Amministrazione di sostegno e intervento di terzi: la nomina è sempre necessaria?

Roberto Masoni
01 Aprile 2016

Non va nominato l'amministratore di sostegno a beneficio di persona disabile che sia in grado di esercitare con pienezza i propri diritti laddove la stessa fruisca del proficuo aiuto da parte di terze persone.
Massima

Non va nominato l'amministratore di sostegno a beneficio di persona disabile che sia in grado di esercitare con pienezza i propri diritti laddove la stessa fruisca del proficuo aiuto da parte di terze persone, posto che la nomina dell'amministratore di sostegno implica la privazione, seppur parziale, della capacità di agire.

Il caso

Una nuora propone ricorso al giudice tutelare di Vercelli per la nomina di un amministratore di sostegno in favore della propria suocera, novantaduenne affetta da deficit visivi e uditivi e da difficoltà di deambulazione ma esente da patologie psichiatriche di sorta, priva di deficit cognitivi e mnesici, dotata di buon orientamento spazio-temporale, lucida e priva di disturbi della coscienza. Il g.t., disposta la sua audizione e verificato non solo che la medesima non presentava deficit cognitivi di tale gravità da imporre la necessità di ricorso alla nomina di un amministratore di sostegno, rigettava il ricorso. In particolare, dopo aver operato una ricostruzione dell'istituto e delle sue finalità e dopo aver considerato che la beneficianda era soggetto “ astrattamente” suscettibile di protezione attraverso la nomina di un amministratore di sostegno, il g.t. rigettava la richiesta evidenziando che nella fattispecie la misura si rivelava in concreto “superflua e gravatoria” dal momento che si era in presenza di una rete protettiva tutelante assicurata dalla presenza di familiari coadiuvanti e di servizi sociali in grado di svolgere il ruolo istituzionale di supporto alla persona in condizione di bisogno.

La questione

In presenza di condizione personale astrattamente suscettibile di intervento di protezione ex art. 405 c.c. è sempre necessario procedere alla nomina di un amministratore di sostegno? La patologia da cui il beneficiario è affetto lo rende sempre bisognoso di misure di protezione per la gestione della vita quotidiana ovvero esistono ipotesi in cui dette limitazioni, ancorché esistenti, non incidono nella gestione e conduzione della vita quotidiana rendendo superfluo il ricorso a strumenti di protezione della persona?

Le soluzioni giuridiche

Per rispondere al quesito è indispensabile la verifica dell'inferenza causale della patologia sulla quotidianità della persona e sulla capacità di espletamento delle funzioni della vita quotidiana, a tenore di pacifica interpretazione.

Nella specie, il g.t. piemontese ha motivatamente escluso tale inferenza in presenza dell'intervento di “ausilio altrui”. In concreto tale aiuto da parte di terzi si concretava nell'intervento del servizio sociale di assistenza domiciliare quotidiana, “che aiuta la paziente nel disbrigo delle pratiche personali, nella cura della casa, quali lavori domestici”, nell'aiuto delle vicine di casa, nel meritorio interessamento della ricorrente (“delegata ad operazioni bancarie e postali”), come pure del suo legale (“con la cui assistenza è stata compiuta l'accettazione beneficiata della eredità del marito”) oltre che dallo stesso comportamento della beneficianda che si era mostrata incline e ben disposta ad avvalersi dell'altrui ausilio.

Per questa ragione il giudice tutelare vercellese ritiene che l'intervento di soggetti istituzionali e la piena accettazione dell'intervento ad opera della persona bisognosa, rende «superflua ed inutilmente gravatoria» la protezione istituzionale ex art. 405 c.c. allorché si sia in presenza di una rete familiare attenta alle esigenze della disabile e priva di conflittualità e di sospetti di approfittamento economico-patrimoniale.

La conclusione cui perviene la decisione evidenzia come la misura protettiva vada applicata nei limiti della stretta necessità, posto che la stessa determina quale effetto la limitazione, seppur parziale, della capacità di agire della persona; una limitazione giustificabile unicamente nei casi previsti dalla legge. Cosicché, in presenza di rete protettiva tutelante il disabile, la protezione istituzionale ex art. 405 c.c. non va attivata ed il ricorso respinto.

Il giudice tutelare fornisce pure un'interpretazione costituzionalmente orientata della materia.

In motivazione

Se è vero che lo Stato è tenuto a rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana con ciò accordando diritto (art. 3, comma 2, Cost.), è del pari vero che il medesimo Stato deve richiedere ai consociati l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), nell'ottica di garantire ausilio ai soggetti bisognosi, con interventi, appunto di “solidarietà”. E tali doveri sono posti, come è ovvio, in primo luogo a carico dei soggetti che - di fatto o in quanto a ciò normativamente tenuti - siano prossimi a chi, per qualsivoglia motivo, si trovi in situazione di bisogno: lo Stato, infatti, non può di certo prefiggersi l'obiettivo, del tutto irrealistico, che ogni suo singolo consociato abbia la "possibilità di provvedere ai propri interessi" del tutto autonomamente, e senza l'aiuto del prossimo. (…) L'ausilio altrui, preteso dalla Costituzione in ossequio al dovere di solidarietà sociale, si pone quindi alla stregua di una vera e propria "causa di esclusione" della impossibilità, per taluni consociati, di attendere ai propri interessi.

Non si vede pertanto il motivo per il quale altri individui, sol perché affetti da patologie, pur invalidanti, che inibiscano loro di provvedere autonomamente ai propri interessi, debbano necessariamente ed ineluttabilmente essere assistiti da un soggetto di nomina giudiziale, laddove siano concretamente in grado di esercitare con pienezza i loro diritti avvalendosi del proficuo aiuto da parte di terzi.

Osservazioni

La soluzione ermeneutica cui perviene il giudicato in rassegna non appare completamente innovativa nel panorama scientifico e giurisprudenziale, per quanto la stessa si segnali per esaustività e completezza del percorso motivazionale, oltre che per chiarezza degli enunciati, come pure per i risultati, condivisibili, cui perviene.

La decisione del Tribunale di Vercelli si pone sulla c.d. linea Carlesso, dal nome del g.t. del Tribunale di Trieste che, nell'immediatezza dell'entrata in vigore della neofita misura di protezione ex art. 404 c.c., in più di un'occasione e per primo (in giurisprudenza, Trib. Trieste 5 ottobre 2006, in Giur.it., 2007, 84, con nota perplessa di P. Cendon, Soprassedere all'amministrazione di sostegno ? Il problema è che siamo ormai scesi dagli alberi...; Trib. Trieste 23 maggio 2008, in www.personaedanno.it.; nonché, Trib. Modena 21 aprile 2008, est. Stanzani, ivi) ebbe ad inaugurare la linea del «non intervento» a favore del disabile, in presenza di rete familiare attenta, vigile e solerte, di cui il giudice abbia potuto saggiare tenuta ed efficacia.

La più autorevole dottrina in materia concorda sostanzialmente con la linea di non intervento, riferendosi in tali casi al requisito della sussidiarietà (o altrimenti detta della c.d. sussidiarietà rimediale). Per quanto inespresso, si opina che tale requisito sia desumibile dalla ratio legis (P. Cendon, Amministrazione di sostegno, a) profili generali, in Enc. Dir. Annali, VII, Milano, 2014, 23-24; R. Rossi, Amministrazione di sostegno: b) disciplina normativa, in Enc. Dir., Annali, Milano, 2014, VII, 32-33) richiamando la posizione assunta da P. Cendon (in P. Cedon, R. Rossi, Amministrazione di sostegno, Torino, 2009, 397-398) il quale scrive «qualora la rete familiare fosse hic et nunc ben tesa, all'erta, senza smagliature, con tutti gli allarmi accesi, attiva ventiquattrore al giorno, e qualora non fosse d'altronde il pericolo dell'innescarsi di conflitti significativi e di ribellioni imbarazzanti tra il disabile ed i suoi congiunti, orbene, la linea del “non facciamo niente”, il diritto lasciamolo da parte, andiamo avanti come prima del code Napoleon, potrebbe ancora aver il suo senso» (critico A. Farolfi, Amministrazione di sostegno, Milano, 2014, 56).

Premesso ciò, deve considerarsi la finalità della legge n. 6/2004 espressa nella disposizione normativa di esordio e consistente nel: «tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente».

Ebbene, in attuazione di questa augusta finalità, l'istituto dell'amministrazione di sostegno suppone un'interazione, oltre che un coinvolgimento, nelle rispettive aree di competenza istituzionale, di una pluralità di soggetti diversi, tutti chiamati ad operare teleologicamente ed in modo sincrono, sinergico e coordinato nell'ottica di garantire giuridica protezione al disabile in funzione di consentirgli l'espletamento degli atti della vita quotidiana, ritenuti idonei a garantire «il pieno sviluppo della persona umana» (ex art. 3, comma 2, Cost.).

Opportunamente, ci si è riferiti ad un intervento istituzionale diffuso e ad unaretedi soggetti diversi, che in quest'ottica sono tenuti a prestare continua collaborazione in funzione di protezione giuridica dell'infermo, laddove quest'ultimo, causa disabilità, necessiti di aiuto ed assistenza.

Nell'ottica delle linee tracciate dal disegno normativo, a questa rete partecipano una pluralità di protagonisti, dotati di co-legittimazione processuale: quali lo stesso interessato, i familiari, il p.m., i servizi sociali e sanitari.

Se è vero che la finalità di questo intervento “in rete” di una pluralità di soggetti, istituzionali e familiari, serve a garantire protezione giuridica completa e a tutto tondo a favore del disabile, far emergere situazioni di abbandono civilistico, oltre che garantire comunque un calibrato aiuto in suo favore, tuttavia, siffatto intervento appare doveroso nella misura in cui lo stesso risulti strettamente necessario, come ha opportunamente segnalato la pronunzia in esame. L'ombrello giuridico che può essere aperto a tutela del disabile, costituito dall'attivazione della protezione personalizzata ex art. 405 c.c., va aperto unicamente laddove questa sia l'unica risorsa che l'ordinamento giuridico nel caso di specie individua a tutela della persona.

Laddove sia in concreto ravvisabile una rete protettiva vicariante, familiare e/o istituzionale, in grado di surrogare, aiutare ed assistere e/o sostituire la persona nell'espletamento delle funzioni quotidiane, perché attivare la misura, legittimando l'intervento tribunalizio d'autorità ?

In tal caso difetta il presupposto normativo ex art. 404 c.c. costituito dall'incapacità gestionale della persona e perciò in diritto la misura non va disposta.

In altre parole, si ravvisa l'intervento di parenti e familiari che gestiscono gli affari del disabile (artt. 2028 - 2031 c.c.).

Si consideri che l'intervento d'autorità a tutela si rivela doveroso solo laddove lo stesso costituisca l'extrema ratio, ossia laddove difettino ulteriori strumenti di protezione meno invasivi e maggiormente performanti, quali appunto l'ausilio e l'intervento di terzi o familiari, come pure l'esistenza di una procura sostanziale ad operare (art. 1392 c.c.).

Come ha evidenziato il decreto del Tribunale di Vercelli, il divieto di intervento emerge già dalla Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell'esercizio del diritto (al rispetto della vita privata e familiare: n.d.a.) se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge necessaria per la protezione della salute e della morale e/o la protezione dei diritti e delle libertà altrui (art. 8, comma 2 CEDU). L'intervento sulla vita personale è ammesso unicamente laddove esso rappresenti l'extrema ratio.

A ciò aggiungasi che la nomina dell'amministratore di sostegno determina una limitazione più o meno ampia e duratura della capacità di agire della persona, dato che la stessa induce una forma di incapacità legale: «il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno» (art. 409, comma 1 c.c.).

Ebbene, la capacità di agire rappresenta un diritto civile fondamentale dell'uomo la cui titolarità permette l'esplicazione della personalità. La stessa è limitabile dall'ordinamento, in via eccezionale, unicamente in presenza di ben individuati requisiti normativi giustificanti tale intervento limitativo, nella specie indicati dal disposto affidato all'art. 404 c.c.. Detto ciò, conserva ancor'oggi piena validità l'insegnamento di uno dei padri della civilistica italiana del dopoguerra (A. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1950, V° ed., 64), il quale, oltre sessant'anni or sono, evidenziava che, nel nostro ordinamento, «la regola generale è la capacità», mentre «l'incapacità costituisce eccezione», cosicchè le disposizioni limitative in materia non sono estensibili per analogia (per la pacifica affermazione secondo cui la nomina dell'a.d.s. determina l'incapacità legale, C.M. Bianca, L'autonomia privata: strumenti di esplicazione e limiti, in La riforma dell'interdizione e dell'inabilitazione, a cura di S. Patti, Quaderni Familia, Milano, 2002, n. 1, 117 e ss.; G. Ferrando, Protezione dei soggetti deboli e misure di protezione, ivi, 125, in part., 140; G. Bonilini, Dell'amministrazione di sostegno, in Il codice civile commentario, a cura di P. Schlesinger, Milano, 2008, 338-341).

Gli istituti di protezione dei disabili costituiscono strumenti di garanzia dei diritti fondamentali della persona in grado di garantire il diritto di essere tutti (sani e disabili) eguali innanzi alla legge, rimuovendo le discriminazioni ascrivibili alla condizione personale di malattia che affligge l'individuo (art. 3, commi 1 e 2, Cost.). Tuttavia, tali istituti giuridici non devono trasformarsi, per una sorta di eterogenesi dei fini e secondo una prospettiva di esubero assistenzialistico, in strumenti di inutile ed ingiustificata mortificazione della persona umana, in grado di riprodurre quella discriminazione che, fino all'approvazione della l. n. 6/2004, giustificava il provvedimento di interdizione.

Infatti, come è stato autorevolmente sottolineato (C.M. Bianca, La protezione giuridica del sofferente psichico, in Riv. Dir. Civ., 1985, I, 25 e ss., e, oggi, in Realtà sociale ed effettività della norma, a cura di S. Patti, Milano, 2002, II, 649 e ss.), le limitazioni alla capacità di agire trovano giustificazione a livello costituzionale unicamente in ragione esclusiva di protezione del disabile e sono comminabili nella misura strettamente indispensabile.

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