Negoziazione assistita e figli non matrimoniali: un'occasione mancata?Fonte: Trib. Como , 13 gennaio 2016
01 Agosto 2016
Massima
L'accordo con il quale due genitori, non legati da vincolo di coniugio, regolamentano le condizioni di affidamento, mantenimento, collocamento ed esercizio del diritto di visita, non può essere stipulato mediante il procedimento di negoziazione assistita. Purtuttavia detto accordo – stipulato ai sensi dell'art. 2 d.l. n. 132/2014 - una volta depositato presso il Tribunale competente, alla luce del diniego del PM, può essere considerato alla stregua di un ricorso congiunto ex art. 337 bis c.c., con la conseguenza che il Tribunale deve convocare i genitori ai fini della ratifica delle conclusioni da loro condivise. Il caso
Tizio e Caia, genitori non sposati di Sempronia, redigono, con l'ausilio dei rispettivi difensori un accordo di negoziazione assistita avente ad oggetto la regolamentazione delle condizioni di affidamento, collocamento, diritto di visita e mantenimento della minore. Depositano il ricorso presso il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Como che, considerato che la negoziazione assistita in materia familiare è riservata espressamente, ex art. 6 d.l. n. 132/2014 convertito con modifiche in l. n. 162/2014, alle coppie sposate, dichiara il non luogo a provvedere. Il ricorso viene dunque depositato presso il Tribunale territorialmente competente.
La questione
La pronunzia in esame desta interesse sia per l'unicità della questione trattata - coppia non legata da vincolo matrimoniale che tenta di accedere alla negoziazione assistita - sia per la soluzione adottata con riferimento alla possibilità di “salvare” gli effetti sostanziali di un accordo stipulato mediante un procedimento a cui gli istanti non potevano, stante il dettato chiarissimo della norma, avere accesso. Le soluzioni giuridiche
La l. n. 162/2014 prevede che le parti, per evitare un giudizio, stipulino una convenzione di negoziazione assistita, impegnandosi a cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere la controversia tra di loro insorta, mediante l'assistenza di uno o più avvocati (art. 2). L'esperimento della negoziazione assistita è condizione di procedibilità per le domande di risarcimento del danno da circolazione di autoveicoli e per quelle di pagamento di somme inferiori a 50.000,00 euro (art. 3). La negoziazione assistita non deve mai avere ad oggetto “diritti indisponibili” o vertere in materia di lavoro (art.2). Per i procedimenti in materia familiare è previsto lo speciale procedimento di cui all' art. 6 della citata legge, che si differenzia principalmente da quello generale di cui all'art. 2, sotto tre profili: a) la presenza obbligatoria di almeno un avvocato per parte; b) l'intervento, altrettanto obbligatorio, del Procuratore della Repubblica, chiamato ad autorizzare l'accordo (in presenza di figli minorenni, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap, verificando che le condizioni dell'accordo corrispondano all'interesse di costoro) o ad apporvi il visto (in presenza di coppie senza figli) qualora non ravvisi irregolarità; c) una serie di incombenti ulteriori in capo agli avvocati (tentativo di conciliazione; evidenziazione della possibilità di rivolgersi alla mediazione familiare; avvertimento dell'importanza per i figli di trascorrere tempi adeguati con ciascuno dei genitori) La negoziazione assistita familiare, per espressa previsione legislativa però, può esperita solo per le separazioni, i divorzi e relative modifiche; alle coppie non legate da vincolo coniugale non è dato accesso né alla negoziazione assistita “particolare” di cui all'art. 6 l. n. 162/2014, né a quella “generale” di cui all'art. 2 l. n. 162/2014, vertendosi pacificamente in materia di diritti indisponibili (che non possono essere oggetto della procedura). Pur nella chiarezza del quadro normativo, i due genitori hanno chiesto al PM lariano di autorizzare l'accordo tra di loro raggiunto mediante negoziazione assistita; il Magistrato non ha potuto che dichiarare il non luogo a provvedere, considerato quanto sopra evidenziato (mancanza del vincolo di coniugio e indisponibilità dei diritti). L'accordo è stato allora depositato presso il Tribunale (non è dato però sapere, dalla lettura della motivazione del provvedimento in commento se il deposito è stato effettuato dal PM, ex art. 6 comma 2 l. n. 162/2014 oppure, più verosimilmente, ad opera delle parti). E il Tribunale di Como, coerentemente con l'impianto normativo attuale, ha ribadito l'inaccessibilità del procedimento degiurisdizionalizzato alle coppie non sposate sia ex art. 6 sia ex art. 2 cit. Così, infatti, in motivazione: «esso (l'accordo, nda) è stato raggiunto tramite lo strumento della negoziazione assistita, strumento il quale, però, nella materia familiare, è previsto espressamente ex art. 6 legge citata solo per le coppie coniugate» e «non è prevista la estensione di detto istituto ai fini della regolamentazione delle relazioni genitoriali per le coppie non coniugate»; inoltre, è «inapplicabile, la procedura di negoziazione assistita prevista in via generale dallo art. 2 d.l. 132/2014», giacché «incompatibile con i principi generali dello ordinamento, in presenza di figli minori, una regolamentazione di rapporti personali, destinata a produrre effetti assimilabili a quelli dei provvedimenti giudiziari, che prescinda dallo intervento della autorità giudiziaria». Ciò premesso, però, il Tribunale non si è limitato a respingere l'istanza depositata, ma ha “convertito” l'accordo in un ricorso congiunto ex art. 337 bis c.c. (rectius ex art. 316 c.c.), ancorché presumibilmente non ne avesse tutte le caratteristiche; e ciò, si suppone, in virtù del principio di salvezza degli atti processuali ed anche per ovviare ad eventuali errori procedurali, commessi dalle parti, che avrebbero impedito di approntare una tutela specifica ai minori cui la regolamentazione si riferisce. Osservazioni
Il d.l. n. 132/2014 – nella sua originale formulazione - prevedeva l'accesso alla negoziazione assistita (con l'assistenza anche di un solo avvocato comune) solo per le coppie senza figli minori, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap. In sede di conversione il Parlamento è intervenuto pesantemente sull'art. 6 del decreto, estendendone l'accesso anche alle coppie con prole, ma creando un modello di negoziazione assistita “misto” che sembrava contraddire le premesse cui l'istituto si ispirava (quello di “degiurisdizionalizzare il conflitto”) attraverso l'obbligo del ricorso all'Autorità giudiziaria (seppure nella persona del Procuratore della Repubblica in luogo del Presidente del Tribunale) per la verifica della regolarità delle condizioni oggetto dell'accordo. Un compromesso per salvare il principio di degiurisdizionalizzazione evitando un eccesso di privatizzazione degli accordi in materia familiare, soprattutto in presenza di figli minori (per la cui tutela sussiste un potere comunque officioso dell'Autorità giudiziaria, ordinaria o minorile, giudicante o requirente). Nella fretta – dovuta ai 60 giorni necessari alla conversione - è ”sfuggita” al Parlamento una realtà di non poco conto: le famiglie di fatto che, per effetto del combinato disposto degli artt. 2 e 6 della legge di conversione, sono rimaste, immotivamente, tagliate fuori. In questo quadro, la pronunzia in questione è ineccepibile ma rappresenta anche un'occasione sprecata (occasione probabilmente irripetibile, giacché sarà difficile che altri genitori, soprattutto se assistiti da avvocati, possano volontariamente commettere l'errore di utilizzare un procedimento pacificamente inaccessibile alle coppie non sposate) per sollevare l'eccezione di inconstituzionalità dell'art. 6 l. n. 162/2014 proprio nella parte in cui non prevede l'utilizzabilità di questo strumento, importantissimo, di soluzione alternativa delle controversie, per le coppie con figli minori, maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap, non legate tra di loro da vincolo di coniugio. E' infatti evidente che, nella sua attuale formulazione, l'art. 6 l. n. 162/2014 strida sia con il principio di ragionevolezza sia con quello di uguaglianza. Con riferimento al primo infatti, il trattamento discriminatorio tra coppie sposate e non, pare essere frutto più di una dimenticanza (vedi sopra) che di una scelta coerente con l'attuale impianto normativo; e ciò a maggior ragione alla luce della riforma della filiazione che, dal punto di vista sostanziale, ha introdotto l'unicità dello status di figlio (come eliminazione di ogni differenza terminologica in base all'origine, biologica o meno, di tale status) e, sotto il profilo processuale, ha concentrato in capo a unico Tribunale (ordinario o per i minorenni a seconda del tipo e del tempo dell'intervento) le controversie in materia di responsabilità genitoriale. L'attuale situazione peraltro pare essere in palese contrasto anche con la normativa sovranazionale, laddove la Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti da parte dei minori, auspica che «in caso di conflitto le famiglie cerchino di trovare un accordo prima di portare il caso davanti a un autorità giudiziaria» (preambolo) e prevede che gli stati firmatari «al fine di prevenire e di risolvere conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori davanti ad un'autorità giudiziaria [...] incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo idoneo a concludere un accordo […]» (art. 13). Con riferimento al secondo aspetto, invece, è indubbio che due situazioni identiche siano trattate in maniera ingiustificatamente differente tra di loro: le condizioni inerenti l'esercizio della responsabilità genitoriale (ivi comprese le questioni economiche) sono regolamentate, sotto il profilo sostanziale, nello stesso modo, indipendentemente dal fatto che i genitori siano o non siano legati da vincolo di coniugio, con la conseguenza che il negare (come allo stato non può che essere negato) alle coppie more uxorio l'accesso privilegiato alla procedura di negoziazione assistita costituisce un indubbio trattamento discriminatorio che deve essere eliminato o tramite un (insperato) intervento legislativo oppure attraverso quella pronunzia di incostituzionalità che il Tribunale di Como avrebbe potuto provocare. |