Anche la Cassazione riconosce la stepchild adoption

Annamaria Fasano
03 Ottobre 2016

Nel procedimento di adozione in casi particolari, di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) l. 4 maggio 1983, n. 184 non è configurabile un conflitto di interessi “in re ipsa” anche solo potenziale, tra il minore adottando ed il genitore legale rappresentante...
Massima

Nel procedimento di adozione in casi particolari, di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) l. 4 maggio 1983, n. 184 non è configurabile un conflitto di interessi in re ipsa anche solo potenziale, tra il minore adottando ed il genitore legale rappresentante, che imponga la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., dovendo, anzi, individuarsi nella necessità dell'assenso del genitore dell'adottando, una chiara indicazione contraria all'ipotizzabilità astratta di tale conflitto, che, invece, va accertato in concreto da parte del giudice di merito. L'art. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983 integra una clausola di chiusura del sistema, intesa a consentire l'adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione tra adottante ed adottato, con l'unica previsione della condicio legis della «constatata impossibilità di affidamento preadottivo», che va intesa, in coerenza con lo stato di evoluzione del sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva, come impossibilità “di diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non di impossibilità “di fatto”, derivante da una situazione di abbandono del minore in senso tecnico – giuridico.

Il caso

M.C., legata da una lunga relazione sentimentale e di convivenza con O.O., proponeva dinanzi al Tribunale dei minorenni di Roma, ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983, domanda di adozione della figlia minore, nata in Spagna con la procedura di procreazione medicalmente assistita. Il Tribunale di Roma, con sentenza 30 luglio 2014, n. 299, disponeva farsi luogo all'adozione con conseguente aggiunta del cognome di quest'ultima a quello della minore. A seguito dell'impugnazione proposta dal pubblico ministero minorile avverso tale sentenza, la Corte di Appello di Roma, sezione minorenni, confermava la pronuncia del tribunale. Avverso tale sentenza, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura. Con il primo motivo ha criticato la sentenza impugnata per l'omessa nomina del curatore speciale del minore, ai sensi dell'art. 78 c.p.c., nel procedimento di adozione, ravvisando un conflitto di interessi in re ipsa. Con il secondo motivo di censura ha rilevato un errore nell'applicazione dell'art. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983, sostenendo che la constatata impossibilità di affidamento preadottivo presuppone sempre la preesistenza di una situazione di abbandono. All'udienza di discussione innanzi al collegio della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto: a) in via preliminare, la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite, perché involgente una questione di massima particolare importanza; b) in via subordinata, l'accoglimento del ricorso, ritenendo inapplicabile alla fattispecie dedotta nel giudizio l'art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983, in quanto tutta la disciplina normativa relativa all'adozione, comprensiva dell'art. 44, è rivolta alla tutela dell'infanzia maltrattata, abbandonata ed abusata, mentre nel caso di specie la minore ha un genitore legittimo che si prende cura di lei; inoltre, l'interpretazione della condicio legis «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo», che non richiede la preventiva esistenza di una condizione di abbandono, determina un aggiramento del limite contenuto nella lettera b) dello stesso art. 44 cit., il quale consente soltanto l'adozione del figlio del coniuge ed esclude tale possibilità per le coppie eterosessuali o dello stesso sesso che non siano unite in matrimonio. Si duole, altresì, del fatto che la Corte di appello di Roma non aveva neanche tentato un'interpretazione costituzionalmente orientata della lettera b) dell'art. 44, volta ad estendere l'applicazione anche alle coppie di fatto, né aveva ritenuto di sollevare eccezione di illegittimità costituzionale della norma per disparità di trattamento tra le unioni matrimoniali e le altre forme di relazione stabile oppure per discriminazione dovuta ad orientamento sessuale, ma aveva ritenuto applicabile la lettera d) nonostante il carattere derogatorio e di stretta interpretazione della norma; infine, a fronte di un'ampia varietà di situazioni familiari stabili e meritevoli di tutela, sostiene che deve ritenersi messa al legislatore la scelta in ordine ai valori e ai diritti da tutelare.

La questione

La sentenza n. 12962/2016 della Suprema Corte esamina la possibilità di consentire nel nostro ordinamento l'applicabilità della stepchild adoption, originariamente prevista dall'art. 5 del disegno di legge Cirinnà, poi stralciata in fase di stesura definitiva, la quale consente di adottare, in casi particolari, il figlio del partner dell'unione civile, tramite una modifica dell'art. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983, che attribuisce tale facoltà al solo coniuge e non al convivente o al single. L'istituto della stepchild adoption è in realtà di mera creazione giurisprudenziale, e prende analogicamente le mosse dall'adozione in casi particolari, prevista dal citato art. 44 l. n. 184/1983, avente la finalità di dare riconoscimento giuridico, previo rigoroso accertamento della corrispondenza della scelta all'interesse del minore, a relazioni affettive continuative e di natura stabile, caratterizzate dall'adempimento di doveri di accudimento, di assistenza, di cura e di educazione analoghi a quelli genitoriali. La ratio è quella di consolidare, ove ricorrano le condizioni stabilite dalla legge, legami preesistenti e di evitare che si protraggano situazioni di fatto prive di uno statuto giuridico adeguato. La stepchild adoption è un istituto che nasce in molti Paesi europei proprio per garantire maggiore tutela al bambino del compagno o della compagna, dandogli un secondo genitore e assicurandogli l'assistenza morale e materiale in caso di morte dell'unico genitore naturale o adottivo. Benché tale forma di adozione sia stata contrastata a livello politico e non sia consentita dal nostro ordinamento interno, la giurisprudenza di merito, prima ancora dell'indirizzo espresso dalla Suprema Corte, aveva già manifestato notevoli aperture, consentendone in alcuni casi l'applicazione. Si pensi alla pronuncia della Corte d'appello diTorino, 29 ottobre 2014, con riferimento al caso dell'Ufficiale dello Stato civile che aveva respinto la trascrizione dell'atto di nascita di un minore, nato in Spagna, con fecondazione eterologa, da due donne omosessuali sposate. Il Tribunale di Torino aveva ravvisato la contrarietà all'ordine pubblico interno, negando la trascrizione. Avverso tale decisione ricorrevano le due donne e la Corte di appello si pronunciava sostenendo che l'atto di nascita del bambino poteva essere trascritto in Italia, poiché non si trattava di introdurre ex novo una situazione giuridica inesistente, ma di garantire la copertura giuridica ad una situazione di fatto in essere da diverso tempo nell'esclusivo interesse di un bambino che era stato cresciuto da due donne che la legge riconosceva entrambe come madri.

Si segnala, inoltre, la sentenza della Corte di appello di Milano, sez. fam., 1 dicembre 2015, n. 2543, che ha esaminato la questione del riconoscimento nel nostro Stato, che non prevedeva al momento della decisione l'istituto delle «unioni civili tra persone dello stesso sesso», della stepchild adoption, anche per le coppie omosessuali e, segnatamente, della validità ed efficacia in Italia del provvedimento giudiziario spagnolo decretante l'adozione della figlia biologica del partner omosessuale. Il giudice di secondo grado ha accolto la richiesta di trascrizione in Italia, nei registri dello stato civile, dell'ordinanza con cui l'autorità giudiziaria spagnola aveva dichiarato l'adozione da parte della moglie della madre biologica della minore, sganciando tale delibazione da quella relativa alla trascrivibilità del matrimonio e facendo ricorso ai principi cardine di rilevanza nazionale e sovranazionale che devono ispirare il legislatore e l'interprete in materia di tutela e adozione dei minori, a partire dalla previsione costituzionale dell'art. 30 Cost., ritenendo conseguentemente efficace anche nel nostro ordinamento la situazione giuridica di adozione piena o legittimante del minore. Meritano menzione le due sentenze della Corte di Appello di Torino, 27 maggio 2016, nn. 27 e 28, con cui si è riconosciuta l'adozione delle figlie biologiche di una delle componenti delle coppie omosessuali da parte delle rispettive compagne.

La sentenza n. 12962/2016 della Corte di Cassazione, anticipata dalle sopra menzionate decisioni di merito, affrontal'esatta delimitazione dell'ambito di applicazionedell'ipotesi normativa di adozione in casi particolari disciplinata nell'art. 44, comma 1, lett. d) l. n. 184/1983, concentrandosi sull'interpretazione della disposizione «constatata l'impossibilità di affidamento preadottivo», presupposto indispensabile per l'applicazione di tale forma di adozione. L'adozione “piena” non è stata mai consentita alla coppia omosessuale, in quanto riservata solo ai coniugi. A tal fine si deve ricordare che l'art. 1, comma 20, l. 20 maggio 2016, n. 76 esclude espressamente l'estensione alla parte dell'unione civile delle previsioni relative al coniuge, contemplate in disposizioni normative diverse dal codice civile, e quindi l'applicazione delle disposizioni di cui alla l. n. 184/1983. L' inquadramento della questione impone preliminarmente di precisare che nella fattispecie, il rapporto di filiazione esistente tra la minore e la madre biologica e legale, al pari del rapporto che lega la bambina alla richiedente l'adozione ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d), citato, non è riconducibile ad alcune delle forme di cosiddetta «surrogazione di maternità» realizzate mediante l'affidamento della gestazione a terzi: la minore, infatti, è stata riconosciuta dalla donna che l'ha partorita, in applicazione dell'art. 269, comma 3, c.c.

Esaminando con ordine le questioni affrontate dalla decisione, la Corte rigetta l'eccezione di conflitto d'interessi tra l'interesse della madre ad ottenere il riconoscimento giuridico dell'unione con la propria partner e quello, autonomo, della minore adottanda. Si conclude che all'interno di un contesto normativo finalizzato ad assicurare al minore la continuità e la stabilità dei legami affettivi strutturati con figure di riferimento considerate come genitoriali, non può ravvisarsi una situazione di incompatibilità d'interessi in re ipsa, desumibile daun modello adottivo astratto, tra il genitore – legale rappresentante ed il minore adottando, dovendo anzi individuarsi nella necessità dell'assenso del genitore dell'adottando, una chiara indicazione contraria ad ogni ipotesi di conflitto. Il tribunale per i minorenni, infatti, per ogni ipotesi di adozione non legittimante, oltre all'acquisizione dell'assenso del genitore dell'adottando, deve svolgere l'indagine se l'adozione in concreto realizza il preminente interesse del minore. Con riferimento all'istituto dell'adozione richiamato, la Corte precisa che l'art. 44, comma 1, stabilisce che l'accertamento di una situazione di abbandono (art. 8, comma 1, l. n. 184/1983) non costituisce, differentemente dall'adozione legittimante, una condizione necessaria per l'adozione in casi particolari, e che tale prescrizione di carattere generale si applica a tutte le ipotesi previste dalle lettere a), b), c) e d) dello stesso art. 44 l. n. 184/1983. Infatti, tale norma dispone che: “i minori possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni di cui al comma 1, dell'art. 7” e il richiamato art. 7, comma 1, l. n. 184/1983 stabilisce come condizione necessaria per l'adozione legittimante la dichiarazione di adottabilità, la quale presuppone a sua volta l'accertamento della situazione di abbandono così come prescritto dall'art. 8, comma 1, l. n. 184/1983. Ne consegue che l'adozione in casi particolari può essere dichiarata a prescindere dalla sussistenza di una situazione di abbandono del minore adottando.

Testualmente si ribadisce: «sostenere invece che, per integrare la condizione della “constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo”, debba sempre sussistere la situazione di abbandono, oltreché contrastare con l'art. 44, comma 1, l. n. 184/1983 nella parte in cui ne esclude la necessità per tutte le ipotesi descritte dalla norma, senza distinzione tra le singole fattispecie, come invece si riscontra nell'art. 44, comma 3, l. n. 184/1983 relativamente agli altri requisisti relativi all'età o all'insussistenza dello status coniugale, condurrebbe sempre ad escludere che, nell'ipotesi di cui alla lettera d), l'adozione possa conseguire ad una relazione già instaurata e consolidata con il minore, essendo tale condizione relazionale contrastante con l'accertamento di una situazione di abbandono così come descritta nel citato art. 8, comma 1, l. n. 184/1983 (…) al riguardo deve ritenersi che si siano due modelli di adozione, quella legittimante, fondata sulla condizione di abbandono del minore, e quella non legittimante, fondata su requisiti diversi sia in ordine alla situazione di fatto nella quale versa il minore, sia in ordine alla relazione con il richiedente l'adozione». Conclude, quindi, affermando che con riferimento all' espressione «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo» deve ritenersi sufficiente l'impossibilità “di diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella di “fatto”, derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico – giuridico o di semi abbandono.

Osservazioni

Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione non ha condiviso l'impostazione offerta dalla Corte di Appello, essendo favorevole ad un'interpretazione restrittiva, da intendersi come l'impossibilità di fatto, che richiede comunque la preesistenza della situazione di abbandono del minore, e la cui ratio viene individuata nell'intento di scoraggiare pratiche di affidamento di minori a terzi da parte di genitori inadeguati, in aggiramento del rigoroso regime dell'adozione legittimante. Un'interpretazione più ampia, condivisa dalla giurisprudenza dei tribunali per i minorenni nonché dalla Suprema Corte nella decisione in commento, ritiene che l'affermazione normativa «constatata l'impossibilità dell'affidamento preadottivo» vada interpretata in senso estensivo, ovvero come impossibilità giuridica, connessa all'esistenza di rapporti affettivi tra il minore e i suoi genitori biologici, che tuttavia sono inadeguati a prendersene cura. In questi casi occorre non recidere i rapporti tra il minore ed i genitori biologici (come avviene nell'adozione legittimante), garantendo allo stesso tempo il diritto del minore ad una adeguata assistenza. La soluzione prospettata dalla Corte va condivisa, in quanto l'adozione non legittimante non mira a costituire un nuovo rapporto di filiazione, ma persegue lo scopo di attribuire un ambiente familiare idoneo nell'interesse del minore.

La Corte argomenta, infatti, che con riferimento alle quattro fattispecie di adozione in casi particolari previste dall'art. 44 l. n. 184/1983, quella contrassegnata dalla lettera d) è caratterizzata da un grado di determinazione inferiore alle altre tre, in quanto nessun requisito viene indicato per definire i profili dell'adottante e dell'adottato, essendo soltanto prevista la condicio legis della «constatata impossibilità dell'affidamento preadottivo». Richiama, a sostegno della tesi, la l. 19 ottobre 2015, n. 173 recentemente introdotta a tutela della salvaguardia della continuità affettiva e conclude ritenendo che l'interpretazione dell'espressione «constatata l'impossibilità dell'affidamento preadottivo», adottata dalla Corte di appello di Roma, sia corretta, in quanto è coerente con il sistema della tutela dei minori e dei rapporti di filiazione biologica ed adottiva attualmente vigente, ritenendosi sufficiente l'impossibilità “di diritto” di procedere all'affidamento preadottivo e non solo quella “di fatto”, derivante da un condizione di abbandono in senso tecnico – giuridico o di semi abbandono (art. 8, comma 1 cit.). La Suprema Corte richiama anche la giurisprudenza della Corte EDU, 27 gennaio 2015, Paradiso e Campanelli c. Italia secondo la quale il rapporto affettivo che si sia consolidato all'interno di un nucleo familiare, in senso stretto o tradizionale o comunque ad esso omologabile per il suo contenuto relazionale, deve essere conservato anche a prescindere dalla corrispondenza con rapporti giuridicamente riconosciuti, salvo che vi sia un accertamento di fatto contrario a questa soluzione. Oltre al fatto che, in ragione della giurisprudenza sovranazionale, va elisa ogni forma di discriminazione tra coppie omosessuali e coppie eterosessuali. A tal fine, merita menzione la sentenza della Corte EDU, 13 febbraio 2013, emessa contro l'Austria, che ha affermato il principio secondo cui il partner ha diritto di adottare i figli del proprio compagno, pena la violazione degli artt. 14 e 8 CEDU, determinandosi in caso contrario una ingiustificata disparità di regime giuridico tra coppie eterosessuali e coppie formate da persone dello stesso sesso. La soluzione prospettata dalla Corte, si allinea alla precise indicazioni della giurisprudenza sovranazionale, ferma restando la differenza tra matrimonio e unione civile, essendo l'adozione legittimante consentita esclusivamente in favore di coppie coniugate. La soluzione alle difficoltà emerse nella prassi deve essere garantita da un intervento legislativo, ed attualmente è pendente davanti al Senato, in tema di adozione comparentale, la proposta di legge S. 2301 di iniziativa del senatore Marconi, che prevede l'applicazione dell'adozione in casi particolari ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. b) l. cit. anche in favore del partner di un'unione civile tra persone dello stesso sesso.