Azioni reali

Franco Petrolati
09 Giugno 2016

Le azioni di definiscono reali, o petitorie, in ragione della natura del diritto fatto valere, vale a dire la proprietà di un immobile o altro diritto reale relativo ad esso (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, servitù).
Inquadramento

Le azioni di definiscono reali – o petitorie - in ragione della natura del diritto fatto valere, vale a dire la proprietà di un immobile o altro diritto reale relativo ad esso (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, servitù); vi rientrano, quindi, le azioni tipiche a difesa della proprietà (rivendicazione:

art.

948 c.c.

; negatoria:

art.

949 c.c.

; regolamento di confini:

art.

950 c.c.

) e delle servitù (c.d. confessoria:

art.

1079 c.c.

).

Nell'ambito dell'azione negatoria, inoltre, sono state comprese anche quelle volte a reprimere la violazione delle distanze minime legali nelle costruzioni (

art. 872, comma 2, c.c.

).

Tali azioni si caratterizzano, quindi, per la natura assoluta del diritto dedotto e si distinguono da quelle di carattere personale, con le quali è fatto valere, invece, un diritto relativo, come nel caso del giudizio volto ad ottenere il rilascio di un immobile da parte del soggetto cui in precedenza sia stato consegnato in forza di un rapporto obbligatorio.

Nella prassi non è sempre agevole stabilire se l'attore agisce per la rilascio dell'immobile ponendo a fondamento della sua domanda la titolarità della proprietà ovvero l'invalidità o l'estinzione del rapporto obbligatorio in forza del quale il convenuto detiene l'immobile.

La distinzione spiega, in particolare, rilievo ai fini della configurazione dell'onere probatorio, atteggiandosi in termini più intensi per la dimostrazione della proprietà (c.d. probatio diabolica) e, frequentemente, anche ai fini della individuazione del rito da osservare, in quanto, ove il titolo originario di godimento sia costituito da un contratto di locazione o di comodato di un immobile urbano, trova applicazione il processo locatizio ai sensi dell'

art.

447

-

bis

c.p.c.

.

Diritti autodeterminati

La proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono, secondo la configurazione invalsa nella giurisprudenza, alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto – rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto - e non per il titolo che ne è la fonte, la cui eventuale deduzione non assolve ad una funzione di specificazione della domanda o dell'eccezione, ma è necessaria ai soli fini della prova.

Tale configurazione spiega rilevanti riflessi sul piano processuale.

L'attore, infatti, può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni

(artt. 183,

189

e

345 c

.p.c.

) e negli oneri (

art. 292 c

.p.c.

) della modificazione della «causa petendi», né viene a concretarsi una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice accoglie il «petitum» sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato (

Cass. civ.

,

sez.

II,

17 novembre 2014, n. 24400

;

Cass. civ.

,

sez. II,

24 novembre 2010 n. 23851

;

Cass. civ.

,

sez. II,

24 maggio 2010, n. 12607

;

Cass. civ.

,

sez. II,

21 novembre 2006, n. 24702

); viene così ritenuto compatibile con il divieto di «ius novorum» in appello la deduzione, da parte del convenuto dell'acquisto per usucapione, ordinaria o abbreviata, della proprietà dell'area rivendicata da controparte qualora già in primo grado egli abbia eccepito ad altro titolo la proprietà dell'area medesima (

Cass. civ.

,

sez. II,

8 gennaio 2015, n. 40

). Si esclude, altresì, che sia ravvisabile la nullità dell'atto di citazione per mancata indicazione del titolo in funzione del quale il bene immobile viene rivendicato (

Cass. civ.

,

sez. II,

17 luglio 2007, n. 15915

).

La possibilità di introdurre ulteriori causae petendi, tuttavia, è circoscritta al piano assertivo e non implica una deroga anche al sistema delle preclusioni probatorie: si afferma così che deve essere comunque osservata la disciplina sull'ammissibilità della prova in grado di appello, ai sensi dell'

art. 345 c

.p.c.

, che vieta l'ammissione di nuovi mezzi di prova, salva la valutazione, da parte del giudice, dell'esistenza delle condizioni per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella decadenza relativa alla formulazione delle necessarie istanze istruttorie (

Cass. civ.

,

sez. II,

23 dicembre 2010, n. 26009

); parimenti insuperabili sono i limiti imposti dalla struttura del giudizio di cassazione,

il quale non consente nuove o diverse indagini di fatto, neppure sulla base di elementi già presenti in atti (

Cass. civ.

,

sez. II,

10 maggio 2013, n. 11211

).

Rivendicazione
  • Generalità.

    È l'azione tipica esperita dal proprietario nei confronti di colui che possegga o detenga il bene senza titolo ed è volta, quindi, al recupero del bene stesso attraverso una pronuncia di condanna alla consegna od al rilascio. Il fondamento dell'azione (causa petendi) è costituita, quindi, dalla lesione del diritto di proprietà, mentre l'oggetto (petitum) coincide con il recupero della res ovvero del suo equivalente in denaro.

Il rimedio non è suscettibile di prescrizione estintiva; può essere, tuttavia, vanificato dalla eventuale maturazione dell'usucapione da parte di altri (

art. 948, comma 3, c.c.

).

La difesa svolta dal convenuto in rivendicazione non è, tuttavia, priva di rilievo, dovendo, in particolare, il giudice tener conto delle eventuali ammissioni formulate da colui che non contesti la sussistenza del titolo azionato, al fine di trarne eventuali elementi presuntivi a favore dell'attore (

Cass. civ.

, sez. II, 18 settembre 2014, n. 19653

); l'onere della c.d. probatio diabolica si attenua, in particolare, quando il convenuto si difenda opponendo un titolo di acquisto, come l'usucapione, che non sia incompatibile con l'originaria appartenenza del bene rivendicato ai danti causa dell'attore: in tali casi, infatti, l'onere della prova può ritenersi assolto, in difetto di prova della eccepita usucapione, con la dimostrazione della validità del titolo di acquisto da parte del rivendicante e dell'appartenenza del bene ai rispettivi danti causa in epoca anteriore a quella in cui il convenuto ha assunto di avere iniziato a possedere (

Cass. civ.

,

sez. II,

23 luglio 2015, n. 15539

;

Cass. civ.

,

sez. II,

19 marzo 2013, n. 6824

;

Cass. civ.

,

sez. II,

17 aprile 2009, n. 9303

); in generale, poi, l'onere dimostrativo a carico del rivendicante risulta attenuato in tutti i casi nei quali il convenuto non contesti l'originaria appartenenza del bene ad un comune dante causa, potendo così l'attore limitarsi a dimostrare la validità del rispettivo titolo derivativo (

Cass. civ.

,

sez. II,

5 novembre 2010, n. 22598

;

Cass. civ.

,

sez. II,

12 marzo 2008, n. 6521

).

Secondo un orientamento della Cassazione, tuttavia non univoco, laddove il rivendicante sia già nel possesso del bene e miri al solo accertamento della proprietà, è sufficiente la dimostrazione del titolo di acquisto, in quanto la tutela è circoscritta all'eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l'attore è già investito (

Cass. civ.

,

sez. II,

14 aprile 2005, n. 7777

). Nondimeno si ritiene che se il possesso sia stato acquistato con violenza o clandestinità o, comunque, sussista uno stato di obiettiva e seria incertezza sulla legittimità della situazione di fatto, deve essere compiutamente assolto l'onere probatorio proprio della rivendicazione in quanto non può operare la presunzione di legittimità del possesso attuale (

Cass. civ.

,

sez. II,

30 dicembre 2011, n. 30606

).

  • Beni mobili

    . Non si esige la c.d. probatio diabolica. È sufficiente che colui che abbia il possesso del bene dimostri di averlo acquistato in buona fede, in forza di un titolo obiettivamente idoneo a realizzare il trasferimento della proprietà (o del diritto di usufrutto, di uso o di pegno), nonostante l'alienante non fosse a sua volta proprietario del bene medesimo: la proprietà si acquista, infatti, in virtù dell'acquisizione del mero possesso o, come si tramanda, il possesso vale titolo

    (artt. 1153 e ss., c.c.

    ).

Tale regola agevolativa della circolazione non trova applicazione per i beni mobili iscritti in pubblici registri (salvo che per il periodo anteriore alla registrazione:

Cass. civ.

, s

e

z. II,

25 luglio 2011 n. 16235

) e per le aziende (

Cass. civ.

,

sez. II,

26 settembre 2007, n. 20191

).

La buona fede si presume in colui che abbia acquisito il possesso (

art.

1147 c.c.

); per contrastare tale presunzione, inoltre, la giurisprudenza esige che siano forniti elementi idonei alla formulazione non del mero sospetto di una situazione di illegittimo possesso, ma di un dubbio derivante da circostanze serie, concrete e non ipotetiche (

Cass. civ.

,

sez. II,

16 dicembre 2009, n. 26400

).

  • Azione di rilascio.

    Il recupero del possesso dell'immobile può essere chiesto in virtù di un'azione di rivendicazione oppure di un'azione personale fondata sulla invalidità o sull'esaurimento – per risoluzione, recesso, scadenza del termine ecc. – del contratto con cui si è originariamente trasferito il godimento del bene. Pur potendo, infatti, coincidere il petitum, il fondamento della domanda (causa petendi) è costituito nell'un caso dalla proprietà e, nell'altro, dal diritto di credito relativo al rilascio, con tutto quel che consegue in ordine, in particolare, all'onere della prova a carico dell'attore oltre che al rito eventualmente da osservare ratione materiae in ragione del rapporto contrattuale in questione (come nel caso della locazione e del comodato di immobili urbani: art. 447-bis c.p.c.).

La giurisprudenza non ha sempre adottato soluzioni univoche al problema della qualificazione della domanda di rilascio.

In primo luogo si è divisa, nel caso di un'azione personale di rilascio per occupazione abusiva, sulle conseguenze derivanti dalle eccezioni o domande riconvenzionali di natura petitoria spiegate dal convenuto, che opponga, cioè, di essere proprietario del bene: tali difese sono state, infatti, secondo un orientamento ritenute idonee a mutare la natura della controversia anche per quanto concerne la domanda principale originaria, nel senso di far gravare sull'attore l'onere di dimostrare a sua volta la proprietà (

Cass. civ.

,

sez. II,

19 maggio 2006, n. 11114

), mentre secondo altro indirizzo le controdeduzioni di carattere petitorio formulate dal convenuto sono state considerate insuscettibili di incidere sulla natura personale dell'azione originaria di rilascio (

Cass. civ.

,

sez.

VI

-

II,

17 gennaio 2011, n. 884

).

Il contrasto nomofilattico è stato composto dalle Sezioni Unite conferendo continuità all'indirizzo da ultimo accennato (

Cass. civ.

, sez

.

U

.

, 28 marzo 2014, n. 7305

): si è argomentato, infatti, che tale indirizzo è coerente con i basilari principi di disponibilità e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che riservano alle parti la formulazione delle loro richieste, la deduzione delle relative ragioni, l'allegazione dei fatti su cui esse si fondano, sicchè non può consentirsi che le difese svolte dalla controparte siano di per sé idonee a mutare l'originaria natura personale dell'azione esperita, così imponendo quella mutatio o emendatio libelli che per il medesimo attore è consentita solo entro i limiti fissati nell'

art.183 c.p.c.

.

Ulteriore questione, definita nella stessa

Cass. civ.

, sez

.

U

.

,

28 marzo 2014

n. 7305

, è quella relativa alla qualificazione dell'azione di rilascio, reale o personale, fondata sulla radicale insussistenza di qualsiasi titolo di godimento da parte del convenuto; il pregresso orientamento, favorevole alla configurazione di un'azione personale, suscettibile come tale di alleviare l'onere della prova a carico dell'attore (da ultimo,

Cass. civ.

,

sez. II,

24 luglio 2013, n. 17941

) non è stato condiviso, argomentandosi che l'azione personale è solo quella destinata a ottenere l'adempimento dell'obbligazione di ritrasferire una cosa che sia stata in precedenza volontariamente trasmessa dall'attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito ecc., i quali che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario; essa non può, quindi, surrogare l'azione di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna venga chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene in radicale assenza di ogni titolo; in tal caso, pertanto, la domanda è da ritenersi tipicamente reale.

  • Azione per l'equivalente.

    Legittimato passivo è colui che di fatto detenga o possegga il bene rivendicato e sia, quindi, in grado di restituirlo; non lo è, pertanto,

    il venditore il quale, avendo nel frattempo trasferito a terzi la detenzione del bene alienato al compratore, non ne abbia più la disponibilità (

    Cass. civ.

    ,

    sez. II,

    15 maggio 2007, n. 11110

    ).

In tutti i casi nei quali il bene sia venuto a mancare per distruzione, alienazione a terzi o per altra causa resta, tuttavia, è esperibile, qualora ne ricorrano gli estremi, l'azione personale di risarcimento dei danni diretta ad ottenerne il valore pecuniario (

Cass. civ.

,

sez. II,

18 aprile 2001, n. 5702

;

Cass. civ.

,

sez. II,

4 febbraio 1992, n. 1207

).

Negatoria

L'azione è volta ad affermare l'inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul proprio bene. Può assumere un carattere meramente dichiarativo se mira a fronteggiare mere pretese vantate da altri oppure assolvere una funzione anche inibitoria e ripristinatoria se è diretta a far cessare condotte (turbative o molesite) e ad eliminare opere lesive della rispettiva proprietà.

Costituisce actio negatoria servitutis infatti non solo la domanda diretta all'accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù, ma anche quella volta alla eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà realizzate dal medesimo, sì da ottenere la effettiva libertà del fondo ed impedire che il potere di fatto del terzo, corrispondente all'esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l'acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui (

Cass. civ.

,

sez. II,

29 dicembre 2014, n. 27405

;

Cass. civ.

,

sez. II,

5 agosto 2005, n. 16495

;

Cass. civ.

,

sez. II,

27 dicembre 2004, n. 24028

).

La diversa funzione che può assolvere l'azione spiega taluni riflessi anche sulla delimitazione del contraddittorio: nel caso, infatti, si richieda non solo l'accertamento negativo del preteso ius in re alinea e la cessazione delle condotte abusive ma anche il mutamento dello stato di fatto dei luoghi, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni, in tal senso incidendo su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, devono partecipare al giudizio tutti gli eventuali comproprietari delle opere in contestazione (

Cass. civ.

,

sez. II,

18 dicembre 2007, n. 26653

;

Cass. civ.

,

sez. II,

7 giugno 2002, n. 8261

).

Venendo in questione un rimedio di natura reale, si richiede che le turbative si sostanzino in una pretesa di un diritto reale sulla cosa (

Cass. civ.

,

sez. II,

22 giugno 2011, n. 13710

;

Cass. civ.

,

sez. II,

11 febbraio 2009, n. 3389

); lesioni poste in essere in via di fatto, non costituenti manifestazione di uno ius in re aliena, sono, invece, fronteggiabili con rimedi di carattere possessorio oppure di natura personale, i quali consentono parimenti la reintegrazione anche in forma specifica (

Cass. civ.

,

sez. II,

17 gennaio 2011, n. 884

).

Non si esige dall'attore la prova rigorosa della proprietà, la quale costituisce mero requisito di legittimazione – non l'oggetto principale della controversia – sicchè è ritenuta sufficiente la dimostrazione con qualsiasi mezzo, anche in via presuntiva, di possedere il fondo in virtù di un valido titolo, mentre incombe sul convenuto la prova del diritto reale di cui la molestia è manifestazione (

Cass. civ.

,

sez. II,

15 ottobre 2014, n. 21851

;

Cass. civ.

, sez. II,

23 gennaio 2007, n. 1407

).

Distanze nelle costruzioni

La giurisprudenza ha configurato come “azione negatoria” anche la domanda diretta a sanzionare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino mediante l'arretramento della sua costruzione, in quanto volta a salvaguardare il diritto di proprietà dell'attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne l'esercizio attuale, oltre che il suo acquisto per usucapione. Di qui il riconoscimento della natura reale dell'azione ex

art. 872, comma 2, c

.

c

.

e la trascrivibilità dell'atto introduttivo nei registri immobiliari ai sensi dell'art. 2643 n. 1 e n. 5 (

Cass. civ.

,

sez. II,

15 maggio 2015, n. 10005

;

Cass. civ.

, sez

. un

.

, 12 giugno 2006, n. 13523

).

Regolamento di confini

L'azione mira alla definizione dell'estensione di fondi contigui appartenenti a proprietari diversi: presuppone, quindi, una situazione di incertezza obiettiva per l'assenza di demarcazione visibile o soggettiva in ragione delle contestazioni sorte sulla esattezza del confine di fatto (

Cass. civ.

,

sez. II,

22 dicembre 2011, n. 28349

;

Cass. civ.

,

sez. II,

10 giugno 2010, n. 13986

;

Cass. civ.

,

sez. II,

8 agosto 2003, n. 11942

).

È considerata implicita nella domanda principale anche la richiesta di rilascio della porzione indebitamente occupata dalla controparte; essa, pertanto, può essere resa esplicita anche all'udienza di precisazione delle conclusioni (

Cass. civ.

,

sez. II,

22 febbraio 2011, n. 4288

).

Nonostante il possibile effetto recuperatorio della porzione abusivamente detenuta, il regolamento di confini mantiene un ambito di applicazione del tutto distinto da quello della rivendicazione: in questa, infatti, il conflitto si impernia sui titoli di acquisto, in quanto ciascuna parte sostiene la prevalenza del proprio titolo sull'altro, mentre nell'azione ex

art. 950 c.c.

il conflitto verte sui fondi, in quanto si controverte sulla rispettiva estensione e sulla ubicazione del confine (

Cass. civ.

, n. 28349/2011

;

Cass. civ.

,

sez. II,

31 maggio 2006, n. 12891

).

Il rimedio del regolamento dei confini si distingue, altresì, da quello relativo all'apposizione di termini ai sensi dell'

art.

951 c.c.

, il quale ha carattere personale – non reale – e presuppone che il confine tra i fondi non sia oggetto di contestazione anche se materialmente incerto per l'assenza di idonei segni di demarcazione (

Cass. civ.

,

sez. II,

8 aprile 2011, n. 8100

;

Cass. civ.

,

sez. II,

27 marzo 1990, n. 2461

).

Confessoria

È l'azione volta ad affermare la sussistenza della servitù in favore del proprio fondo contro colui che ne contesti l'esistenza od il contenuto; può assumere, quindi, come la negatoria, carattere di mero accertamento oppure assolvere, altresì, funzioni inibitorie nei confronti di condotte pregiudizievoli di terzi (impedimenti e turbative) e ripristinatorie/risarcitorie a fronte delle lesioni già perpetrate allo ius in re aliena .

La diversa funzione che può assumere è rilevante anche sul piano dell'instaurazione del contraddittorio: se, infatti, si tratta soltanto di accertare la servitù ed inibire le condotte abusive di terzi non è necessaria la partecipazione al giudizio di tutti gli eventuali comproprietari del fondo servente, i quali, invece, deve essere tutti convenuti ove si chieda anche mutamento dello stato di fatto dei luoghi, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni, così incidendo su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti (

Cass. civ.

,

sez. II,

10 maggio 2004, n. 8843

;

Cass. civ.

,

sez. II,

7 giugno 2002, n. 8261

).

Il rimedio ha, comunque, carattere reale e, quindi, deve essere esperito nei confronti di coloro che abbiano un rapporto attuale con il fondo servente (proprietario, comproprietario, titolare di un diritto reale sul fondo o possessore suo nomine) mentre i meri autori materiali delle condotte od opere pregiudizievoli possono essere convenuti solo in quanto abbiano concorso alla perpetrazione dell'illecito, restando aperta la possibilità di agire autonomamente contro costoro con le azioni personali per il risarcimento del danno e la riduzione in pristino ex

artt. 2043

e

2058 c.c.

(

Cass. civ.

, sez. II,

22 gennaio 2014, n. 1332

;

Cass. civ.

,

sez. II,

18 settembre 2006, n. 20126

).

L'onere della prova a carico dell'attore si concentra, di regola, sulla dimostrazione della rivendicata servitù, in quanto si deve presumere libero da pesi e limitazioni il fondo che si pretende servente (

Cass. civ.

,

sez. II,

8 settembre 2014, n 18890

;

Cass. civ.

, sez. II,

1 luglio 2004, n. 12008

).

La proprietà del fondo dominante deve essere provata, invece, solo se contestata e, comunque, attenendo solo ad uno dei presupposti dell'azione, la legittimazione ad agire ,può essere integrata anche per presunzioni, in quanto non si esige il rigore probatorio che caratterizza la rivendicazione della proprietà (

Cass. civ.

,

sez. II,

18 novembre 2013, n. 25809

;

Cass. civ.

,

sez. II,

28

maggio

2013,

n. 13212

).

Casistica

CASISTICA

Natura personale o reale dell'azione di rilascio

In tema di azioni a difesa della proprietà, le difese di carattere petitorio opposte, in via di eccezione o con domande riconvenzionali, ad un'azione di rilascio o consegna non comportano - in ossequio al principio di disponibilità della domanda e di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato - una mutatio od emendatio libelli, ossia la trasformazione in reale della domanda proposta e mantenuta ferma dell'attore come personale per la restituzione del bene in precedenza volontariamente trasmesso al convenuto, né, in ogni caso, implicano che l'attore sia tenuto a soddisfare il correlato gravoso onere probatorio inerente le azioni reali (c.d. probatio diabolica), la cui prova, idonea a paralizzare la pretesa attorea, incombe solo sul convenuto in dipendenza delle proprie difese (

Cass. civ.

, sez

.

un

.

, 28 marzo 2014, n. 7305

)

Distanze minime delle costruzioni: azione negatoria

La domanda diretta a denunziare la violazione della distanza legale da parte del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l'arretramento della sua costruzione, tendendo a salvaguardare il diritto di proprietà dell'attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l'esercizio attuale, quanto il suo acquisto per usucapione, ha natura di actio negatoria servitutis; essa, pertanto, è soggetta a trascrizione ai sensi sia dell'

art. 2653, n. 1,

c.c.

che, essendo suscettibile di interpretazione estensiva, è applicabile anche alle domande dirette all'accertamento negativo dell'esistenza di diritti reali di godimento, sia del successivo n. 5, che dichiara trascrivibili le domande che interrompono il corso dell'usucapione su beni immobili (

Cass. civ.

,

sez

.

un

., 12 giugno 2006, n. 13523

Diritti reali come diritti autodeterminati: ius variandi

I diritti assoluti - reali o di status - si identificano in sé e non in base alla loro fonte, come accade per i diritti di obbligazione, sicché, l'attore può mutare il titolo in base al quale chiede la tutela del diritto assoluto senza incorrere nelle preclusioni

(artt. 183,

189

e

345

c.p.c.

) e negli oneri (

art. 292

c.p.c.

) della modificazione della causa petendi, né viene a concretarsi una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice accoglie il petitum sulla scorta di un titolo diverso da quello invocato. Infatti, la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei cosiddetti diritti autodeterminati, individuati, cioè, in base alla sola indicazione del loro contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l'oggetto, onde, nelle azioni a difesa di tali diritti, la causa petendi si identifica con il diritto stesso (diversamente da quanto avviene in quelle a difesa dei diritti di credito, nelle quali la causa petendi si immedesima con il titolo), mentre il titolo, necessario ai fini della prova di esso, non ha alcuna funzione di specificazione della domanda (

Cass. civ.

, sez. II, 21 novembre 2006, n. 24702

)

Natura personale o reale dell'azione di reintegrazione in forma specifica

La domanda diretta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà, non accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del diritto reale, esorbita dai limiti della negatoria servitutis e può assumere la veste di azione di reintegrazione in forma specifica di natura personale se è intesa al ristabilimento di un'attività esercitata sulla base del diritto di proprietà, in quanto l'azione si fonda sul diritto di credito conseguente alla lesione del diritto reale; in tal caso, la difesa del convenuto che pretenda di essere proprietario del bene in contestazione non è idonea a trasformare l'azione personale in reale, poiché la controversia va decisa con esclusivo riferimento alla pretesa dedotta, né la semplice contestazione da parte del convenuto può porre a carico dell'attore il più gravoso onere della prova dell'azione di rivendicazione (c.d. probatio diabolica) (

Cass. civ.

sez. VI

-

II

, 17 gennaio 2011, n. 884

)