La funzione del processo minorile in caso di assoluzione dell’imputato
05 Ottobre 2015
Massima
Il procedimento penale minorile possiede un'intrinseca ed evidente funzione educativa che deve essere trovata anche nel caso in cui l'imputato, al termine del processo, risulti innocente. Le caratteristiche del rito non danno però sempre modo al giudicante, al di là della mera attività condotta in udienza, di applicare tale principio. In tali casi il messaggio educativo deve quindi necessariamente passare attraverso le motivazioni della sentenza. (Nel caso di specie, il giudicante non ha ritenuto fuori luogo esortare i legali del minore assolto ad esplicare al loro assistito – in termini accessibili a un ragazzo da poco maggiorenne, e digiuno di studi giuridici – l'iter logico-argomentativo che ha condotto il giudice alla pronuncia assolutoria, anche attraverso la lettura della sentenza; ad accentuare nel ragazzo, in collaborazione con la famiglia, il “senso di giustizia” rendendolo consapevole che solo il rispetto della legge rende cittadini consapevoli, e liberi; solo in questo modo, infatti, si può trasformare il processo in un momento di crescita, di maturazione, di acquisizione di consapevolezza, e solo in questo modo si può dare un senso più profondo sia a quanto accaduto (senso rispettoso della funzione svolta dal giudice minorile ma prima di tutto della persona dell'imputato), sia all'assoluzione che il Collegio ha inteso pronunciare). Il caso
L'imputato minorenne, accusato di un abuso sessuale ai danni di una bambina di 7 anni mentre svolgeva le funzioni di catechista, veniva assolto ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p. non ritenendo il collegio, anche per alcuni errori nella raccolta delle prove nell'ambito delle indagini di polizia giudiziaria e nel corso della perizia svolta in incidente probatorio, sufficientemente attendibili le dichiarazioni della parte offesa. Emergendo dalle indagini psicosociali e dall'esame dell'imputato una sofferenza personale dello stesso rispetto al tenore infamante delle accuse, il Tribunale ha esplicitamente invitato i difensori e i genitori ad illustrare al minore il contenuto della decisione di assoluzione. La questione
La sentenza del Tribunale per i Minorenni di Bologna si sofferma, una volta compiuto l'accertamento dei fatti e ritenuta l'insussistenza del reato, su come il processo minorile, possa rappresentare per il minore, oltre che il luogo di accertamento dei fatti, anche una occasione educativa in ipotesi di esito assolutorio nel merito. Le soluzioni giuridiche
L'art. 1, comma 2, d.P.R. n. 448/1988 individua nel “giudice” il soggetto deputato all'illustrazione all'imputato minorenne del significato dei vari passaggi procedimentali, nonché le ragioni delle decisioni. Spiegazioni e momenti di dialogo che normalmente hanno luogo durante le fasi della convalida dell'arresto, nelle fasi di apertura dell'udienza preliminare e del dibattimento e nelle domande preliminari dell'esame del minore. Più complesso è individuare le modalità con le quali illustrare al giovane il contenuto della decisione assolutoria, specie se – come nel caso in esame – la stessa sia frutto di passaggi giuridici complessi, che non possono essere illustrati verbalmente, salvo una comprensione sommaria, all'esito della lettura del dispositivo dibattimentale. Si deve pertanto verificare se anche le pronunce assolutorie rientrino tra le decisioni da illustrare all'imputato e se in tale compito possano essere coinvolti altri soggetti (difensore dell'imputato, genitori, servizi sociali). Tale indagine si incrocia con uno dei cardini del processo penale minorile oggetto, specie in dottrina, di opinioni contrastanti. Il riferimento esplicito, contenuto nell'art. 1 d.P.R. n. 448/1988, alle esigenze educative del minore, quale paradigma da tener presente nell'applicazione delle disposizioni processuali, rischia infatti di far prevalere l'obiettivo di recupero del minore rispetto ad un rigoroso accertamento dei fatti e della responsabilità. Si assiste così ad una importante divaricazione tra le opinioni della dottrina, ed in particolare Giostra laddove mette in guardia gli operatori dall'abbandono del «sentiero della legalità processuale» piegandolo alle «finalità pedagico-correzionalistiche» (cfr. Giostra G., premessa alla II edizione de Il Processo Penale minorile), e la giurisprudenza Costituzionale che ancora di recente (C. cost., sent., n. 1/2015), nel ribadire la necessaria specializzazione del giudice minorile, descrive il sistema processuale come caratterizzato «dalla prevalente esigenza rieducativa, nonché dalla necessità di valutazioni, da parte dello stesso giudice, fondate su prognosi individualizzate in funzione del recupero del minore deviante (v. C. cost., sent., n. 222/1983)». Osservazioni
La sentenza in esame dimostra come le preoccupazioni della dottrina siano spesso infondate e come si possa ben conciliare l'accertamento rigoroso del fatto e la funzione educativa e come tale finalità non debba affatto prevalere su un esame rigoroso della responsabilità penale. Il coinvolgimento del minore nel procedimento penale, anche attraverso l'espressa previsione dell'illustrazione delle decisioni, è una peculiarità dell'Ordinamento italiano che ha anticipato, almeno a livello europeo, quanto previsto dalle Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa su una giustizia a misura di minore adottate dal Comitato dei ministri il 17 novembre 2010. Il codice di procedura penale minorile trova infatti la sua genesi ispiratrice nelle c.d. Regole di Pechino (Convenzione Onu 29 novembre 1985 sulle «Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile»), le quali non contengono una previsione esplicita sul punto, ma unicamente il diritto del minore ad essere giudicato in un clima di comprensione e la possibilità di esprimersi liberamente. Anche la convenzione di New York del 1989, nel disciplinare all'art. 12 l'ascolto del minore, e la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei minori adottata dal Consiglio d'Europa a Strasburgo il 25 gennaio 1996, nel prevedere il diritto del minore ad essere ascoltato e che siano tenute in debito conto le sue opinioni, implicano un dialogo tra giudice e minore che non può non comportare una spiegazione sul funzionamento del procedimento, sullo scopo dell'ascolto e sulle conseguenze che possono derivare dalle opinioni espresse. Trattandosi di una spiegazione che in genere precede l'esame/ascolto del minore, il giudice per lo più si limita ad illustrare i vari esiti e decisioni che si possono assumere, con il fine evidente di responsabilizzare il minore e di fargli comprendere gli sviluppi processuali. Diversa è invece l'illustrazione delle decisioni assunte, come verificatosi innanzi al Tribunale bolognese. Come premesso, l'art. 1 d.P.R. n. 448/1988 individua esplicitamente nel giudice il soggetto processuale cui compete l'onere di spiegare al minore gli sviluppi processuali, ma da un esame sistematico si ricava in maniere agevole la correttezza di quanto previsto nella decisione del Tribunale per i minorenni di Bologna. La specializzazione non è infatti caratteristica del solo giudice, ma anche del Pubblico Ministero istituito presso il Tribunale per i Minorenni (art. 2), della Polizia Giudiziaria (art. 5), dei servizi sociali minorili (art. 6), degli avvocati (art. 11), ed anche le fonti internazionali sottolineano la necessità che tutti i soggetti che entrano a vario titolo in “contatto” con il minore, siano dotati di specifica preparazione, con conseguente necessità, se del caso, di illustrare al minore i passaggi processuali. Le già citate Linee Guida per una giustizia a misura di minore del 2010 sono esplicite anche su tale aspetto, evidenziando (§1.1) come tale compito spetti a tutti gli operatori (e a titolo di esempio non esaustivo si indicano la «polizia, i servizi sociali, i servizi educativi, i servizi per l'immigrazione e il servizio sanitario»), e la necessità che tali informazioni debbano essere fornite sia al minore, che ai suoi genitori, nell'evidente consapevolezza che spetterà a questi ultimi l'ulteriore spiegazione al minore, come esplicitamente suggerito e auspicato nella sentenza in commento. Assolutamente condivisibili, infine, le considerazioni svolte nella pronuncia in commento sulla necessità di illustrare all'imputato minorenne anche le sentenze di assoluzione, tanto più per reati a sfondo sessuale relativi ad abusi commessi tra minori, nei quali il terreno probatorio si mostra particolarmente friabile e di difficile governo e nel quale al processo, ed all'esito assolutorio, può conseguire una vittimizzazione secondaria non solo dell'imputato (come temuto dal collegio nel caso in esame), ma anche della parte offesa che, il più delle volte non assistita da alcun legale, nulla viene a sapere dell'esito del processo, oppure ne viene a conoscenza in modo distorto e senza le necessaria competenza: quante volte il Tribunale assolve l'imputato, magari con formula dubitativa, non perché si ritengono false o calunniose le dichiarazioni accusatorie del minore/vittima, ma per carenza nella fase delle indagini o per le oggettive incertezze che caratterizzano il racconto delle parti offese molto piccole? Ed è allora assolutamente doveroso il coinvolgimento dei difensori e dei genitori, che non a caso a loro volta sono stati coinvolti nel processo dal legislatore (art. 31, comma 4, d.P.R. n. 448/1988) perché assistano il minore, tanto da prevedere la condanna a sanzioni pecuniarie in caso di loro assenza, perché i compiti educativi non si esauriscono con l'assistenza dell'imputato colpevole, ma anche aiutando il figlio innocente a comprendere la necessità del processo penale, le peculiarità del processo minorile e di come lo stesso, anche quando si conclude con un esito favorevole, possa rappresentare un'occasione educativa. |