Se il minore trasferisce la residenza come si radica la competenza?

Annamaria Fasano
03 Maggio 2016

Il procedimento proposto ai sensi dell'art. 337 ter c.c. si instaura di fronte all'autorità giudiziaria del luogo in cui si trova la residenza abituale del minore, che è il luogo dove il minore ha consolidato, consolida o potrà consolidare, una rete di affetti e relazioni, tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico.
Massima

Il procedimento proposto ai sensi dell'art. 337 ter c.c. si instaura di fronte all'autorità giudiziaria del luogo in cui si trova la residenza abituale del minore, che è il luogo dove il minore ha consolidato, consolida o potrà consolidare, una rete di affetti e relazioni, tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico. Ne consegue che non può farsi riferimento, alla data della domanda, ad un dato meramente quantitativo (prossimità temporale del trasferimento; maggior durata del soggiorno, ecc...), e nei casi di recente trasferimento dello stesso, sarà necessario effettuare una prognosi sulla possibilità che la nuova dimora diventi l'effettivo, stabile e duraturo centro di affetti e di interessi del minore, dovendosi valutare se il trasferimento non si configuri come un mero espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell'altro genitore o alla disciplina generale della competenza territoriale.

Il caso

La madre di una minore adiva il Tribunale ordinario, proponendo un procedimento ex art. 317 bis c.c. (oggi art. 337 ter c.c.), chiedendo disporsi l'affidamento a sé della figlia, e disciplinarsi l'esercizio della responsabilità genitoriale, nonché autorizzarsi il trasferimento scolastico della stessa, con conferma della legittimità del trasferimento di residenza, e determinazione delle condizioni di esercizio del diritto di visita e di mantenimento del padre. Quest'ultimo si costituiva in giudizio chiedendo dichiararsi l'incompetenza territoriale del Tribunale adito, in favore di altro Tribunale, proponendo ulteriori richieste in ordine all'affidamento della minore e all'assegno di mantenimento. Con successivo decreto il Tribunale adito disponeva la revoca della sospensione del procedimento (sospeso precedentemente in ragione della pendenza di altro procedimento innanzi al Tribunale per i minorenni tra le medesime parti), dichiarando la propria incompetenza territoriale in favore dell'altro Tribunale, indicato dal padre convenuto. La madre della minore presentava ricorso per regolamento di competenza, la cui inammissibilità veniva eccepita dal convenuto, per violazione degli artt. 42 e 43 c.p.c., per la non decisorietà, né definitività, del provvedimento impugnato, nonché per l'estraneità delle censure dedotte alla questione di competenza, e comunque per l'infondatezza del regolamento stesso. La Corte concludeva con il dichiarare la competenza del tribunale adito, pur essendo limitato temporalmente il periodo di permanenza della minore, prima dell'instaurazione del procedimento ex artt. 316 e 337 ter c.c., in quanto era emersa la necessità del trasferimento della madre per ragioni lavorative e l'assenza di contrasto con il preminente interesse della minore, felicemente inserita in ambito scolastico, e nel contesto socio - ambientale, elementi che tendevano a configurare il luogo del trasferimento come quello della residenza abituale della minore.

La questione

La Suprema Corte, nell'ordinanza in commento, si limita ad esaminare le eccezioni di incompetenza sollevate dalle parti, ed in particolare quella relativa alla competenza territoriale, escludendo ogni altra questione dedotta, ancorchè pregiudiziale, con riferimento al provvedimento oggetto di regolamento. La Corte, dopo aver precisato che il procedimento ex art. 337 ter c.c. si instaura nel luogo di residenza abituale del minore, pone un interrogativo, a cui cerca di dare una risposta esaustiva: come si configura in concreto la residenza abituale del minore?

Le soluzioni giuridiche

“La residenza abituale” è un criterio di competenza funzionale, secondo cui la necessità di salvaguardare le abitudini di vita del minore fa presumere che mantenere il precedente luogo di dimora corrisponda al suo interesse (Cass., 4 giugno 2010, n. 13619). Generalmente coincide con la residenza anagrafica, oppure, indipendente da questa, con il luogo ove è situata la casa familiare. Uno dei limiti all'introduzione di una definizione “giuridica” della residenza abituale è per molti costituito dalla circostanza che esso “è da sempre stato considerato puramente fattuale” (M. Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Riv. dir. intern. priv. e proc., 2010, 685 ss.). Secondo la giurisprudenza prevalente, infatti, la nozione corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione, vale a dire il luogo in cui coltiva i propri interessi (Cass. civ. 7 luglio 2008, n. 18614 e Cass. 11 gennaio 2006, n. 397). L'accertamento è riservato all'apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Cass. 11 agosto 2011, n. 17201; Cass. 15 aprile 2003, n. 5944; Cass. 27 luglio 2007, n. 16753).

Nel sistema ordinamentale non esiste una definizione di residenza abituale del minore. L'art. 144 c.c., nel disporre in ordine alla residenza familiare, stabilisce che essa deve essere concordata da entrambi i coniugi, tenendo conto delle loro esigenze e di quelle preminenti della famiglia medesima. Con riferimento al minore, l'art.145 c.c. si limita a stabilire che egli ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o del tutore; se i genitori sono separati o il loro matrimonio annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive.

Anche nel panorama internazionale non è dato rinvenire una specifica qualificazione. Non vi sono definizioni nella Convenzione de L'Aja 25 ottobre 1980, né in quella del 1961. Qualche indicazione emerge dai lavori preparatori, nei quali si afferma che la residenza abituale del minore coincide con il centro affettivo della vita del minore e che la durata della permanenza in tale luogo, pur essendo importante non ha rilevanza decisiva. Nella ricapitolazione dei punti da discutere nella terza riunione della Commissione speciale sul funzionamento della Convenzione de L'Aja sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori, si dichiara espressamente che la Convenzione non fornisce alcuna definizione, lasciando ai tribunali dei singoli Paesi il compito di individuarla in base ad ogni singolo caso. La Convenzione de L'Aja del 5 ottobre 1961 ha operato una svolta epocale nella determinazione della competenza giurisdizionale in materia minorile, stabilendo che le autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale di un minore sono ordinariamente competenti ad adottare misure finalizzate alla protezione della persona o dei suoi beni; le autorità dello Stato di cui il minore è cittadino, invece, esercitano, una competenza sussidiaria in particolari e limitati casi.

La nozione elaborata nella Risoluzione del 18 gennaio 1972 del Consiglio d'Europa sulla “Standardisation of the legal concepts of domicile and of recidence”, non coincide con quella di domicilio (art. 43 comma 1 c.c.), né con quella, di carattere formale, di residenza scelta d'accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.), ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo per essa intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi . Neppure il Regolamento n. 2201/2003 contiene una chiara qualificazione, né con riferimento ai coniugi (ai sensi degli artt. 3 Reg. e ss.), né con riferimento al minore. Assume, quindi, rilevanza il criterio fattuale, che comporta una compresenza inequivoca di alcune circostanze, sulle quali si è tenuti a compiere una valutazione in concreto. La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha progressivamente riconosciuto il diritto del Paese in cui il minore è nato e il cui nucleo familiare risiede (Corte Giust.,14 ottobre 2008, Grunkin – Paul, C- 353/06). In particolare, la Corte con sentenza 2 aprile 2009, C-523/07, ha stabilito che, oltre alla presenza fisica del minore, si devono considerare altri fattori idonei a dimostrare che tale presenza non è in alcun modo temporanea ed occasionale e che la residenza del minore denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare. Con riferimento ad un bambino neonato, poiché quest'ultimo condivide necessariamente l'ambiente sociale e familiare della cerchia di persone da cui dipende, nella specie la madre, occorre valutare l'integrazione di quest'ultima con il suo ambiente sociale e familiare (V. Marino, Nuovi criteri interpretativi per la determinazione della giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: la nozione di residenza abituale del minore, in una recente sentenza della Corte di giustizia CE, in Riv. dir. proc. 2010, 315).

In materia di giurisdizione, in linea con l'indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia, il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità sostiene che la competenza a conoscere delle questioni relative all'affidamento dei minori e alla responsabilità genitoriale degli stessi si radica di fronte all'autorità giudiziaria del luogo, quindi il Paese, in cui si trova la residenza abituale dei minori (Cass., Sez. U., 21 ottobre 2009, n. 22238). Tale criterio si ispira alla necessità di assicurare la tutela dell'interesse superiore del minore, al quale deve rimanere sempre subordinato quello di ciascun genitore, e, secondo la dottrina, tale interesse è più facilmente accertabile da parte del tribunale dove egli ha la dimora abituale ( M.G. Ruo, “ the long, long way” del processo minorile verso il giusto processo, in Dir. Fam., 2010, n. 139). Quindi, se non vi è contrasto sul fatto che la competenza del giudice si radica nel luogo in cui il minore svolge la sua vita, intesa in senso lato, il dibattito si sposta sui criteri da utilizzare per l'individuazione del luogo dove questo avviene. Nella giurisprudenza di legittimità e di merito, come in dottrina, le soluzioni non sono state sempre concordi. Un indirizzo della dottrina (A. Liuzzi, Sottrazione internazionale di minori e questioni processuali: ancora in tema di ascolto e di residenza del minore, Fam. e dir. n. 10/2008, 888), aderendo ad un orientamento della giurisprudenza (Cass. civ., Sez. I, 15 febbraio 2008, n. 3798; Cass., Sez. U., 21 ottobre 2009, n. 22238), dà rilievo al criterio temporale, ossia alla permanenza stabile e durevole in un determinato luogo, che, in ragione del tempo, diventa il centro dei legami affetti, il posto dove vengono coltivati gli interessi e gli affari essenziali. L'assunto, condiviso anche da una parte della giurisprudenza sovranazionale (Corte Giust., sez.III, 2 aprile 2009, C- 523/07, in Racc., 2009, I, - 2805), tiene conto della durata, della regolarità, delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche, nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato. In linea con questa indirizzo alcune decisioni della Suprema Corte (Cass., Sez. U., 13 febbraio 2012, n. 1984), secondo cui la residenza abituale del minore deve essere intesa come il luogo di svolgimento in concreto e continuativo della sua vita personale.

Il criterio temporale viene in parte disatteso da chi ritiene che, anche in caso di breve durata della permanenza del minore in un determinato luogo, sussista la possibilità che questo venga considerato come il posto dove lo stesso viva in concreto la sua esistenza (G. Zincone, Primo, il minore deve tornare a casa sua, in Dir. e Giust., 2006, n. 32). Questo avviene, però, solo a condizione che vi sia la seria intenzione del genitore affidatario a stabilirsi durevolmente in quel determinato luogo, ove ha iniziato un nuovo lavoro ed un nuovo legame affettivo (Cass. 14 luglio 2006, n. 16092). Pur dovendosi ritenere condivisibile, in linea generale, che il trasferimento del minore non sia idoneo a radicare la competenza del tribunale di destinazione, quando non sia trascorso un tempo minimo “apprezzabile”, ciò non esclude che il nuovo domicilio non sia secondo una “prospettiva futura”, purchè probabile, il centro delle relazioni e degli interessi dello stesso (Cass., Sez. U., n. 11915/2014).

Osservazioni

La decisione in commento contrasta con l'indirizzo che ritiene necessario il trascorrere del tempo, ai fini della individuazione della “residenza abituale del minore”. Secondo il Supremo Collegio non può farsi riferimento, alla data della domanda, ad un dato meramente quantitativo, come la prossimità temporale del trasferimento, la maggiore durata del soggiorno ecc…, ma soprattutto nei casi di recente trasferimento del bambino, appare necessario stabilire se la nuova dimora sia un duraturo centro di affetti e di interessi dello stesso. Nella specie, il trasferimento di residenza era avvenuto sia per esigenze lavorative che per la celebrazione del nuovo matrimonio della madre e, sulla base di una valutazione in concreto, si era verificato che la minore si era inserita bene nel contesto socio - ambientale ed aveva un buon rendimento scolastico. Tutti questi elementi, valutati alla luce del superiore interesse del minore, consentivano di fare una prognosi di «probabilità della realizzazione di un centro di interessi ed affetti della minore stessa, idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico». Secondo la Corte, quindi, a fronte di uno spostamento di poco anteriore alla data di deposito della domanda di affidamento, l'indagine del giudice non può avvalersi di apprezzamenti inerenti alla durata, in sé non decisiva, masi deve basaresu di una valutazione in prospettiva, per stabilire se il cambiamento di abitazione, alla luce delle cause che lo hanno determinato e delle complessive circostanze del caso concreto, presenti rilevante probabilità di tradursi in una nuova, effettiva e stabile collocazione del centro di vita e di interessi del minore, ovvero resti su di un piano di verosimile precarietà, se non addirittura risulti preordinato per interferire sulla competenza (Cass. Civ., Sez. I, 15 febbraio 1999, n. 1238, in Giust. civ. Mass., 1999, 341; Cass. 14 luglio 2006, n. 16092).

La tesi argomentativa della Corte non condivide la soluzione prospettata anche da parte della giurisprudenza di merito, secondo cui nei procedimenti ex artt. 317 bis e 155 c.c. il criterio della residenza abituale del minore, quale luogo individuativo della competenza, non possa essere interpretato in termini di “prospettiva”, ma debba essere accertato sulla base di quale sia stato l'effettivo luogo di abituale dimora maturato dal minore, in considerazione del contesto familiare e sociale di riferimento, delle amicizie, delle frequenze scolastiche, della casa che ha costituito l'habitat per un consistente periodo di tempo (Trib. Milano, sez. I, decr. 16 settembre 2013). Secondo questo indirizzo, la “ratio” di tale norma si rinviene non solo nel consolidato principio della vicinanza, che attribuisce al giudice del luogo in cui il minore ha prevalentemente vissuto e consolidato le proprie relazioni familiari, sociali e scolastiche, ma, altresì, nell'attenzione del legislatore europeo a tutelare l'interesse superiore del minore, evitando che lo spostamento del medesimo da parte di un genitore si riveli arbitrario, assunto unilateralmente e comunque in modo strumentale al raggiungimento di una decisione favorevole nei suoi confronti. A queste argomentazioni si può obiettare che il fattore temporale può assumere anche un rilievo negativo, in tutti i casi in cui il trascorrere del tempo consenta di far divenire una situazione illegittima, una situazione legittima, se ciò e' giustificato dalla necessità di perseguire l'interesse del minore. Il tempo può avere effetti sul consolidamento delle consuetudini di vita e sul radicamento ambientale, a seguito di una stabile e continua permanenza in un determinato luogo (L. Mazzi, La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Min. e Giust., 1999, 18). Non si può, pertanto, ritenere determinante solo la “stabilità del legame con il luogo”, in ragione del trascorrere del tempo, essendo necessaria una valutazione più ampia, certamente confortata dalla non occasionalità dell'evento e dalla stabilità della permanenza, ma solo nel caso in cui tali criteri siano utili, secondo una valutazione prospettica, a ritenere che il bambino è e sarà certamente integrato nell'ambiente sociale e familiare.

Guida all'approfondimento

- L. Mazzi, La condizione giuridica dei bambini stranieri in Italia, in Min. e Giust., 1999, 118.

- M. R. Donnarumma, La convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e la normativa di adattamento nell'ordinamento italiano, in Dir. Fam., 1982, 176, nota 3.

- G. Ferrando, Genitori e figli nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, in Fam. e Dir., 2009, 11, 1049.

- C.I. Martini, Sottrazione internazionale di minori e mancata audizione del fanciullo in tenera età, nota a Cass. civ., sez. I, 23 gennaio 2013, n. 1527, Fam. e Dir. 2/2014, 151 ss.

- G. Buffone, Soluzione chirurgica contro la conflittualità nelle separazioni, Guida al diritto, 20 dicembre 2014, nn. 49-50, 15 ss.

- M.G. Ruo, “the long, long way” del processo minorile verso il giusto processo, Dir. Fam., fasc. 1, 2010, 119.

- F. Cortesi, Su alcune riflessioni in merito alla competenza giurisdizionale relativa ai diversi profili nel giudizio di separazione, Giur. Merito, fasc. 6, 2013, 1344.

- C. Honorati, Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali, in Riv. dir. intern. priv. e proc., n. 1-2013.

- M. Marchegiani, Rispetto della vita privata e familiare e sottrazione internazionale dei minori nella giurisprudenza recente della Corte europea dei diritti dell'uomo, in Riv. dir. intern. priv. e proc., 2012, 987

- O. Lopes Pegna, L'interesse superiore del minore nel Regolamento n. 2201/2013, Riv. dir. intern. priv. e proc., n. 2-2013.

- M. Mellone, La nozione di residenza abituale e la sua interpretazione nelle norme di conflitto comunitarie, in Riv. dir. intern. priv. e proc., 2010, 685

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