L'ex moglie casalinga ha diritto all'assegno di mantenimento anche se in grado di lavorare

Redazione Scientifica
03 Febbraio 2017

La Cassazione ha precisato che, nel procedimento ex art. 710 c.p.c., per la riduzione o l'eliminazione dell'assegno a favore della moglie, casalinga quarantenne, occorre valutare se la stessa, dopo la separazione, abbia ricevuto effettive offerte di lavoro o maturato professionalità diverse tali da determinare la concreta possibilità di svolgere un'attività lavorativa retribuita.

Il caso. Tizio ha chiesto al Tribunale di Trani di eliminare l'obbligo ex art. 156 c.c. posto a suo carico in sede di separazione consensuale; egli ha assunto: i) che la moglie aveva capacità professionale specifica; ii) una contrazione del proprio reddito; iii) la nascita di una nuova figlia. I giudici di primo grado hanno respinto la domanda. La Corte d'appello, investita in sede di reclamo, ha invece riformato la decisione ed eliminato il contributo ex art. 156 c.c. considerando che: Tizio aveva avuto una figlia da un nuova unione, aveva ridotto le proprie disponibilità mensili e che, soprattutto, la moglie possedeva capacità lavorative specifiche tali da doverla indurre a reperire un'attività lavorativa.

Avverso tale pronuncia, la moglie ha proposto ricorso per cassazione.

Il diritto all'assegno di mantenimento non è recessivo rispetto a quello del nuovo figlio. I Giudici di legittimità ritengono, in primo luogo, che la formazione di una nuova famiglia da parte dell'ex marito e la nascita di figli dalla sua nuova unione, non determina automaticamente la necessità di eliminare o ridurre il contributo al mantenimento del coniuge separato, ma deve essere valutata dal Giudice quale circostanza sopravvenuta che può, ma non necessariamente deve, portare a una modifica delle condizioni stabilite in sede di separazione.

L'attitudine lavorativa del coniuge deve essere valutata in concreto quale effettiva potenziale possibilità di guadagno. Per quanto riguarda, invece, il mancato reperimento da parte della ricorrente di una sistemazione lavorativa, la Suprema Corte richiama il principio secondo cui, ai fini della determinazione della misura dell'assegno di mantenimento, il Giudice deve valutare l'attitudine al lavoro del coniuge quale potenziale capacità di guadagno, tenendo conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni altra utilità o capacità suscettibile di valutazione economica.

A tal fine, in sede di modifica, l'attitudine lavorativa del coniuge assume rilievo solo se riscontrata in termini di «effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale» e non sulla base di semplici valutazioni ipotetiche e astratte. La Cassazione precisa, infatti, che occorre dimostrare il sopraggiungere di fatti che abbiano determinato situazioni nuove rispetto a quelle tenute presenti dalle parti al momento della conclusione dell'accordo iniziale, quali ad es. la dimostrazione che il coniuge beneficiato dell'assegno abbia maturato ulteriori capacità professionali o ricevuto effettive offerte di lavoro.

Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e rinvia la causa alla Corte d'appello, in diversa composizione.