La natura del procedimento e i poteri presidenziali dopo il diniego del PM all’accordo di negoziazione assistita
03 Giugno 2015
Massima
Il procedimento che si instaura a seguito della trasmissione dell'accordo a cura del pubblico ministero, in guisa della ritenuta incompatibilità delle condizioni stabilite nell'accordo con gli interessi della prole, ha natura giurisdizionale ed è assimilabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione, sicché si svolge in camera di consiglio e si conclude, sentite le parti, con provvedimento avente la forma di ordinanza. In sede presidenziale, le condizioni concordate possono essere modificate od integrate, su iniziativa delle parti o su sollecito del presidente, ovvero confermate. In ogni caso, il procedimento si chiude con il rilascio dell'autorizzazione ovvero con il definitivo rigetto, senza che sia precluso al presidente, sulla scorta di una rinnovata valutazione delle condizioni all'origine stabilite, di autorizzare l'accordo, in difformità dal parere espresso dal pubblico ministero. La trasmissione al presidente ed il conseguente diniego di autorizzazione non implicano l'apertura di un procedimento giudiziale di separazione consensuale. Il caso
Tizio e Caia, genitori delle figlie minorenni Mevia e Sempronia, avevano raggiunto un accordo in sede di negoziazione assistita per la soluzione consensuale della loro separazione personale, prevedendo - quanto alle statuizioni di natura economica - che il padre dovesse corrispondere alla madre l'importo mensile di euro 800,00, rivalutabile annualmente secondo gli indici Istat, per il mantenimento di entrambe le figlie. Il pubblico ministero aveva negato l'autorizzazione, ritenendo che la situazione reddituale e patrimoniale del padre non rendesse congrua la misura concordata del mantenimento nell'interesse della prole, oltre che rispetto al tenore di vita goduto dalla prole in costanza di matrimonio. Di conseguenza, aveva trasmesso gli atti al presidente del tribunale. Il presidente del tribunale cui gli atti erano trasmessi, sentite le parti, le quali avevano confermato le condizioni di cui all'accordo, considerate le misure economiche nel loro complesso, anche con riguardo alla previsione:
In motivazione, il provvedimento presidenziale evidenziava: «… il procedimento, che si instaura a seguito della trasmissione dell'accordo da parte del P.M. con la denegata autorizzazione per la ritenuta non rispondenza all'interesse dei figli, in quanto si svolge davanti ad un organo giurisdizionale, nel contraddittorio dei coniugi, abbia (ha) natura giurisdizionale e non avendo ad oggetto una controversia tra le parti, bensì un accordo consensualmente raggiunto, è assimilabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione, che si svolge nelle forme dei procedimenti in camera di consiglio e si conclude, sentite le parti e, quindi, nel contraddittorio delle stesse, con ordinanza». Il medesimo provvedimento significativamente aggiungeva: «… in ordine ai poteri di verifica da parte dell'organo giurisdizionale della corrispondenza delle condizioni pattuite all'interesse dei figli, posto che il parere del P.M. è obbligatorio ma non certamente vincolante, deve ritenersi che il presidente del Tribunale, rivalutate le condizioni, le ragioni addotte a sostegno dell'accordo e la documentazione allegata, possa, in difformità dal parere del P.M., ravvisare, invece, l'adeguatezza delle condizioni e sufficientemente salvaguardati gli interessi della prole, così da potere autorizzare l'accordo». Del resto, la medesima ordinanza precisava che, per effetto della trasmissione degli atti dal pubblico ministero al presidente del tribunale, non si apriva un procedimento giudiziale di separazione consensuale né tale mutamento del rito si poteva ritenere automaticamente integrato in conseguenza del rigetto dell'autorizzazione a cura del presidente adito. Sul punto, l'ordinanza rilevava che “non appare ammissibile, in caso di diniego dell'autorizzazione, una possibilità di trasformazione di tale rito, seppure anomalo, in quello proprio della separazione consensuale ex art. 711 c.p.c., non escludendo, ad evidenza, l'eventuale rigetto della richiesta autorizzazione e la normativa in esame la proponibilità di un successivo autonomo ricorso per separazione consensuale, il cui ordinario procedimento si conclude con il decreto di omologazione da parte del Tribunale, dopo la valutazione della rispondenza delle condizioni riguardanti i figli al loro interesse». La questione
La questione in esame è la seguente: qualora, all'esito di diniego di autorizzazione a cura del pubblico ministero adito per la ritenuta non rispondenza agli interessi della prole delle condizioni stabilite nell'accordo raggiunto in sede di negoziazione assistita per la composizione della crisi familiare, gli atti siano trasmessi al presidente del tribunale, il quale deve provvedere senza ritardo dopo avere disposto la comparizione delle parti, si apre un procedimento giudiziale assimilabile ai procedimenti di separazione consensuale o di divorzio congiunto ovvero di modifica concordata delle condizioni di separazione o divorzio oppure si apre un procedimento sui generis? Le soluzioni giuridiche
Sostanzialmente e sinteticamente sul punto si oppongono due diverse soluzioni.
a) Secondo la prima soluzione, la trasmissione degli atti al presidente del tribunale da parte del pubblico ministero che abbia negato il rilascio dell'autorizzazione, alla stregua della valutazione sfavorevole delle condizioni stabilite nell'accordo agli interessi dei figli, equivale ad una disposizione d'ufficio del mutamento del rito: la negoziazione assistita avente ad oggetto la separazione o il divorzio o la modifica delle condizioni di separazione o divorzio, quando vi sia prole, si trasforma in procedimento giudiziale di separazione o di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione o divorzio quando l'accordo conclusivo della procedura di negoziazione non sia approvato dal pubblico ministero competente. Sicché la trasmissione disposta dal pubblico ministero al presidente del tribunale introduce d'ufficio il procedimento di separazione consensuale, che potrà concludersi con un'eventuale omologa ovvero con il rigetto ai sensi degli art. 158, comma 2, c.c. e art.711 c.p.c., oppure il procedimento di divorzio congiunto, che potrà concludersi con una sentenza di divorzio ovvero con il mutamento del rito del divorzio da congiunto in contenzioso, ai sensi dell'art. 4, comma 16, L. div. (L. n. 898/1970), oppure il procedimento camerale di modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell'art. 710 c.p.c. o delle condizioni di divorzio ai sensi dell'art. 9 L. div., che potranno concludersi con la disposizione delle stesse modifiche concordate dalle parti ovvero con la disposizione di modifiche previste d'ufficio nell'interesse della prole. Tale opzione presenta un limite: si imporrebbe alle parti l'introduzione di un procedimento giudiziale, senza che esse lo abbiano voluto, in spregio al principio della domanda ex art. 99 c.p.c.. Le parti avrebbero voluto l'autorizzazione dell'accordo concluso a seguito della procedura di negoziazione assistita, proprio perché non intendevano aderire al modello giudiziale della separazione consensuale, del divorzio congiunto ovvero delle modifiche concordate delle condizioni di separazione o divorzio, ma si troverebbero, loro malgrado, a sottostare proprio al procedimento che desideravano evitare. Si tratterebbe di un procedimento giudiziale imposto, che si pone in antitesi con l'art. 24 Cost.. Sennonché il procedimento, a seguito della mancata autorizzazione del pubblico ministero, non può essere “giurisdizionalizzato” di per sé in un normale procedimento di separazione personale consensuale o di divorzio congiunto, poiché siffatta possibilità contrasterebbe con gli artt. 99 e 112 c.p.c. Questa critica è altresì mossa da ord. Trib. Torino, 15 gennaio 2015.
b) In base alla ricostruzione alternativa, i poteri spettanti al presidente del tribunale, cui gli atti sono trasmessi, sono anch'essi sui generis e non richiamano altri procedimenti già contemplati dall'ordinamento giuridico. Essi devono essere letti alla luce dei seguenti tre elementi significativi, che possono trarsi dalla lettura della norma:
Il coinvolgimento del presidente, ovvero dello stesso organo competente per la prima fase delle cause di separazione e divorzio, non può che interpretarsi quale passaggio a garanzia di diritti indisponibili, in particolare di quelli riferibili alla posizione dei figli. In questo senso si è pronunciata, oltre all'ordinanza in commento, anche l'ord. Trib. Torino, 20 aprile 2015. Osservazioni
L'indirizzo cui aderisce l'ordinanza annotata appare più persuasivo, non solo perché non può essere imposta alle parti l'introduzione di un procedimento giudiziale che esse hanno, invece, espressamente inteso evitare attraverso il ricorso alla procedura di negoziazione assistita, ma anche perché nessun richiamo testuale a tale introduzione è contenuto nella previsione, seppure laconica, di cui al secondo comma dell'art. 6, D.l. n. 132/2014, convertito in L. n. 162/2014. D'altronde, il legislatore attribuisce una specifica competenza in proposito ad un organo giudiziale di natura monocratica, cioè al presidente del tribunale, non già ad un organo collegiale. Di contro, separazione consensuale, divorzio congiunto e modifica delle condizioni di separazione e divorzio avviati in sede giudiziale spettano alla competenza del tribunale in composizione collegiale. Il richiamo all'audizione delle parti e alla pronuncia senza ritardo è, per converso, emblematico dell'introduzione di un procedimento speciale, di pertinenza presidenziale, che è destinato a concludersi davanti al presidente con un provvedimento autorizzativo ovvero definitivamente reiettivo dell'autorizzazione invocata. Ciò non toglie che, per esclusiva iniziativa delle parti, in conseguenza di detto diniego, le parti possano intraprendere la via giudiziale, non avendo il rigetto del presidente alcuna valenza preclusiva. Ma ciò è rimesso alla volontà delle parti, non già ad una trasformazione del rito imposta dalla struttura della procedura di negoziazione assistita. Pertanto, il presidente del tribunale, in conseguenza della trasmissione degli atti e dell'audizione delle parti, preso atto delle ragioni poste dal pubblico ministero a fondamento del diniego di autorizzazione, potrà provvedere secondo i modelli che seguono.
Sicché la trasmissione degli atti da parte del pubblico ministero introduce una procedura nuova e in parte atipica poiché al presidente stesso è demandata la decisione circa la congruità dell'accordo privato, disatteso dalla procura della Repubblica, persino in casi in cui, sulla base delle disposizioni processuali vigenti - e qui sta uno degli aspetti atipici -, la competenza su un ipotetico medesimo ricorso avanzato direttamente in sede giudiziale sarebbe spettata al tribunale in composizione collegiale (artt. 710 c.p.c. e 9 L. div.). Con riferimento alla natura del procedimento che si apre davanti al presidente del tribunale in seguito al diniego di autorizzazione della procura, la fase del procedimento di negoziazione assistita da avvocati celebrata dinanzi al presidente va qualificata come procedura di volontaria giurisdizione che si conclude con decreto motivato (secondo il provvedimento annotato con ordinanza). Sul piano più strettamente processuale, detta fase si apre con la ricezione dell'accordo, della documentazione allegata e del rifiuto da parte della procura della Repubblica. Sicché essa può essere in senso lato ricondotta alle forme del giudizio camerale, pur discostandosi dalle disposizioni comuni degli artt. 737 e ss. c.p.c., che rappresenta un contenitore processuale per così dire “minimo” (autorevole dottrina ha utilizzato l'efficace l'espressione di “incidente giurisdizionale” della negoziazione assistita), ma al contempo imprescindibile se, come detto, le finalità dell'intervento sono quelle sopra delineate, per il perseguimento delle quali il presidente ha, inoltre, una possibilità di interlocuzione diretta con le parti, in occasione dell'udienza ex art. 6, senz'altro utile per meglio vagliare gli aspetti critici posti in evidenza del diniego del pubblico ministero, per il quale la legge sembra precludere analoga possibilità. La possibilità di ricorrere, dopo il diniego del presidente che chiude il procedimento, ad ulteriore negoziazione o al procedimento giudiziale dovrebbe escludere, in assenza di valenza preclusiva di tale rigetto, la facoltà di reclamare il provvedimento reiettivo presidenziale davanti al tribunale in composizione collegiale. Si ritiene, altresì, che l'appendice procedimentale che si innesta davanti al presidente, con conseguente apertura di un fascicolo e relativa iscrizione a ruolo, non rientri tra le fattispecie in cui il pubblico ministero ha facoltà di intervento ai sensi dell'art. 70, n. 2, c.p.c., alla stregua del ruolo da questi rivestito nella fase preliminare alla trasmissione degli atti al presidente e del parere già espresso sulle condizioni dell'accordo. Sicché la fissazione dell'udienza presidenziale di comparizione delle parti non deve essergli comunicata. Guida all'approfondimento
F. Danovi, I nuovi modelli di separazione e divorzio: una intricata pluralità di protagonisti, in Fam. e dir., 2014, 12, 1141. |