Spetta alla figlia non riconosciuta dal padre il risarcimento del danno endofamiliare
03 Giugno 2015
Massima
Il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia – come accertato in sede di merito – integra, da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall'altro, un'immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella carta costituzionale e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela. Il caso
Tizia, figlia naturale non riconosciuta di Sempronio, cita in giudizio quest'ultimo al fine del risarcimento dei danni, c.d. illecito endofamiliare. La motivazione adotta da Tizia, onde convenire in giudizio Sempronio, è che quest'ultimo non ha adempiuto ai doveri genitoriali in quanto non ha provveduto al suo mantenimento, all'assistenza ed all'istruzione della stessa mostrando così un totale disinteresse nei suoi confronti. Nelle more del giudizio, Sempronio muore e gli eredi di quest'ultimo ricorrono in Cassazione avverso la sentenza di appello che condannava Sempronio al pagamento della somma di € 50.000,00 a titolo di risarcimento danni nei confronti di Tizia. Tizia, si costituisce nel giudizio di Cassazione.
In motivazione Gli Ermellini inquadrano preliminarmente la fattispecie inserendola «(…) nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari oggetto di una rielaborazione condotta sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona». In particolare, la Suprema Corte di Cassazione in detto provvedimento, pone in rilievo come l'obbligo del genitore naturale di concorrere al mantenimento del figlio sorge al momento della nascita di quest'ultimo e ciò anche se la procreazione sia stata accertata successivamente con sentenza. Conseguentemente, gli Ermellini evidenziano che la dichiarazione, seppur giudiziale, di paternità produce i medesimi effetti del riconoscimento facendo acquisire al soggetto lo status di genitore e tutti i doveri di cui all'art 261 c.c., ivi compreso il mantenimento disciplinato dall'art 148 c.c.; doveri che retroagiscono al momento della nascita. Discende da quanto precede che l'obbligo di mantenere i figli, in capo ad un determinato soggetto, sussiste solo per il fatto di averli generati a prescindere dal fatto che sia stato solo un genitore a riconoscerli al momento della nascita (cfr. Cass. civ., 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. civ., 10 aprile 2012, n. 5652; Cass. civ., 2 marzo 2006, n. 2328; Cass. civ., 14 maggio 2003, n. 7386). La sentenza in questione evidenzia, inoltre, come in precedenza gli Ermellini abbiano già, in diverse occasioni, individuato la nozione di illecito endofamiliare (Cass., 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. 10 aprile 2012, n. 5652; Cass., 15 settembre 2011, n. 18853), legittimando in tal modo il risarcimento del danno da responsabilità aquiliana. Ed invero, la fattispecie in cui un genitore mostri totale disinteresse per il figlio naturale rientra nel c.d. illecito endofamiliare: trattandosi infatti di una lesione di diritti costituzionalmente garantiti, si ricade nell'ambito dell'illecito civile, tutelabile attraverso un'azione per il risarcimento danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., come peraltro reinterpretato attraverso i principi enunciati nella pronuncia Cass., S.U., sent. n. 26972/2008. La Corte di Cassazione evidenzia infatti, che «il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di una figlia (…) integra, da un lato, la violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, e determina, dall'altro, un'immancabile ferita di quei diritti nascenti dal rapporto di filiazione, che trovano nella Carta Costituzionale (in part., artt. 2 e 30 Cost.) e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela». La questione
La Corte di Cassazione attraverso la sent. n. 3079/2015 affronta il problema del risarcimento danno extracontrattuale nell'ambito dei rapporti familiari analizzando il profilo dei diritti fondamentali della persona. Le soluzioni giuridiche
Dal 2003 al 2008 la Giurisprudenza di Cassazione è intervenuta a delineare la categoria del danno al fine di limitare interventi disparati della definizione dello stesso e ciò con particolare riferimento a quello “non patrimoniale” che è sempre stato oggetto di problematiche in ordine alla sua interpretazione sia da un punto di vista nozionistico e classificatorio che su quello pratico applicativo; problematica che certamente non poteva essere risolta attraverso l'interpretazione codicistica essendo impostata su una concezione bipolare della categoria. Ed invero, il danno patrimoniale di cui all'art. 2043 c.c. si contrapponeva al danno non patrimoniale di cui all'art 2059 c.c. senza che vi fossero altri distingui all'interno del dettame normativo. Con la pronuncia della Suprema Corte (Cass., 31 maggio 2003, n. 8827) si arriva tuttavia a dare un autonomia al danno non patrimoniale. La Giurisprudenza, infatti, evidenzia «ciò che rileva ai fini dell'ammissione al risarcimento, in riferimento all'art. 2059 c.c., è l'ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, dal quale susseguono pregiudizi non suscettivi di valutazione economica. Venendo ora la questione cruciale del limite al quale l'art 2059 del codice del 1942 assoggetta il risarcimento del danno non patrimoniale, mediante la riserva di legge, originariamente esplicata dal solo art 185 c.p. (ma v. anche art 89 c.p.c.), ritiene il Collegio che, venendo in considerazioni valori personali di rilievo costituzionale, deve escludersi che il risarcimento del danno non patrimoniale che ne consegua sia soggetto al limite derivante dalla riserva di legge correlata dall'art 185 c.p.. Una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere inoperante il detto limite se la lesione ha riguardato valori della persona Costituzionalmente garantiti». Detto ciò, è evidente che gli Ermellini, facendo riferimento alla Carta dei diritti, hanno inteso “liberare” il danno non patrimoniale dalle precedenti interpretazioni che ne limitavano l'applicabilità. Ed invero è chiaro che, nel caso in cui la lesione abbia ad oggetto un interesse costituzionalmente protetto, la riparazione mediante un indennizzo costituisce la forma minima di tutela, e come statuito dal Giudice delle Leggi con sent. n. 184/1986 «(...) una tutela minima non è assoggettabile a specifici limiti, poiché si risolve in un rifiuto di tutela nei casi esclusi». Concludendo, la Giurisprudenza è dunque intervenuta a colmare e ripianare i vuoti normativi in ordine al danno non patrimoniale e proprio con le note sentenze delle Cass. S.U. nn. 26972 – 26973/2008 ha statuito che la tutela dei danni “non patrimoniali” «è data oltre nei casi determinati dalla legge, solo nei casi di lesione di specifici diritti inviolabili della persona, e ciò in presenza di un'ingiustizia costituzionalmente qualificata». Le Sezioni Unite in particolare stabiliscono che «il danno non patrimoniale è una categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate» con la conseguenza che scompare la sottocategoria del c.d. “danno esistenziale” rimanendo la stessa tutelata dal danno non patrimoniale nel cui ambito confluiscono tutte le tutele relative al risarcimento di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo la Costituzione (principi enunciati dalle sentenza Cass. n. 15022/2005, n. 11761/2006, n. 23918/2006). Accanto a detti orientamenti che si sottolinea ad oggi essere maggioritari e dominanti, e che vedono confluire nel danno non patrimoniale tutti le tipologie di danno siano esse biologico, morale ed esistenziale, è appena il caso di evidenziare che vi è parte della dottrina e della giurisprudenza contraria all'annullamento del danno esistenziale. Ed invero la Suprema Corte, ad esempio, in un caso di incidente stradale ha statuito (Cass. n. 26972/2008) l'esistenza di tre tipologie di danno biologico, morale ed esistenziale e ancora nel c.d. danno esofamiliare, viene ancora messo in evidenza il danno esistenziale (cfr. Cass., 18 gennaio 2011, n. 1072; Cass., 10 novembre 2010, n. 22819 ) Ciò posto dobbiamo evidenziare che l'illecito endofamiliare è una figura di derivazione sia dottrinale che giurisprudenziale; considerato una sottospecie di illecito ordinario di matrice aquiliana trova la propria ragion d'essere nella responsabilità extracontrattuale. La Giurisprudenza riferendosi all'illecito endofamiliare ne ha descritti i tratti peculiari, statuendo che il medesimo sorge nel momento in cui vi siano delle violazioni dei doveri nascenti dal matrimonio che non trovano tutela e sanzioni solo nel diritto di famiglia ma anche nel diritto civile allorquando la violazione cagioni delle lesioni dei diritti costituzionalmente protetti, dando così vita ad una autonoma azione di risarcimento dei danni non patrimoniali ex art 2059 c.c. (Cass., 10 aprile 2012, n. 5652). Nella specie gli Ermellini hanno evidenziato come in ordine al risarcimento danni ex art 2059 c.c. la nozione di illecito endofamiliare sia ormai radicata nel nostro ordinamento attraverso diverse sentenze di giurisprudenza di legittimità (Cass., 22 novembre 2013, n. 26205; Cass. civ., 10 aprile 2012, n.5652; Cass., 15 settembre 2011, n. 18853) con la conseguenza che le sanzioni per la violazione dei doveri nascenti dai rapporti familiari non sono esclusivamente quelle tipiche del diritto di famiglia. Fatte queste premesse, si evidenzia come la sentenza in commento riconosce alla figlia naturale, trascurata per tutta la vita dal padre, il diritto di agire nei confronti degli eredi del defunto, rigettando così il ricorso degli eredi e confermando il risarcimento del danno non patrimoniale sull'assunto che ad essere violato non è stato solo il diritto di mantenimento, istruzione ed educazione ma l'intera sfera dei diritti scaturenti dal rapporto di filiazione, la cui violazione ha comportato una lesione perpetua della vita del figlio trascurato. Osservazioni
Ciò premesso, possiamo concludere, alla luce delle attuali pronunce giudiziali, che attualmente sia in corso un processo di avvicinamento tra il diritto di famiglia e la responsabilità civile, in un ottica di tutela del singolo. Va evidenziato, che per un corretto accertamento del danno ex art 2059 c.c., derivante da illecito endofamiliare, occorre una sentenza di merito che accerti preliminarmente la violazione dei diritti inviolabili dell'uomo scaturenti dai doveri dello status di genitore. In particolare, deve essere accertato che la privazione o il disinteresse della figura genitoriale sia riconducibile ad un comportamento consapevole e colposo del genitore che abbia cagionato un danno al figlio la cui tutela risarcitoria trova il proprio fondamento negli art. 2043 e 2059 c.c.. Va evidenziato, infatti, come il concetto di famiglia del codice del 1942 anche a seguito delle attuali riforme ( L. n. 219/2012 e D.lgs.n. 154/2013) abbia assunto un nuova concezione allargando detto concetto alla famiglia intesa come comunità con la conseguenza che vengono tutelati gli interessi di tutti i suoi componenti. Proprio da tale concetto, si evidenzia come il rispetto della dignità e della personalità di ogni individuo che compone la famiglia assume i connotati dei diritti inviolabili che se violati, anche da un terzo, costituisce un illecito endofamiliare la cui tutela la si trova nella responsabilità civile. Nella fattispecie che ci occupa, la conseguenza logica è quindi che la figlia ha diritto al risarcimento del danno che abbia patito in conseguenza dell'assenza del genitore. Conseguentemente incombe sul componente della famiglia, nella fattispecie la figlia, l'onere di allegare e documentare e, in presenza di contestazioni, di provare, (del caso) lo status di figlio, l'effettiva violazione dei diritti, la cui tutela deve essere costituzionalmente garantita, ed il comportamento del genitore che in maniera consapevole e colposa abbia violato detti diritti. Per quanto attiene invece alla quantificazione del danno, va osservato, che non richiede una specifica dimostrazione probatoria dettagliata e neppure riferimenti fattuali. Ed invero, il quantum debeatur della voce di pregiudizio, secondo la Giurisprudenza non ha precise quantificazioni monetarie e, conseguentemente deve essere liquidato dal Giudice in via equitativa ex art. 1226 c.c.. In particolare, consistendo il danno nella perdita del rapporto parentale di cui ogni figlio ha diritto, la quantificazione dello stesso può incontrare una liquidazione per indici presuntivi e secondo nozioni di comune esperienza la cui voce può essere risarcita utilizzando delle tabelle giurisprudenziali adottate dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano la cui voce di riferimento è “perdita del genitore”. Va evidenziato tuttavia che dette tabelle fanno riferimento alla perdita definitiva del genitore a causa di morte di quest'ultimo e pertanto devono essere rideterminate nel caso di abbandono morale e materiale alla fattispecie a cui devono essere applicate avuto riguardo del lasso di tempo trascorso e delle condizioni di fatto dell'illecito contestato. Discende da quanto fino ad ora esposto che, in base ai nuovi orientamenti giurisprudenziali, viene in particolare tutelata la dignità dell'individuo che ha lo scopo di garantire ristoro in tutti quei casi ove la violazione dei doveri nascenti dal diritto di famiglia si traducano in compromissione dei diritti fondamentali della persona in se e per se considerata. |