Il “perimetro” dell’ascolto tra regole astratte ed esigenze concrete

Laura Maria Cosmai
02 Aprile 2015

L'introduzione dell'istituto dell'ascolto del minore impone una riflessione sulla necessità di individuare le specifiche questioni su cui il fanciullo può e deve essere sentito. Se infatti è indubbio che debba essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano e che hanno ad oggetto suoi diritti, nondimeno appare necessario delimitare il perimetro entro il quale l'audizione del minore può e deve muoversi. Anche la modalità di svolgimento come oggi delineata dall'art. 336 bis c.c. e art. 38 disp. att. c.c. impone la necessità di verificare se sopravvivano nel sistema tipologie di audizione differenti da quella – primaria - dell'ascolto diretto da parte del giudice nonché sulla sorte dei protocolli utilizzati nelle varie sedi giudiziarie per l'ascolto del minore.
Oggetto

La molteplicità delle questioni che direttamente possono riguardare un minore, insieme con la diversità dei procedimenti in cui l'ascolto si rende necessario, induce a ritenere che l'audizione potrà avere un contenuto libero e variabile in relazione alle singole questioni sulle quali dovrà essere ascoltato.

Le linee guida che a livello nazionale e internazionale sono state elaborate in tema di ascolto dei minori nei procedimenti giudiziari, sono peraltro concordi nel fornire indicazioni chiare volte a precisare la necessità di evitare una reiterazione dello stesso e al contempo limitare l'oggetto dell'audizione alle questioni strettamente e direttamente rilevanti rispetto al provvedimento che dovrà essere assunto. Poiché scopo dell'ascolto è quello di acquisire al processo la volontà del minore rispetto alle decisioni invocate o contestate dai suoi genitori, è indubbio che il suo oggetto dovrà essere la specifica questione su cui è aperta la controversia: a seconda dei casi si potrà trattare di un oggetto molto ampio, come nelle ipotesi in cui l'audizione si innesti in un procedimento diretto a stabilire la soluzione di affidamento da ritenersi preferibile nell'interesse del minorenne oltre che al suo collocamento prevalente e alla modalità di esercizio del diritto di visita, ma potrebbe trattarsi anche di una questione limitata, come nel caso in cui il conflitto genitoriale afferisca alla scelta del percorso formativo ed educativo che il minore deve intraprendere.

Non dovranno invece formare oggetto dell'ascolto gli aspetti non controversi e quelli pacifici già acquisiti agli atti processuali: l'audizione deve, infatti, essere esclusa se manifestamente superflua.

Il minore dovrà peraltro essere ascoltato ogni qual volta sia necessario assumere dei provvedimenti, anche a carattere provvisorio come quelli resi con l'ordinanza presidenziale nei giudizi di separazione e divorzio, e sentito in ordine alla qualità della relazione con i suoi genitori, sui tempi che desidererebbe trascorrere con ciascuno di essi, sul genitore con il quale manifesta più serene abitudini di vita e che si occupa in via principale del suo accudimento primario, sul luogo ove ama vivere o che considera la propria casa, sulla sua volontà in relazione ad un prospettato trasferimento di residenza – in altra località italiana ma anche all'estero -, sulle sue aspirazioni scolastiche quando sia in discussione la scelta della scuola e i percorsi di formazione, sulle problematiche connesse al suo inserimento nella famiglia allargata che i genitori hanno creato, al rapporto con i fratelli/sorelle e all'importanza e significatività delle relazioni con essi.

L'audizione potrà anche avere un contenuto negativo: non è infrequente il rifiuto del minorenne ad esprimere il proprio parere su un determinato argomento, come pure il rifiuto stesso a partecipare all'audizione. Anche la mancata volontà di prendere posizione esprimendo il proprio giudizio su una questione rilevante rispetto ai suoi interessi costituisce elemento da valutare ai fini delle decisioni da assumere e ciò al pari della sua volontà, manifestata esplicitamente o implicitamente, di non essere ascoltato nel procedimento. Anche i comportamenti a contenuto negativo del minore, quali il rifiuto di rispondere alle domande che gli vengono rivolte o la mancata partecipazione all'audizione, costituiscono infatti argomenti utili e rilevanti che dovranno essere debitamente considerati nella fase della decisione. Tali comportamenti, allorché non univocamente e oggettivamente valutabili quale manifestazione della sua volontà potranno rendere necessari approfondimenti istruttori e processuali, quali ad esempio una CTU, diretta a valutare univocamente l'agire del minore e ciò tanto più allorché sia concreto il timore, desumibile dagli atti di causa ma anche aliunde, che egli sia oggetto di pressioni e strumentalizzazione dei genitori che non gli consentono di liberamente accedere al processo. L'aspetto del rifiuto all'ascolto risulta in ogni caso sintomatico o di un disagio che impone di essere approfondito con una valutazione specialistica oppure di una coartazione del minorenne nel conflitto stesso che, al pari, merita di essere indagata ed accertata potendo avere delle ripercussioni per quanto attiene la valutazione delle singole capacità genitoriali delle parti.

Modalità di svolgimento dell'ascolto: diretto, con ausiliario, delegato

Non si sottolinea mai abbastanza che i primi soggetti chiamati ad ascoltare il minore sono i suoi genitori. Una corretta gestione della responsabilità genitoriale non può infatti prescindere dal dovere di ascoltare i propri figli. Anche nel momento della crisi coniugale e della disgregazione della famiglia la salvaguardia delle relazioni tra genitore e figlio impone ai genitori di farsi per primi soggetti portatori nel giudizio delle istanze e delle esigenze del minore.

Conoscere la volontà dei figli e riportarne nel processo una ricostruzione genuina e scevra da strumentalizzazioni e proiezioni soggettivanti, potrebbe rendere superflua l'audizione stante la capacità dei genitori di trovare accordi e soluzioni che siano rispettosi del diritto del minore che il sistema si impone di realizzare (primo tra tutti la salvaguardia della genitorialità e il libero accesso per il minore alle figure di entrambi i genitori) e dei suoi desideri, univocamente riferiti dai genitori.

Purtroppo l'esercizio dell'ascolto nel momento della crisi coniugale è scarsamente praticato dai genitori i quali, preoccupati di ottenere la conferma processuale dei propri legittimi diritti e desideri, divengono poco inclini a prestare attenzione alle istanze profonde dei propri figli e inevitabilmente tendono a far coincidere le aspirazioni e i bisogni dei minori con le proprie istanze. Un siffatto meccanismo, peraltro, impone l'audizione del fanciullo da parte del giudice per consentirgli di “avere voce” nel processo prendendo posizione in relazione alle singole questioni controverse ed evidenziando la propria volontà.

Il soggetto a cui l'ordinamento ascrive il compito di procedere all'audizione del minore è quindi in prima persona il Giudice con tale espressione intendendosi l'autorità giudiziaria di volta in volta investita del relativo procedimento sia esso a natura contenziosa sia esso di volontaria giurisdizione. Sarà quindi il Presidente del Tribunale nel momento dell'adozione dei provvedimenti provvisori nei procedimenti per separazione giudiziale e per divorzio contenzioso, il Giudice istruttore nella fase istruttoria dei procedimenti contenziosi ed anche in tutte quelle ipotesi in cui venga richiesta ad esempio una modifica ex art. 709 comma 4 c.p.c., il Collegio - con possibilità di delega al giudice relatore - per i procedimenti camerali ex artt. 316, 337-ter c.c., per i procedimenti ex art. 710 c.p.c. ed ex art. 9 L. 1°dicembre 1970, n. 898 e successive modifiche (revisione delle condizioni di separazione e di divorzio) nei procedimenti ex art. 250 c.c., il Giudice Tutelare, il Giudice Minorile nei procedimenti ex artt. 330, 333 c.c..

In particolare va segnalato che la riforma, innovando il contenuto degli artt. 348, 371 c.c. ha espressamente previsto un dovere di ascolto del minorenne anche nei procedimenti di volontaria giurisdizione in particolare affidando al giudice tutelare il compito (art. 348 comma 3 c.c.) di procedere all'audizione del minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore ove capace di discernimento, prima di procedere alla nomina del tutore. Analogamente prima di decidere, su proposta del tutore, in ordine al luogo ove il minore deve risiedere, al suo avviamento agli studi o all'esercizio di un'arte, mestiere o professione (art. 371, comma 1, n. 1, c.c.) dovrà essere disposto l'ascolto del minore ultra dodicenne o anche di età inferiore sempre se capace di discernimento.

L'audizione del minore non costituisce un atto istruttorio tipico ed è un momento formale del procedimento, deputato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal fanciullo in merito alla vicenda in cui è coinvolto.

La struttura della riforma mostra un'evidente opzione in favore dell'audizione diretta da parte del giudice.

L'art. 336-bis c.c. prevede espressamente che l'ascolto sia condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari.

È evidente che la novella intende direttamente attribuire in prima persona all'autorità giudiziaria il compito di procedere all'ascolto: trattandosi però di assicurare le migliori condizioni sia perché esso venga svolto in condizioni di serenità per il minore sia con tecniche che escludano la perdita di genuinità della sua dichiarazione, l'audizione potrà essere motivatamente effettuata con l'ausilio di un esperto ovvero anche delegata direttamente ad un ausiliario del giudice.

È nota, la particolare resistenza dei giudici di merito a procedere all'audizione diretta del minore: la delicata fase dell'ascolto, la necessità di evitare fraintendimenti sulle risposte, domande suggestive o risposte condizionate, come pure l'esigenza di correttamente interpretare l'effettiva volontà del minore a fronte delle risposte che il medesimo verbalizzi, hanno da sempre costituito valide motivazioni per optare per forme di audizione delegate a professionisti, quali ad esempio gli operatori dei Servizi Sociali, il Consulente Tecnico d'Ufficio nell'ambito di un procedimento volto all'accertamento delle condizioni psichiche delle parti e del minore, di un esperto psicologo cui delegare espressamente l'ascolto anche indipendentemente da un accertamento psicodiagnostico.

Al contrario la nuova disciplina opera un ribaltamento di visuale prevedendo quale opzione primaria quella dell'audizione diretta da parte del giudice, ma affiancandola con modalità di conduzione dell'ascolto differenti.

Compete al giudice e rientra specificamente nella sua discrezionalità individuare la modalità con cui operare l'ascolto e quindi adottare quella che sia in concreto più idonea ad assicurare la salvaguardia del minore: potrà optare per una audizione diretta, eventualmente assistita da un esperto, ovvero delegarla ad esperti e ausiliari motivando succintamente le ragioni della scelta operata.

Peraltro, come già rilevato, pur in presenza delle nuove disposizioni di cui all'art. 336-bis c.c. e art. 38-bis disp. att. c.c. deve ritenersi che l'individuazione delle modalità siano affidate alla discrezionalità del giudice, il quale deve ispirarsi al principio secondo cui l'audizione stessa deve svolgersi in modo tale da garantire l'esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione (Cass. civ. 26 gennaio 2011, n. 1838): saranno quindi sempre possibili tipologie particolari di ascolto che si traducano in cautele atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti, compresa la facoltà di vietare l'interlocuzione con i genitori e/o con i difensori, nonché di sentire il minore da solo, o ancora quella di delegare l'audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato.

Come è stato infatti osservato anche da recenti arresti di legittimità e di merito (Cass civ., sez. I, 5 marzo 2014, n. 5097 e Trib. Milano, ord., 26 febbraio 2014) anche dopo il d. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 dove è previsto l'ascolto diretto del minore, resta ferma la facoltà per il giudice di provvedere in forma indiretta all'audizione posto che è l'interesse preminente del fanciullo ad orientare le forme processuali e ciò contrasta con una modalità rigida imposta ex lege. È quindi possibile delegare la fase dell'audizione ad un esperto sia conferendogli il mero incarico ad effettuare l'ascolto del minorenne, sia nell'ambito di una consulenza tecnica d'ufficio all'interno della quale sia specificatamente conferito mandato al consulente di procedere all'audizione, previa informazione al minore delle ragioni e degli effetti dell'ascolto, redigendo separato verbale che accolga le specifiche dichiarazioni rese dallo stesso.

Con diversa ordinanza (Trib. Milano, ord., 13 maggio 2014) si è peraltro osservato che l'art. 336-bis c.c., introdotto dal d. lgs. n. 154/2013, ha espressamente previsto che quando l'audizione venga delegata – audizione indiretta - è necessario che venga redatto processo verbale in cui si descrive il contegno del minore ovvero venga effettuata registrazione audio video e che tale verbale o audio video registrazione costituiscano a tutti gli effetti atti processuali da allegare alla relazione peritale trasmessa alle parti per le proprie osservazioni e poi depositati in cancelleria. Tale modalità di documentazione, sebbene prevista dal legislatore per un'esigenza di tutela e dimostrazione dei comportamenti anche non verbali del minore solo per l'ascolto in senso tecnico, può essere estesa anche ad eventuali altri colloqui che il CTU effettui in assenza dei CTP con il minorenne nel corso delle operazioni peritali.

Deve peraltro osservarsi che laddove il giudice non ritenga di procedere all'audizione diretta del minore e, per ragioni concrete del caso specifico, intenda delegarla ad un esperto o ad un ausiliario – ad esempio gli operatori dei servizi sociali - nondimeno tale delega dovrà essere espressa e anche i soggetti delegati saranno tenuti alla raccolta delle dichiarazioni del minore in un atto separato. In altri termini poiché l'ascolto del minore è atto specifico e autonomo del procedimento, il relativo adempimento non può essere desunto dagli atti di causa e dalle dichiarazioni comunque rese dal fanciullo e raccolte dagli operatori, ma costituisce un autonomo atto con specifiche finalità, che deve trovare una sua autonoma formalizzazione in un atto del processo a cui afferisce.

Le sale “dedicate” all'ascolto del minore

Quanto al luogo ove l'audizione deve svolgersi, la normativa vigente ma anche l'esperienza già formatasi in materia, consiglia di effettuarla in sale dedicate e appositamente predisposte: si tratta di aule strutturate in modo da creare adeguate condizioni di accoglienza del minore, evitando che lo stesso possa percepire l'ambiente come ostile e minaccioso. È peraltro necessario che la struttura dell'aula ascolto non faccia sorgere nel minore fraintendimenti sulla funzione di quel luogo: egli deve essere messo nelle migliori condizioni per poter liberamente esprimere il proprio pensiero – con le modalità che eventualmente il medesimo preferisca in relazione all'età e allo sviluppo delle sue competenze linguistiche –, nondimeno è necessario che comprenda chiaramente e senza fraintendimenti l'importanza del luogo ove si trova e le ragioni della sua convocazione. In altri termini il minore non deve avere la percezione di trovarsi in una sala giochi o in una ludoteca (il che spiega il perché di un numero limitato di giochi e di altre possibili fonti di distrazione).

La notoria carenza di adeguati spazi all'interno delle strutture giudiziarie costituisce la ragione primaria – anche se non l'unica - dello svolgimento dell'ascolto effettuato dal giudice alla presenza del cancelliere (a cui rimettere la redazione del processo verbale) nella stanza del giudice: si tratta di una soluzione di per sé non inidonea anche se certamente da considerarsi soluzione residuale soprattutto quando siano disponibili soluzioni logistiche migliori.

L'istituto mette in campo la necessità di assicurare due contrapposte esigenze: quella di tutela della serenità del minore e della garanzia della libera possibilità di espressione della sua volontà, con quella della garanzia del contraddittorio non essendo l'ascolto atto finalizzato a sé stesso, ma assolvendo ad una specifica funzione nella dinamica processuale.

Il d. lgs. n. 154/2013, con il già citato art. 38-bis disp. att. c.c., introduce la previsione di una modalità di ascolto che, nella ratio ispiratrice della riforma, è da ritenersi quella prioritariamente considerata idonea ad assicurare da un lato le necessarie condizioni di salvaguardia del minore medesimo e dall'altro la possibilità di assistenza all'ascolto – senza necessità di specifica autorizzazione - per le parti qualificate del giudizio quali il pubblico ministero, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore se già nominato. Sarà invece sempre necessaria una specifica autorizzazione del Giudice all'assistenza all'ascolto da parte dei genitori del minore.

La sorte dei protocolli sull'audizione dei minori

Proprio per garantire le citate contrapposte esigenze, nella pratica giudiziaria hanno visto ampia diffusione specifici protocolli - diversificati tra le varie sedi giudiziarie - diretti a concordare sia le modalità di conduzione dell'ascolto del minore da parte del giudice procedente (tempi, luogo, durata) sia la modalità con cui le parti processuali possono intervenire indirettamente all'audizione sottoponendo al giudice specifiche questioni su cui richiedere che il minore stesso sia ascoltato. Trattandosi di protocolli – e quindi di accordi tra le associazioni maggiormente rappresentative dei difensori addetti alla materia della famiglia o siglati tra gli avvocati iscritti ad un determinato foro e le competenti autorità giudiziarie (generalmente il Presidente del Tribunale) – ad essi non può essere riconosciuta alcuna vincolatività erga omnes.

Ciò nonostante e sino all'entrata in vigore del d. lgs. n. 154/2013 ma anche tuttora, pur in vigenza di specifica disposizione normativa, i citati protocolli hanno visto e vedono un'ampia applicazione e pressoché integrale adesione (anche da parte dei non iscritti o non aderenti alla categoria siglante l'accordo), in quanto del tutto condivisibile è risultata la ratio ai medesimi sottesa volta a creare un insieme di regole condivise rispettose delle differenti e, per alcuni aspetti, divergenti spinte che si agitano all'interno del procedimento contenzioso relativo ai minori. Il funzionamento dei protocolli ha invero garantito, sino all'entrata in vigore della novella, la possibilità di effettuare l'audizione diretta dei minori con modalità certamente idonea a garantire la salvaguardia dei fanciulli evitando di turbarne l'andamento scolastico (l'audizione è disposta in orario pomeridiano), l'inibizione per la presenza dei genitori (nella maggior parte dei casi non ammessi all'audizione), il timore per le pressioni dei difensori (spesso esclusi dall'audizione ovvero, se presenti, con ruolo limitato alla mera presenza fisica senza possibilità di interlocuzione diretta), la necessità di una seppure succinta verbalizzazione delle dichiarazioni del minorenne.

Va osservato che la quasi totalità dei protocolli consentiva che l'ascolto avvenisse alla sola presenza dell'autorità giudiziaria e quindi in assenza non solo dei genitori ma anche dei loro difensori ai quali, prima dell'inizio dell'audizione, veniva consentito di depositare indicazioni sulle questioni ritenute rilevanti nella fase dell'ascolto del minore.

La sempre ipotizzabile mancata adesione del difensore alle regole consacrate nel protocollo come pure la specifica richiesta delle parti e dei difensori di assistere all'audizione comportava la necessità per il giudice di prendere specifica posizione sulla questione autorizzando ovvero negando alle parti la relativa partecipazione: il rischio di inquinamento del setting di esame del minore, come del resto il pericolo di invalidazione del procedimento per violazione del contraddittorio, consigliava spesso il ricorso ad audizioni indirette o delegate, per loro natura idonee a garantire le contrapposte esigenze processuali non potendosi tacere l'intrinseca forzatura processuale rappresentata dall'esclusione, non normativamente prevista, delle parti e dei loro difensori dallo svolgimento di un vero e proprio adempimento di natura processuale.

Sotto il profilo della gerarchia delle fonti ci si deve interrogare sulla possibilità di una “sopravvivenza” dei protocolli esistenti e utilizzati nelle varie sedi giudiziarie per effettuare l'audizione dei minori. Se è, infatti, indubbio che la novella legislativa, dettando specifiche regole relative alla modalità dell'audizione laddove esistano strutture adeguate (sale ascolto dotate di impianto di videoregistrazione e specchio bidirezionale) abbia “abrogato” i protocolli esistenti, nondimeno la loro utilizzabilità sarà sempre possibile in assenza di sale specificamente dedicate ascolto (ossia con le caratteristiche prescritte), ma anche ogni qual volta l'utilizzo del protocollo venga consapevolmente condiviso dalle parti processuali e la relativa modalità venga ritenuta maggiormente rispondente all'interesse del minore, ritenuto ad esempio prevalente rispetto al diritto dei difensori delle parti ad assistere alla relativa audizione.

In conclusione

L'audizione del minore può avere ad oggetto ogni questione rilevante del processo su cui sia necessario acquisire informazioni sulla sua volontà: deve trattarsi in ogni caso di questioni rilevanti e controverse. Essa va condotta prioritariamente dal Giudice con modalità diretta, non escludendosi che peculiari ragioni indicano di propendere per una audizione assistita o delegata al professionista.

Laddove l'audizione avvenga in apposite sale ascolto, potranno assistere, senza necessità di autorizzazione, i difensori delle parti e il p.m.. È sempre esclusa la presenza dei genitori. Ai protocolli siglati con gli ordini professionali in tema di ascolto dei minori può tuttora riconoscersi valenza e applicabilità residuale purché la loro attuazione sia frutto di una scelta specifica delle parti costituite.