Il pagamento del prezzo di un immobile da parte del convivente costituisce arricchimento senza giusta causa
04 Gennaio 2016
Massima
Il pagamento di parte del prezzo di un immobile da parte del convivente del compratore non può configurare un contratto (tra venditore e colui che versa il maggior importo) a favore del terzo (compratore), qualora risulti che il prezzo reale della compravendita sia stato concordato tra venditore e compratore e che quest'ultimo fosse consapevole del pagamento da parte del proprio convivente.
Ai sensi dell'art. 2041 c.c. l'avvenuto pagamento di parte del prezzo di un immobile da parte di un convivente, traducendosi in un incremento patrimoniale, costituisce arricchimento ingiustificato qualora la prestazione effettuata travalichi i limiti di proporzionalità ed adeguatezza comparati alle condizioni sociali e patrimoniali dei partners con conseguente esclusione della riconducibilità della prestazione svolta alla disciplina delle obbligazioni naturali tra conviventi. Il caso
Tizio ha convenuto in giudizio l'ex convivente, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 170.000,00 pari alla differenza tra l'importo di acquisto risultante dal rogito di compravendita e quello reale. Sia il Tribunale sia la Corte d'appello hanno accolto la domanda, formulata ai sensi dell'art. 2041 c.c. Nel caso di specie, la Corte di merito ha ritenuto accertata l'esistenza di un contratto intervenuto solo tra Caia e il venditore, nonché il versamento da parte di Tizio al venditore dell'importo corrispondente alla differenza fra quello risultante dal contratto scritto e quello realmente convenuto, ha escluso la configurabilità di un contratto a favore di terzo e ritenuto applicabile l'art. 2041 c.c. in riferimento alla prestazione effettuata da un partner in favore dell'altro finalizzata all'acquisto di un immobile. La prestazione è stata ritenuta eccedente i limiti di proporzionalità e adeguatezza in considerazione delle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, pertanto, la Corte, ha confermato l'accoglimento della domanda attorea con conseguente esclusione della possibilità di riconduzione della prestazione all'alveo delle obbligazioni naturali scaturenti dal rapporto di convivenza.
Contro la sentenza ha proposto ricorso in Cassazione Caia deducendo: -violazione e falsa applicazione degli art. 2721 e 2722 c.c. per essere Tizio parte del contratto (per tale ragione non doveva, a suo dire, essere ammessa la prova per testi circa il reale prezzo corrisposto da Tizio per l'acquisto dell'immobile); -illogicità e contraddittorietà di motivazione dei fatti di causa per non aver configurato una simulazione relativa parziale; -violazione e falsa applicazione dell'art. 1411 c.c. per avere la Corte escluso la sussistenza del contratto a favore di terzo; -violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2034 c.c. per il mancato riconoscimento dell'obbligazione naturale irripetibile fondata sul rapporto di convivenza. La questione
La Corte affronta in prevalenza due questioni: a) se il versamento da parte di un soggetto estraneo al rapporto contrattuale principale possa configurarsi come contratto a favore del terzo ai sensi dell'art. 1411 c.c. b) l'applicabilità dell'art. 2041 c.c. qualora l'entità della prestazione di un convivente more uxorio a beneficio dell'altro, travalichi i limiti di proporzionalità e adeguatezza, avuto riguardo alle condizioni economiche e sociali delle parti. Le soluzioni giuridiche
Caia, nel resistere all'azione di arricchimento promossa da Tizio, fonda la sua difesa sostenendo l'esistenza di una giusta causa nel pagamento da parte di Tizio del prezzo di parte dell'immobile intestato alla sola Caia. -In via preliminare la Corte di merito ha ritenuto provato l'assunto attoreo del pagamento di parte del prezzo realmente convenuto tra le parti stipulanti (Caia e il venditore) previa ammissibilità della prova per testi ai sensi dell'art. 2722 c.c. in relazione a fatti e non patti e da parte di un terzo estraneo al contratto. Contrariamente a quanto ancora una volta dedotto con ricorso in Cassazione da Tizio, trova nuovamente conferma la posizione di terzo di Tizio nel contratto di compravendita stipulato fra la sola Caia e il venditore e dunque l'ammissibilità della prova per testi circa il prezzo versato dal terzo. -In secondo luogo, circa l'illogicità e contraddittorietà di motivazione dei fatti di causa per non aver configurato una simulazione relativa parziale, la Corte ritiene il motivo inammissibile poiché del tutto nuovo e dedotto per la prima volta in Cassazione. -Quanto all'esistenza di una giusta causa nel pagamento da parte di Tizio del prezzo di parte dell'immobile intestato alla sola Caia, la ricorrente sostiene che l'arricchimento è conseguenza di un contratto, in particolare del contratto a favore di terzo. In tal senso la Corte di merito non trova alcuna difficoltà nell'escluderne la sussistenza. Secondo la ricostruzione di Caia, il contratto sarebbe stato stipulato da Tizio con il venditore, ma è pacifica la mancanza di prova circa l'accordo intervenuto tra gli stessi. Al contrario, risulta provata la circostanza che Caia fosse a conoscenza del pagamento della differenza da parte di Tizio come risultante anche da un documento sottoscritto dalla stessa contenente l'offerta al venditore per l'importo maggiore con un contratto informale, per un importo minore con l'atto notarile. Per pacifica giurisprudenza, nel contratto a favore di terzo, quest'ultimo deve rimanere comunque estraneo alla stipulazione: il suo ruolo si limita alla dichiarazione di voler profittare del beneficio (o all'eventuale dichiarazione di rifiuto del medesimo) venendo ad assumere una posizione che si può definire come esterna rispetto alla fattispecie contrattuale (Cass. civ., sez. II, n. 5699/1978 ). Il terzo è esterno al contratto, e l'acquisto del suo diritto avviene di per sé (automaticamente) per effetto della stipulazione tra le parti originarie (a differenza del contratto per persona da nominare, dove invece il terzo diviene parte contrattuale). - Caia deduce inoltre, ma solo in memoria, la riconducibilità del versamento ad una donazione indiretta (ma la deduzione non può avere alcun rilievo stante il carattere meramente illustrativo delle memorie). - la ricorrente sostiene infine l'adempimento di un'obbligazione naturale in ragione delle disponibilità economiche del convivente. Sostiene anche, ma del tutto genericamente, un impoverimento remunerato di Caia, facendo riferimento agli asseriti svantaggi subiti dalla stessa a causa del trasferimento in altra città e della vendita della propria casa. In relazione all'asserito adempimento di un'obbligazione naturale da parte di Tizio, la Corte ribadisce quanto già sostenuto dalla recente giurisprudenza. In particolare rileva come la prestazione debba risultare adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens. La presunzione di gratuità viene meno ogni qual volta risulti che la prestazione esuli dai doveri di carattere morale e civile di mutua assistenza e collaborazione raffrontata alle qualità e condizioni sociali delle parti. Come nel caso di specie, non può configurare adempimento di un'obbligazione naturale la prestazione che si configuri come mera operazione economico-patrimoniale e che abbia comportato un inspiegabile e illogico arricchimento del convivente more uxorio, con proprio ingiusto danno. La più recente giurisprudenza di legittimità, infatti, si è espressa in questi termini: «L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l'ingiustizia della causa qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell'adempimento di un'obbligazione naturale. E' pertanto possibile configurare l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente “more uxorio” nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalicanti i limiti di proporzionalità ed adeguatezza» (Cfr. Cass. n. 11330/2009). La Corte, nel motivare la sproporzione della prestazione di Tizio in relazione al suo patrimonio, fa esplicito riferimento all'importo della sua pensione (pari ad Euro 2.300 mensili) e alla circostanza della vendita di titoli e azioni per poter procedere alla corresponsione della somma di Euro 170.000,00, oggetto di domanda di ripetizione.
Osservazioni
Ancora una volta viene confermato il prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinario secondo il quale le obbligazioni naturali tra conviventi sussistono solo a determinate condizioni, ovvero quando l'atto dispositivo sia contraddistinto da spontaneità e proporzionalità, quest'ultima sia in relazione alla situazione complessiva del disponente che alla natura del comportamento posto in essere (Cass. 13 marzo 2003, n. 3713; App. Palermo, 15 maggio 2010; Cass. 2009, n. 11330, Cass. 18 settembre 2012, n. 15644; Cass. 30 novembre 2011, n. 25554). Va pertanto ribadito come, nelle sue molteplici applicazioni, il rimedio dell'arricchimento senza giusta causa possa ergersi a regime patrimoniale della famiglia di fatto, concorrendo con quello parallelo dell'obbligazione naturale, eventualmente integrandolo. Mentre quest'ultimo sarà da solo sufficiente a disciplinare quei casi in cui il reciproco dovere morale e sociale di contribuzione abbia ricevuto bilaterale attuazione, al primo si farà riferimento per ricostituire un equilibrio alterato da un'esecuzione soltanto unilaterale dell'obbligazione naturale tra conviventi. Costituisce dunque adempimento di obbligazione naturale ogni attribuzione spontanea compiuta per fini di assistenza morale e materiale, che rispetti i criteri di proporzionalità, dovendo al contrario inquadrarsi sotto il profilo della donazione remuneratoria quell'attribuzione effettuata per riconoscenza nei confronti del convivente che quindi prescinda dal solo aspetto solidaristico già menzionato a fronte di un particolare motivo che determina la volontà del donante. In ogni caso, sempre che il valore dell'attribuzione sia proporzionale “alle particolari prestazioni ricevute”, diversamente l'eccedenza darebbe luogo ad una donazione pura. Nel caso di specie, come osservato dalla Suprema Corte, la ricorrente, restando assolutamente generica, omette di documentare gli svantaggi subiti a causa dell'abbandono della propria città di origine e del lavoro nonché del danno provocato dalla vendita della casa, motivato dal trasferimento in altra città con il convivente. L'assenza di prove e deduzioni in tal senso non consente quindi al giudicante di valutare un'ipotetica proporzionalità tra la prestazione di Tizio ed il sacrificio subito da Caia. Va ancora aggiunto come il Tribunale di Firenze in tema di immobile destinato a comune abitazione (Trib. Firenze, 12 febbraio 2000 n. 594, inedita), abbia ritenuto di dover escludere il ricorso alla figura della donazione - peraltro nella fattispecie in esame dedotta dalla ricorrente con modalità del tutto irrituali - in relazione ai contributi per un acquisto immobiliare effettuato da uno solo dei partners «mancando lo spirito di liberalità, laddove si debba ritenere, in assenza di prova contraria, che colui che investe il proprio danaro in un bene primario come la casa del proprio nucleo familiare ciò faccia, nella previsione che di quella casa continuerà ad usufruire e non con l'intento di donarla alla sola altra parte». |