Controversie arbitrabili

Vito Amendolagine
22 Febbraio 2016

I principi generali in merito alle caratteristiche delle controversie che possono essere devolute ad arbitri sono enunciati dall'art. 806, comma 1, c.p.c.La clausola compromissoria, nell'ordinamento italiano permette la devoluzione a soggetti, in qualità di arbitri, delle possibili e/o eventuali controversie derivanti dal contratto nel quale essa è contenuta. E' quindi espressione di un riconoscimento democratico dell'autonomia privata, con la quale i contraenti, decidono di volere ricercare un'eterocomposizione delle eventuali liti che possano insorgere durante la fase dell'esecuzione del contratto, eventualmente dovute anche all'interpretazione dello stesso, rinunziando alla giurisdizione statale.
Inquadramento

I principi generali in merito alle caratteristiche delle controversie che possono essere devolute ad arbitri sono enunciati dall'art. 806, comma 1, c.p.c.

La clausola compromissoria, nell'ordinamento italiano permette la devoluzione a soggetti, in qualità di arbitri, delle possibili e/o eventuali controversie derivanti dal contratto nel quale essa è contenuta. E' quindi espressione di un riconoscimento democratico dell'autonomia privata, con la quale i contraenti, decidono di volere ricercare un'eterocomposizione delle eventuali liti che possano insorgere durante la fase dell'esecuzione del contratto, eventualmente dovute anche all'interpretazione dello stesso, rinunziando alla giurisdizione statale.

In base al testo dell'art. 806 c.p.c. - riformato dal d.lgs. n. 40/2006 - la disponibilità dell'oggetto della controversia assurge ad unico e sufficiente presupposto dell'arbitrato rituale.

Infatti le parti possono fare decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge, ragione per cui le categorie di controversie escluse dall'arbitrato sono essenzialmente due:

  1. le controversie che hanno per oggetto diritti indisponibili;
  2. ogni altra controversia che non possa essere devoluta agli arbitri in base ad un espresso divieto di legge.

La norma in analisi va infatti coordinata con il disposto di cui all'art. 1966 c.c., in base al quale non possono costituire oggetto di transazione i diritti indisponibili, ossia i diritti riconosciuti dalla legge ad un soggetto per soddisfare non solo un suo interesse, ma anche un interesse super-individuale.

Fanno parte della categoria dei diritti indisponibili i diritti personali, con la precisazione che la disponibilità va riferita al diritto azionato e non alle questioni che possono porsi nel percorso logico-giuridico della decisione, fatta eccezione per le questioni che per legge devono essere decise con autorità di giudicato. Sono invece controversie arbitrabili quelle in materia successoria o derivanti dal patto di famiglia, ed in materia societaria, atteso che trattasi di azioni a carattere patrimoniale, le controversie con la p.a. concernenti diritti soggettivi, devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, non rientranti nel divieto d'inserire clausole compromissorie in contratti della pubblica amministrazione aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi, introdotto dalla l. n. 244/2007, mentre in materia di lavoro, Le controversie di cui all'art. 409 c.p.c. possono essere decise da arbitri solo se previsto dalla legge o nei contratti od accordi collettivi di lavoro, riguardanti rapporti di lavoro subordinato, parasubordinato, ed i rapporti di lavoro di dipendenti di enti pubblici economici e, salvo diversa disposizione di legge, di altri dipendenti di enti pubblici.

Arbitrato ed autonomia privata

L'arbitrato, sia rituale sia irritale, costituisce espressione di autonomia negoziale e rinviene il suo fondamento nel potere delle parti di disporre dei diritti soggettivi rinunciando alla giurisdizione ed all'azione giudiziaria (Cass. civ., sez. I, 8 ottobre 2008, n. 24866).

Come è affermazione ricorrente, nella dottrina come nella giurisprudenza, la clausola compromissoria, nel diritto italiano, è una clausola che permette la devoluzione a soggetti, in qualità di arbitri, delle possibili e/o eventuali controversie derivanti dal contratto nel quale è contenuta. E' essa stessa espressione di un riconoscimento democratico dell'autonomia privata, con la quale i contraenti, decidono di voler ricercare un'eterocomposizione delle eventuali liti che possono insorgere durante la fase dell'esecuzione del contratto, eventualmente dovute anche all'interpretazione dello stesso, rinunziando alla giurisdizione statale. Va, però, osservato che per quanto la clausola compromissoria possa essere omnicomprensiva, cioè riferibile a tutte le controversie civili o commerciali, attinenti a diritti disponibili, che possono insorgere tra i soggetti parti del contratto cui quella clausola accede, tuttavia, può essere e va rapportata ad ogni singola controversia che può insorgere tra i soggetti interessati. Con la conseguenza, che la rinunzia a far valere la clausola compromissoria in occasione di una controversia insorta tra i contraenti non comporta di per sè una rinunzia definitiva e complessiva della clausola arbitrale e, cioè, una rinuncia anche in relazione ad ogni altra controversia che possa insorgere tra i contraenti diversa da quella per la quale entrambi le parti, o la parte interessata, hanno ritenuto di rinunziare (Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 2015, n. 3464).

Piuttosto, l'efficacia della rinunzia a far valere la clausola compromissoria è delimitata dalla specifica vicenda cui accede, lasciando, invece, che quella clausola sopravviva per ogni altra controversia, salva l'ipotesi in cui le parti rinunziano definitivamente alla clausola nel suo complesso, il che comporterebbe una modifica dell'assetto assiologico del contratto che potrebbe essere operata solo con il rispetto delle condizioni d forma e di sostanza di un patto risolutivo degli effetti del patto compromissorio.

Risponde a questo principio anche l'orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale è configurabile la rinuncia alla clausola compromissoria quando la parte abbia promosso nei confronti dei medesimi contraddittori un giudizio davanti al giudice ordinario avente identità, totale o parziale, di oggetto, perciò assimilabile, alla connessione di cause, di cui all'art. 40 c.p.c., (Cass. civ., sez. I, 15 luglio 2004, n. 13121). E, in applicazione di tale principio la stessa giurisprudenza di legittimità ha escluso l'identità anche solo parziale tra il procedimento monitorio proposto dalla parte locatrice per ottenere il pagamento dei canoni scaduti, avente quale causa petendi la validità e l'operatività del contratto di affitto di azienda stipulato con la controparte, ed il successivo giudizio arbitrale avente quale causa petendi la cessazione di detto contratto di affitto e quale petitum non più il pagamento di una somma di denaro, bensì il rilascio dei locali ceduti in affitto (Cass. civ., sez. I, 11 novembre 2011, n. 23651).

Arbitrato e controversie societarie

Il principio già enucleato in via interpretativa dalla giurisprudenza - secondo cui essere devolute ad arbitri solo le controversie aventi ad oggetto

diritti

disponibili

- è stato esplicitato dal legislatore nell'

art. 34 d.lgs. n.5/2003

.

L'art. 34 comma 1 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, stabilisce che le clausole compromissorie inserite negli statuti sociali possono prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra soci ovvero tra soci e società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, mentre l'art. 36 del medesimo d.lgs. n.5/2003 prevede la possibilità che il giudizio arbitrale abbia ad oggetto la validità di delibere assembleari, specificando che in tale caso, gli arbitri devono sempre decidere secondo diritto e che il lodo è sempre impugnabile per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia, a norma dell'art. 829 comma 2 c.p.c., a prescindere da ogni diversa previsione convenzionale.

Pertanto, ai fini di stabilire se una controversia relativa ad un'impugnativa di delibera assembleare possa essere o meno devoluta alla cognizione arbitrale è decisivo l'esame dell'oggetto della impugnativa e, quindi, se venga o meno in rilievo la violazione di diritti indisponibili.

Infatti i giudici di legittimità hanno ribadito il concetto d'indisponibilità dei diritti messo a punto prima della riforma del diritto societario, specificando, per un verso, che l'attributo della indisponibilità è esteso a tutte le situazioni sostanziali sottratte alla regolamentazione dell'autonomia privata, ovvero disciplinate da un regime legale che escluda qualsiasi potere di disposizione delle parti, nel senso che esse non possono derogarvi, rinunciarvi o comunque modificarlo e, per altro verso, che la circostanza che l'azione approntata dall'ordinamento per far valere la violazione del diritto che la norma inderogabile tutela sia soggetta ad un termine di decadenza non comporta l'automatica disponibilità del diritto medesimo e non è sufficiente a ritenere compromettibile in arbitri la lite.

Non a caso, la norma inderogabile è quella che i privati non possono disapplicare con un accordo, perché l'ordinamento, per la tutela d'interessi pubblici o per la protezione di una parte considerata debole, vuole che essa trovi sempre la sua concretizzazione, ossia nascano gli effetti giuridici conseguenti al verificarsi dei suoi presupposti, ma detti effetti, una volta nati, non sono necessariamente indisponibili.

Ciò spiega perché sebbene l'arbitrato non sia ammesso quando la lite ha ad oggetto diritti indisponibili, tuttavia ciò non esclude che esso, nel caso di disponibilità del diritto, sia comunque possibile ancorché nella lite rilevino norme inderogabili, che sottendono la tutela d'interessi sovraindividuali, la cui applicazione è salvaguardata dalla previsione della generale ammissibilità dell'impugnativa del lodo per violazione di dette norme (

Cass. civ., sez. I, 23 febbraio 2005, n. 3772, ove si afferma, in una controversia introdotta prima dell'entrata in vigore del d.lg. 17 gennaio 2003, n. 5, che l'area dell'indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte).

Il legislatore ha quindi stabilito chiaramente come ogni impugnativa di delibera assembleare possa essere decisa dagli arbitri, a prescindere dagli interessi in gioco e quindi dal tipo di norma che si assume essere stata violata, con il solo limite della necessità della decisione secundum ius e della sua sindacabilità di fronte al giudice statale, posto che l'art. 36 d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 non fa alcuna differenza tra le norme che vengono in considerazione.

Dunque anche il diritto di impugnare una delibera assembleare, indipendentemente dalla natura, derogabile o inderogabile, delle norme di cui si lamenta la violazione, costituisce indubbiamente un diritto disponibile, essendo pacifica la facoltà del socio di rinunziare agli atti ed all'azione anche dopo avere proposto l'impugnazione, e di potere transigere la relativa controversia.

Inoltre, in ordine agli artt. 34 e 36 del d.lgs. n. 5/2003, osservando fra l'altro che la previsione dell'art. 34, che limita l'arbitrato alle sole controversie che abbiano ad oggetto diritti disponibili al rapporto sociale, è rafforzata, anziché sminuita nella sua portata, dal disposto dell'art. 36 comma 1, il quale consente agli arbitri di conoscere solo incidentalmente di questioni non compromettibili ovvero riguardanti diritti indisponibili, rispetto alle quali il lodo non potrà mai acquistare autorità di giudicato (Cass. civ., sez. VI, 10 giugno 2014, n. 13031). Al riguardo, la disposizione che consente la devoluzione in arbitrato delle controversie concernenti la validità di delibere assembleari, ha un contenuto neutro, da riempiere di specifico significato a seconda dell'oggetto dell'impugnazione (Trib. Lucca, 22 gennaio 2015).

Se l'autonomia privata considera solo alcune delle controversie consentite dall'art. 34 d.lgs. n.5/2003 come oggetto di deferimento in arbitri non resta che concludere per la sussistenza di una scelta precisa, discrezionale e non sindacabile delle parti di non avvalersi della possibilità in questione, esercitata selettivamente (Trib. Torino, sez. I, 27 febbraio 2015).

Ciò premesso, non v'è alcuna argomento nè letterale nè, tantomeno, di natura sostanziale dal quale possa desumersi che il legislatore ha inteso escludere le controversie aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari ovvero proprio quelle tipicamente insorgenti fra la società ed i soci in relazione ai rapporti sociali dal novero di quelle arbitrabili, ai sensi dell'

art. 34, comma 1

d.lgs. n.5/2003

, qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili.

Al contrario, proprio perchè le

controversie

in questione rientrano indubitabilmente nel perimetro di applicazione dell'

art. 34 d.lgs. n. 5/2003, il legislatore ha ritenuto necessario in ragione della loro indubbia peculiarità, della necessità di una loro rapida risoluzione e della particolare natura degli interessi coinvolti, assoggettarle ad un'apposita disciplina, attribuendo agli arbitri cui spetta di deciderle, in deroga alla previsione generale, anche il potere - di natura cautelare - di sospendere la delibera impugnata e inoltre specificando, all'art. 36 del medesimo d.lgs. n. 5/2003, che la decisione ad esse relativa deve essere assunta secondo diritto anche nel caso in cui la clausola compromissoria disponga diversamente.

In tale ottica l'espressione «...ma se la clausola compromissoria consente la devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari», contenuta nell'art 35 del citato d.lgs. n.5/2003, vale dunque ad individuare l'unica ipotesi in cui ricorre una deroga alla regola generale dettata nel primo periodo della stessa norma citata, e non può essere interpretata come volta a stabilire che dette controversie possono essere devolute agli arbitri solo se espressamente menzionate nella clausola compromissoria (Cass. civ., sez. VI, 28 agosto 2015, n. 17283).

A ciò aggiungasi che gli artt. 34, 35 e 36 del d.lgs. n. 5/2003, che non dettano alcuna regola di interpretazione della clausola compromissoria societaria, non costituiscono lex specialis rispetto all'art. 808-quater c.p.c..

CONTROVERSIE ARBITRABILI: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

È escluso che tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola.

Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2014, n. 7501

Il legislatore ha previsto la possibilità di deferire agli arbitri ogni ipotesi d'impugnativa di delibere assembleari, laddove la linea di confine tra liti arbitrabili e non arbitrabili è ancorata alla distinzione tra diritti disponibili e diritti indisponibili.

Trib. Belluno, 8 maggio 2008, in Giur. merito, 2008, 2252

L'art. 34, comma 1, d.lgs. n. 5/2003 individua, quale unico limite alla devoluzione della cognizione agli arbitri, le controversie che vertano su diritti indisponibili mentre sono compromettibili in arbitri tutte le controversie, ivi comprese quelle di impugnazione di delibere assembleari, il cui diritto sottostante sia disponibile.

Pertanto, non rilevano la natura dell'interesse in gioco, individuale o generale, né il carattere, derogabile od inderogabile, della norma violata, poiché l'art. 36 d.lgs. n. 5/2003 non fa riferimento né all'uno né all'altro limite o criterio discretivo.

Trib. Venezia, sez. spec. Impresa, 8 gennaio 2015

L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una persona giuridica privata è compromettibile in arbitri, concernendo essa, pur se posta a tutela di un interesse collettivo, diritti patrimoniali disponibili all'interno di un rapporto contrattuale, senza coinvolgere interessi di terzi estranei, se non in modo eventuale ed indiretto, ferma l'inapplicabilità dell'art. 34 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, alla relativa clausola statutaria, trattandosi di disposizione dettata per l'arbitrato societario.

Cass. civ., sez. I, 19 febbraio 2014, n. 3887

La previsione, nella disciplina societaria, di una generale sanatoria delle nullità - eccettuate le delibere che modifichino l'oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, artt. 2379, primo comma e 2479-ter, terzo comma - impedisce di affermare che la materia sia di per sé indisponibile. Quindi, fermo restando il diritto dei terzi all'impugnativa, il socio può invocare l'applicazione della clausola compromissoria promuovendo il giudizio arbitrale per la nullità della delibera.

Trib. Milano, 10 maggio 2013

Casistica

CASISTICA

Arbitrato ed impugnativa delibera societaria

Va pienamente condivisa la decisione del tribunale che, dopo aver correttamente rilevato che l'impugnativa di una delibera societaria non è altro che una controversia tra socio e società, ne ha tratto la conclusione che le cause promosse per sentir annullare la delibera di aumento di capitale e per ottenere il risarcimento dei danni, in quanto relative a diritti disponibili, devono ritenersi comprese fra quelle - individuate non per tipologia, ma sulla base della considerazione soggettiva delle parti del giudizio - che lo statuto sociale può riservare alla competenza arbitrale (Cass. civ., sez. VI, 28 agosto 2015, n.17283).

Tutte le impugnative di delibere sono arbitrabili, ad eccezione di quelle affette dalle nullità più radicali, per le quali il legislatore ha previsto un potere di impugnazione senza limiti di tempo (Trib. Verona, sez. IV, 7 novembre 2006, in Giur. merito, 2008, 409).

Lavori pubblici e controversie arbitrabili

La discrezionalità di cui il legislatore gode nell'individuazione delle materie sottratte alla possibilità di compromesso incontra il solo limite della manifesta irragionevolezza. Pertanto, la scelta discrezionale del legislatore di subordinare a una preventiva e motivata autorizzazione amministrativa il deferimento ad arbitri delle controversie derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, non è manifestamente irragionevole, configurandosi come un mero limite all'autonomia contrattuale, la cui garanzia costituzionale non è incompatibile con la prefissione di limiti a tutela di interessi generali (Corte cost., 9 giugno 2015, n. 108).

Concorrenza e arbitrato

Le questioni in materia di concorrenza sia di diritto interno che comunitario sono arbitrabili, in quanto nessun particolare inconveniente può derivare dalla circostanza che un lodo estero non sia sindacabile per violazione di norme di diritto nel paese di provenienza, perché al giudice italiano dell'exequatur è sempre possibile verificarne la conformità all'ordine pubblico (App. Milano, 15 luglio 2006, in Riv. arbitrato, 2006, 744).

Azioni di mero accertamento, simulazione ed arbitrato

Le azioni di mero accertamento che richiedano l'interpretazione del contratto, nonché le domande di simulazione sono arbitrabili in quanto hanno per oggetto la effettiva volontà delle parti e si configurano con mera azione di accertamento. Non sono invece arbitrabili le azioni di annullamento essendo azioni di natura costitutiva il cui accertamento non ha a che vedere salvo ipotesi di simulazione con la interpretazione del contratto (Coll. Arbitrale Bologna, 3 marzo 2004, in Foro padano, 2005, I, 835).

Contratto di locazione ed arbitrato

La controversia riferita all'inadempimento di un contratto di locazione può essere deferita al collegio arbitrale (Trib. Firenze, sez. II, 25 maggio 2015).

Arbitrato, competenza, giurisdizione

Stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configura come questione di competenza, mentre stabilire se una controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, ed in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile configura, invece, una questione di giurisdizione (Cass. civ., sez. un.., 25 ottobre 2013, n. 24153).