propria giurisdizione. A tale ultimo riguardo, si consideri che l'adozione di una decisione del giudice che non verta sulla giurisdizione implica, in ogni caso, non solo il riconoscimento di questa, ma anche un suo concreto esercizio. È necessario, dunque, che il conflitto sia reale e non meramente virtuale, il che impone che i giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi abbiano emesso una pronuncia, declinatoria o affermativa, in merito al proprio potere di decidere la controversia. Nel caso in cui, invece, non siano state rese due sentenze, vertenti sulla giurisdizione, ci si troverà dinanzi ad un conflitto c.d. virtuale di giurisdizione: lo strumento apprestato dal codice di rito, per risolvere tale diversa ipotesi, è il regolamento di giurisdizione. Il conflitto positivo di giurisdizione postula che un giudice speciale ed uno ordinario, o due giudici speciali abbiano emesso una sentenza, affermando la sussistenza della propria giurisdizione, in merito a domande connotate dal medesimo petitum sostanziale (si vedano a tal riguardo, Cass. civ., Sez. Un., 29 agosto 2008, n.21928, Cass. civ., Sez. Un., 23 marzo 2007, n. 7108, Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2000, n. 1258 e Cass. civ., Sez. Un., 10 agosto 1996, n. 7408). A fronte di un tale conflitto, saranno le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ad individuare quale tra i due giudici investiti sia effettivamente dotato di giurisdizione procedendo, altresì, alla caducazione della decisione resa dal giudice sprovvistone (in questo senso Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2000, n. 1258). Il conflitto di giurisdizione negativo comporta, invece, che a fronte della medesima domanda entrambi i giudici aditi, negando la propria giurisdizione, si siano spogliati della causa. Affinché possa darsi tale ipotesi è necessario che la giurisdizione sia declinata sia esplicitamente che implicitamente. Ad esempio, non ricorrerebbe un'ipotesi di conflitto negativo di giurisdizione nel caso in cui mentre il giudice amministrativo abbia declinato la propria giurisdizione, il giudice ordinario abbia adottato dei provvedimenti che, implicitamente, presuppongano in capo a sé l'esistenza della giurisdizione. Con l'entrata in vigore dell'art. 59, l. n. 69/2009, la disciplina dei conflitti di giurisdizione ha mutato, in maniera rilevante, la propria ragion d'essere. Uno dei principi ispiratori della riforma che ha introdotto la translatio iudicii, anche in materia di giurisdizione, è stato quello di garantire la continuità degli effetti della domanda una volta che questa venga riassunta, o riproposta secondo una parte della dottrina, innanzi al secondo giudice indicato come competente dal primo che abbia declinato, invece, la propria giurisdizione. Appare evidente come un tale risultato sarebbe del tutto frustrato, ove il secondo giudice potesse emettere una sentenza definitiva con la quale statuire solo in merito al proprio difetto di giurisdizione. In una tale prospettiva, proprio al fine di garantire quanto più possibile la piena continuità degli effetti della domanda, il legislatore ha previsto all'art. 59, comma 3, l. n. 69/2009 il regolamento di giurisdizione d'ufficio. Sulla base di tale norma, dunque, il giudice indicato dal primo come fornito di giurisdizione ha il dovere – nel caso si ritenga a suo volta sprovvisto della possibilità di decidere – di investire della questione direttamente, a mezzo di ordinanza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, affinché siano queste a statuire in merito a quale sia l'ordine giurisdizionale ad avere effettivamente giurisdizione nel caso di specie. Tale mezzo è impiegabile solo ove sulla questione non siano già intervenute le Sezioni Unite. L'incidenza di un tale strumento sui conflitti di giurisdizione è evidente. I conflitti negativi di giurisdizione sono destinati a scomparire: a fronte di una sentenza con la quale venga declinata la giurisdizione, la parte riassumerà il giudizio innanzi il giudice indicato come dotato di giurisdizione. Il secondo giudice adito in riassunzione non avrà più la possibilità di declinare la propria giurisdizione, ma dovrà solo, eventualmente, sollevare la questione innanzi le Sezioni Unite. Tuttavia, in concreto, alcune ipotesi potrebbero continuare a verificarsi, ove il giudice adito per secondo, manchi di ricorrere al regolamento d'ufficio, emettendo un'altra declinatoria. Considerato, infatti, come l'art. 59 non abbia coperto l'intero arco delle situazioni processuali provocate da una dichiarazione di difetto di giurisdizione (tanto da non avere determinato l'abrogazione dell'art. 362 c.p.c.), nel caso in cui il giudice adito all'esito di una pronuncia declinatoria della giurisdizione dichiari, a sua volta, il proprio difetto di giurisdizione, mancando di sottoporre la relativa questione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, resta ferma la possibilità di far valere, in ogni tempo, il conflitto reale negativo di giurisdizione ai sensi dell'art. 362, secondo comma, n. 1), c.p.c., a prescindere dalla circostanza che una delle due sentenze sia passata in giudicato (si vedano Cass. Civ., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16883, Cass. Civ., Sez. Un., 7 gennaio 2013, n. 150 e Cass. Civ., Sez. Un., 20 giugno 2012, n. 10139; nello stesso senso Cons. Stato, sez. VI, 11 dicembre 2013, n. 5953). Resterebbe, tuttavia, da appurare se attraverso il ricorso all'art. 362, n. 2 gli effetti legati alla predisposizione della domanda continuino a prodursi o, se in ragione della “denunciabilità in ogni tempo” del conflitto, si debba ritenere che tali effetti vengano meno. I conflitti positivi, invece, non sembrano destinati a permanere, anche se tuttavia, perché il sistema disegnato dalla richiamata riforma sembrerebbe aver fatto venire meno l'esigenza cautelativa di proporre la medesima domanda, innanzi a due diversi ordini giurisdizionali. Va, in ogni caso, precisato che a fronte del giudicato formatosi sul merito della prima pronuncia, il secondo giudice sarà tenuto ad uniformarsi non ponendosi più una questione di giurisdizione ma, eventualmente, solo di giudicato. Nel caso vengano proposte (più o meno) contestualmente due domande aventi ad oggetto il medesimo rapporto giuridico sostanziale davanti a due plessi giurisdizionali differenti, l'ordinamento (purtroppo) non ha previsto una norma simile all'art. 39 c.p.c. Secondo una certa impostazione, in questi casi, dovrebbe continuare ad applicarsi l'art. 362, comma 2, n. 1, c.p.c., mentre un'altra impostazione avvalora la tesi della sospensione per pregiudizialità, ex art. 295 c.p.c. L'art. 59, l. n. 69/2009 non fornisce le regole procedurali da impiegarsi al fine di sollevare, d'ufficio, il conflitto di giurisdizione, pur richiamandone l'istituto. A tal riguardo ha sopperito l'interpretazione giurisprudenziale, proponendo un'applicazione analogica dell'art. 45 e dell'art. 47, c.4. L'art. 11 c.p.a. è rubricato «Decisioni sulle questioni di giurisdizione». In particolare, al comma 3 è dato leggere che «Quando il giudizio è tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, può sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione». L'ipotesi, dunque, appare chiara: nel caso in cui altro giudice abbia declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo, quest'ultimo potrà sollevare d'ufficio il conflitto di giurisdizione. Tuttavia, l'impiego del conflitto di giurisdizione, in questa sede, non appare convincente. Come si è a avuto modo di chiarire, può darsi conflitto di giurisdizione, ex art. 362 c.p.c., in quanto vi siano due sentenze che statuiscano in tema di giurisdizione; nel caso di specie, invece, appare evidente come la sentenza sia una sola: quella con la quale l'altro giudice declina la giurisdizione affermandone la sussistenza in capo al giudice amministrativo. Lo strumento da prevedersi, dunque, nel caso di specie, sarebbe dovuto essere quello del regolamento di giurisdizione d'ufficio. Appare quanto mai discutibile, soprattutto nello spirito di quella comunicazione tra le giurisdizioni realizzata attraverso la l. n.69/2009 (giacché il riconoscimento della continuità degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta davanti al giudice incompetente si può collocare solo all'interno di un sistema unitariamente inteso), che la medesima situazione venga regolata in modi diversi, a seconda di quale sia il plesso giurisdizionale coinvolto per secondo. La necessità della introduzione ad opera dell'art. 11 c.p.a. di una norma analoga, ma non identica all'art. 59, l. n. 69/2009, è piuttosto dubbia. Il legislatore del 2009 aveva inteso lasciare fuori dal codice di rito civile quest'ultimo articolo, affinché fosse applicabile a tutte le giurisdizioni. Sulla scia del c.p.a., nel processo contabile è stato inserito l'art. 17, d. lgs. 174/2016, che regola, a sua volta, la decisione sulla giurisdizione del giudice contabile. La denuncia del conflitto di giurisdizione
La denuncia del conflitto di giurisdizione, può essere effettuata, in accordo con la previsione di cui all'art. 362, comma 2 c.p.c., attraverso un atto che soggiace agli stessi requisiti formali richiesti per un ordinario ricorso in Cassazione (Cass. civ., Sez.Un., 20 agosto 2010, n. 18811 e Cass. civ., Sez. Un., 9 marzo 2007, n. 5402). La denuncia può essere effettuata in ogni tempo e, dunque, a prescindere dal fatto che una o l'altra pronuncia siano passate, o meno, in giudicato. Tale aspetto conferma il fatto che il rimedio in oggetto non possa essere considerato un'impugnazione ma, invece, solo uno strumento di risoluzione del conflitto di giurisdizione. In questo senso, depone l'ulteriore circostanza che vengano sottoposte all'attenzione della Suprema Corte entrambe le sentenze rese dai giudici trovatisi in una situazione di conflitto. La peculiarità dell'oggetto di un tale procedimento fa sì che il contenuto dell'atto differisca da un normale ricorso per Cassazione. Ed infatti, nel caso di denuncia di conflitto ai sensi del disposto dell'art. 362, comma 2 c.p.c. non è necessario che la parte indichi specificamente le norme violate o erroneamente applicate dal giudice, ma è sufficiente la deduzione, nella motivazione, dell'errata applicazione dei principi relativi al riparto di giurisdizione (così, ex multis, Cass. civ., Sez. Un., 22 aprile 2013, n. 9690). La ragione di una tale differenza è da rinvenirsi proprio nella circostanza che il giudizio, qui in oggetto, non ha lo scopo di impugnare una sentenza, bensì, ha l'unica finalità di costituire il mezzo processuale con il quale richiedere alla Corte di legittimità la soluzione del conflitto verificatosi. Resta, tuttavia, ferma la natura del tipo di giudizio al quale la Suprema Corte viene chiamata e, pertanto, risultano applicabili le norme tipiche di quel procedimento, fra le quali, in primis, per il caso di pluralità di parti, l'art. 331 c.p.c.. La natura di giudizio svincolato dai gradi precedenti dei quali non costituisce, come chiarito, fase impugnatoria impone che, per il rispetto delle norme in materia di notificazioni, l'atto introduttivo venga notificato alla parte direttamente. Il relativo procedimento sarebbe, dunque, inammissibile, per inesistenza della notificazione, qualora il ricorso fosse stato notificato al procuratore della parte, costituitosi in uno dei giudizi nei quali sia sorto il conflitto (si veda, a tal riguardo, Cass. civ., 11.09.2008, n. 23384). Ove si ponga un problema di successione di leggi, la soluzione del conflitto di giurisdizione dovrà essere trovata applicando la legge in vigore al momento dell'avvio del primo procedimento, nel caso in cui la seconda iniziativa processale consista, di fatto, in una mera riproposizione della medesima domanda. Avuto riguardo all'ulteriore portata dell'art. 362 c.p.c., per quanto di interesse in questa sede, può evidenziarsi come la previsione del primo comma appaia implicitamente superata, seppur in parte, dal disposto dell'art. 111, comma7 Cost. e in parte dall'art. 111, comma 8, Cost. In base alla prima delle due norme, infatti, si ritiene che siano generalmente ricorribili in Cassazione le sentenze dei giudici speciali per ogni ipotesi di violazione di legge, stante la natura giurisdizionale delle stesse e non solo, dunque, per motivi attinenti alla giurisdizione. La seconda norma, invece, si pone in linea con l'art. 362, comma 1, perché postula che siano ricorribili solo le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti limitatamente ai motivi attinenti alla giurisdizione, al fine di verificare che l'organo speciale sia rimasto nell'ambito del proprio potere giurisdizionale. La conversione del ricorso per conflitto di giurisdizione
Come ricordato, presupposto affinché possa correttamente incardinarsi un procedimento ai sensi della previsione dell'art. 362, comma 2 c.p.c. è l'esistenza di due pronunce che abbiano statuito, implicitamente o meno, sulla giurisdizione in maniera contrastante. Può capitare, tuttavia, che venga presentato un ricorso per conflitto di giurisdizione nel caso in cui una delle due decisioni rivesta la forma dell'ordinanza e che il relativo procedimento sia ancora pendente. In tali ipotesi è possibile effettuare una conversione in ricorso ex art. 41 c.p.c. per regolamento preventivo di giurisdizione, purché nel secondo procedimento non sia stata emessa una pronuncia di merito e non sia intervenuta una pronuncia sulla giurisdizione passata in giudicato. Anche il regolamento preventivo ex art. 41, ritenuto inammissibile, potrà essere convertito in una denuncia di conflitto di giurisdizione ai sensi dell'art. 362, comma 2, c.p.c. ove ne abbia i requisiti formali e sostanziali, come ad esempio nel caso in cui il giudice amministrativo e quello civile abbiano declinato la propria giurisdizione con decreto (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 novembre 2002, n. 16430). Casistica
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