Separazione e divorzio davanti all’Ufficiale di stato civile: ammessi gli accordi sull’assegno periodico di mantenimento
28 Ottobre 2016
Il caso. Alcune associazioni hanno impugnato presso il TAR Lazio la Circolare del Ministero dell'Interno 24 aprile 2015, n. 6 contenente indicazioni applicative dell'art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014 in base al quale l'accordo fra i coniugi che si avvalgano della procedura semplificata di separazione e cessazione degli effetti civili del matrimonio dinanzi all'ufficiale di stato civile non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. Il TAR ha accolto il ricorso, fornendo un'interpretazione estensiva di tale disposizione ricomprendendo nella nozione di patti di trasferimento patrimoniale tutti gli accordi a contenuto economico stipulati dai coniugi, sia ad effetti reali che ad efficacia obbligatoria (TAR Lazio,sez. I, 7 luglio 2016, n. 7813). Il Ministero dell'interno ha impugnato il provvedimento presso il Consiglio di Stato.
I coniugi possono concordare l'assegno di mantenimento dinanzi all'ufficiale di stato civile. Osserva il Consiglio di Stato che l'espressione «patti di trasferimento patrimoniale» si riferisce letteralmente agli accordi traslativi della proprietà o di altri diritti con i quali i coniugi decidono, tramite assegno una tantum, di regolare i propri rapporti economici «una volta per tutte», invece di prevedere la corresponsione di un assegno periodico. Usando questo termine, quindi, il legislatore non ha inteso proibire tutte le modifiche del patrimonio ma solo gli accordi ad effetti reali che i coniugi non possono inserire tra le condizioni economiche connesse alla separazione personale o al divorzio. Il divieto riguarda, dunque, l'assegno una tantum ma non i patti aventi ad oggetto l'assegno di mantenimento nella separazione consensuale e l'assegno divorzile nella richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio.
L'ufficiale di stato civile non può garantire un controllo sostanziale sui trasferimenti immobiliari. Il Collegio ritiene, inoltre, che un'interpretazione restrittiva del divieto in questione limiterebbe l'operatività dell'istituto ex art. 12 d.l. n. 132/2014 ai soli accordi che modifichino lo status dei coniugi. Al contrario tale diposizione mira ad evitare la realizzazione di trasferimenti immobiliari che, per la loro rilevanza economica, incidano irreversibilmente sul patrimonio dei coniugi e richiedono, quindi, un controllo non solo formale ma anche sostanziale sull'equità delle condizioni, a tutela del coniuge più debole; controllo che esula dalla competenza dell'ufficiale di stato civile.
Un'interpretazione restrittiva del divieto esclude la denegatio tutelae del coniuge più debole. Infine, il Consiglio di Stato sottolinea che la procedura semplificata di separazione o divorzio davanti all'ufficiale di stato civile non comporta l'attribuzione al coniuge “economicamente più forte" di un diritto potestativo alla conclusione del procedimento. Essa, infatti, fondandosi su un modello consensuale e sulla valorizzazione dell'autonomia privata, si presenta come una possibilità offerta ai coniugi di risolvere in via stragiudiziale la crisi matrimoniale. In assenza di accordo, il coniuge “più debole” può rivolgersi a un legale per portare a termine la procedura semplificata o tentare la negoziazione assistita ovvero, adire il Tribunale ed ottenere tutela giurisdizionale. In base a queste considerazioni, quindi, il Consiglio di Stato, in integrale riforma della sentenza del TAR, ha accolto un'interpretazione restrittiva del divieto contenuto nell'art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014, limitandone l'ambito di applicazione ai soli trasferimenti di beni una tantum.
|