Trasferimento in corso di causa del diritto controverso: litisconsorzio necessario tra parte originaria e successore nelle fasi di impugnazione

Sergio Matteini Chiari
14 Maggio 2016

Di regola, nelle fasi di impugnazione, il successore a titolo particolare nel diritto controverso e l'originario titolare dello stesso, che non sia stato estromesso, sono litisconsorti necessari. La regola può subire eccezioni; il contributo è dedicato all'esame della regola e delle eccezioni alla stessa.
Il quadro normativo

Secondo il disposto dell'art. 111 c.p.c., se nel corso del processo (in qualsiasi fase dello stesso),si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.Peraltro, il successore può intervenire volontariamente nel processo o esservi chiamato, senza che ciò comporti automaticamente l'estromissione dell'alienante o del dante causa, potendo questa essere disposta dal giudice solo se le altre parti vi consentano.

Ne consegue, di regola, che,nel giudizio di impugnazione, il successore intervenuto in causa (volontariamente o per chiamata) e l'originario titolare del diritto non estromesso sono litisconsorti necessari; conseguendone che,se la sentenza è appellata da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere, ordinata, anche d'ufficio, l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, a norma dell'art. 331 c.p.c., dovendosi, in mancanza, rilevare, anche d'ufficio, in sede di legittimità, il difetto di integrità del contraddittorio con rimessione della causa al giudice di merito per la eliminazione del vizio (v.Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1622Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4486; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n. 14509).

Tale regola può subire, tuttavia, eccezioni.

In sede di impugnazione, la situazione di litisconsorzio necessario fra parti originarie e terzo successore a titolo particolare di una di esse (il quale sia intervenuto in giudizio o sia stato ivi chiamato)non è automatica, dovendo aversi riguardo agli esiti della precedente fase del giudizio e alle posizioni assunte dai tre detti soggetti.

Si prospettano varie e differenti ipotesi.

Soccombenza del dante causa e del successore a titolo particolare

a) Qualora l'impugnazione venga proposta dal dante causa del diritto controverso, il regime del litisconsorzio ai fini dell'impugnazione è, di regola, quello di cui all'art. 331 c.p.c., così che al giudizio d'impugnazione devono partecipare sia le parti originarie sia il successore a titolo particolare (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2010, n. 4486; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535).

b) Qualora l'impugnazione venga invece proposta dal successore a titolo particolare con notificazione dell'impugnazione alla sola controparte del suo dante causa, per effetto dei comportamenti tenuti dalle parti nella gestione della fase d'impugnazione può prodursi o può ritenersi essersi prodotta l'estromissione del dante causa (in ordine all'ammissibilità dell'estromissione per tacito consenso delle altre parti, si vedano Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2005, n. 2707; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 2000, n. 6530).

Tale evenienza e la conseguente inapplicabilità del regime dell'art. 331 c.p.c. si deve considerare verificata, una volta tenuto conto che:

  • l'atteggiamento del successore che impugni la sentenza senza proporre l'impugnazione anche nei confronti del suo dante causa è inequivocabilmente espressivo di consenso all'estromissione;
  • l'atteggiamento del dante causa di mancato esercizio del diritto d'impugnazione nei confronti della sentenza, una volta decorso il termine d'impugnazione, è apprezzabile come comportamento univocamente implicante disinteresse per la gestione diretta delle sorti del processo e di indifferenza per la sua eventuale gestione da parte del successore a titolo particolare e, quindi, è significativo della manifestazione della volontà di volerne essere estromesso;
  • l'atteggiamento della controparte del dante causa, la quale riceva la notifica dell'impugnazione non coinvolgente (anche) il medesimo, si costituisca nel giudizio d'appello e si astenga dal manifestare la volontà di mantenimento del coinvolgimento del dante causa nel processo, non eccependo che il processo d'impugnazione deve svolgersi anche in confronto del medesimo e non rifiutando la prospettiva dello svolgimento solo nel contraddittorio del successore, si presta ad essere apprezzato come consenso all'uscita del dante causa dal processo e, quindi, all'estromissione (v., pressoché in termini, Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2005, n. 2707 e, nello stesso senso, Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 2014, n. 1633).

Ciò deve escludersi soltanto nel caso in cui la suddetta controparte rimanga contumace in appello (o non si costituisca in cassazione, laddove il problema si ponga in relazione a tale giudizio), poiché nel nostro ordinamento non possono desumersi dalla contumacia conseguenze a carico del contumace, in difetto d'espressa previsione e, dunque, la mancata costituzione non può essere considerata significativa di una volontà di consentire che il processo abbia corso senza coinvolgimento del dante causa, e, quindi, rivelatorio di consenso alla sua estromissione, con la conseguenza che risulta applicabile il regime dell'art. 331c.p.c.

Sulla base dei criteri sopra enunciati è stata ritenuta configurabile estromissione del cedente del credito in un giudizio di opposizione all'esecuzione, con impugnazione proposta dal solo cessionario del credito (Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2011, n. 3056; nello stesso senso, in un caso di impugnazione proposta dall'acquirente, Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2010, n. 12035).

In giurisprudenza non mancano voci contrarie all'ammissibilità dell'estromissione dell'alienante per tacito consenso delle altre parti.

È stato affermato in particolare che l'effetto dell'estromissione non si produce automaticamente in forza dell'intervento o della chiamata in causa dell'acquirente, producendosi tale effetto soltanto con il relativo provvedimento, adottato previo consenso delle altre parti (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1535; Cass. civ., sez. II, 24 agosto 2006, n. 18483; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15208).

Merita di essere segnalato il principio affermato da Cass. civ., sez. III, 7 aprile 2009, n. 8395.

Secondo tale pronuncia, qualora il cessionario del diritto controverso si sia costituito nel giudizio di appello ed in quello di legittimità (in tal caso proponendo ricorso avverso la sentenza che non aveva accolto la domanda), è da ritenere superflua, e va quindi evitata, al fine di garantire una maggiore celerità nella definizione del giudizio, la concessione di un termine per la notifica del ricorso per cassazione al cedente, ove quest'ultimo, pur non essendo stato estromesso dal giudizio di appello, non abbia a sua volta impugnato la decisione, e non sia stata proposta alcuna domanda nei suoi confronti.

Da ultimo, deve essere posto in evidenza che è costante in giurisprudenza l'affermazione secondo cui il diritto del successore a titolo particolare nel diritto controverso ad impugnare la sentenza pronunciata nei confronti del suo dante causa è subordinato all'allegazione ed alla dimostrazione del titolo da cui deriva la legittimazione processuale (Cass. civ., sez. II, 2 luglio 2013, n. 16556; Cass. civ., sez. III, 4 luglio 2006, n. 15264; Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 2002, n. 2889), venendo ritenuta a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell'intestazione dell'impugnazione, laddove il titolo sia di natura pubblica e di contenuto, quindi, accertabile ed esso sia rimasto incontestato (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2013, n. 17470).

Soccombenza della controparte, vittoria per dante causa e successore a titolo particolare

È prevalente in giurisprudenza l'orientamento secondo cui il giudizio di impugnazione instaurato avverso il successore a titolo particolare e svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso è valido anche quando quest'ultimo non vi partecipi, così dimostrando il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore; tali elementi, infatti, integrano i presupposti per l'estromissione dal giudizio del citato alienante, estromissione che, sebbene in assenza di un provvedimento formale, fa cessare la qualità di litisconsorte necessario della parte originaria (v. Cass. civ., sez. V, 27 marzo 2015, n. 6196, relativo ad appello proposto solo nei confronti di ufficio periferico dell'Agenzia delle Entrate, succeduta a titolo particolare al MEF nel diritto controverso; v., altresì, Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2010, n. 12035; Cass. civ., sez. V, 12 dicembre 2003, n. 19072; contra, invece, Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2005, n. 2707, secondo cui, pur in presenza dei suddetti comportamenti concludenti, l'estromissione può prodursi solo in forza di richiesta del dante causa, «che, evidentemente, può essere manifestata solo a seguito di costituzione nel giudizio, alla quale non è stato provocato attraverso la notifica dell'impugnazione»).

Soccombenza reciproca

Nell'ipotesi di soccombenza reciproca, si riproducono le ipotesi innanzi indicate, a seconda che l'iniziativa dell'impugnazione venga presa, rispettivamente, dal dante causa del successore a titolo particolare, da quest'ultimo o dalla controparte.

Guida all'approfondimento

DALFINO D., Successione nel processo, in Dig. civ., Torino 2009;

DALFINO D., Successione nel processo e nel diritto controverso, in Enc. giur., XV, Milano 2007;

MARENGO R., Successione nel processo, in Enc. Dir. XLIII, Milano, 1990

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