Comunione legale e società in accomandita semplice

29 Maggio 2015

È possibile costituire una società in accomandita semplice in cui uno dei due soci accomandanti sia coniugato in regime di comunione legale dei beni con l'unico socio accomandatario?

È possibile costituire una società in accomandita semplice in cui uno dei due soci accomandanti sia coniugato in regime di comunione legale dei beni con l'unico socio accomandatario?

La questione ad oggi è estremante dibattuta: l'ammissibilità di un atto costitutivo di s.a.s. fra coniugi in comunione legale posa su basi controverse e delicate.

Proprio la complessità della questione implica che la scelta del notaio di aderire alla soluzione della ammissibilità di tale società dovrebbe non esporlo al rischio di un'applicazione dell'art. 28 l. not., che ha quale presupposto applicativo che l'atto sia espressamente vietato da una norma di legge (Nota del Consiglio Nazionale del Notariato, 18 maggio 2007, n. 252-2007/C a cura di Ruotolo).

A favore dell'ammissibilità

La disciplina della comunione legale trova applicazione ogniqualvolta le parti non abbiano scelto diversamente. La disciplina societaria, limitatamente a quel rapporto è una scelta, che ne impone la prevalenza sulla disciplina residuale. Sotto tale profilo, senza nulla togliere all'ammissibilità della società, si può valutare attentamente quanto ciò possa costituire una convenzione matrimoniale, e nel caso di risposta positiva, stabilire di rispettarne le forme e la pubblicità.

Inoltre, si deve assolutamente rilevare che le due distinte discipline, societaria e comunione legale, operano su distinti piani: all'interno della società operano le regole del libro V del codice civile; perciò per quanto attiene all'amministrazione, all'esercizio dei diritti sociali, siano essi di voto o patrimoniali, le norme di riferimento saranno quelle societarie; saranno invece regolati dalle norme sulla comunione legale gli aspetti prettamente patrimoniali derivanti dalla partecipazione.

Infine, si deve effettuare una riflessione di tipo costituzionale: impedire una società fra coniugi in comunione legale impingerebbe nel divieto di discriminazione costituzionalmente protetto e garantito, e limiterebbe i diritti di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica.

(In giurisprudenza, Trib. Reggio Emilia, decr., 2 marzo 1981, in Riv. Not., 1981, 196; Trib. Reggio Emilia, decr., 14 - 17 dicembre 1984, in Riv. Not., 1985, 440 ss.; Trib. Catania, 21 gennaio 1983, in Dir. fam. pers., 1984, II, 365; Trib. Ragusa 5 settembre 2000, in Notariato, 2002, 302 ss.).

Il fatto che i coniugi siano l'uno accomandante e l'altro accomandatario permette un'altra riflessione a favore dell'ammissibilità della s.a.s. fra coniugi in comunione legale. Infatti, indiscusso è l'assunto che cadono in comunione soltanto le partecipazioni sociali rispetto alle quali i soci rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti del conferimento. Solo queste ultime, quali le azioni di s.p.a., le quote di s.r.l., le partecipazioni degli accomandanti di s.a.s. e s.a.p.a., cadono nella comunione legale immediata, perché costituiscono degli elementi patrimoniali che rientrano nella nozione di beni ai sensi dell'art. 177 c.c. (Cass. 27 maggio 1999, n. 5172; Cass. 23 settembre 1997, n. 9355, in Giur. it. , 1998, 876; Cass. 18 agosto 1994, n. 7437, in Soc., 1995, 499). Le altre partecipazioni, quali le quote di s.s., s.n.c. e le partecipazioni degli accomandatari di s.a.s. e s.a.p.a., sarebbero invece escluse dalla comunione immediata e devono considerarsi oggetto della sola comunione de residuo prevista dall'art. 178 c.c..

Avverso l'ammissibilità

Tradizionalmente, la costituzione di una società fra i coniugi era considerata inammissibile sulla base del fatto che in tale ipotesi non sussisteva la pluralità dei soci, considerando la comunione come patrimonio unitario ed autonomo.

Tale impostazione però in una moderna lettura è superata dal fatto che la comunione legale non è un soggetto di diritto.

Più delicata invece l'argomentazione fondata sulla mancanza di un'effettiva distribuzione degli utili ai soci e la disciplina societaria sarebbe in aperto contrasto con le norme dettate per l'azienda gestita da entrambi i coniugi.

Anche a fronte di tale pertinente osservazione, mi pare si possa ancora una volta osservare che sia indiscutibilmente possibile convenire ad una preventiva esclusione dell'attività di impresa dalla comunione legale, esclusione da effettuarsi mediante apposita convenzione matrimoniale ex art. 159 c.c., facendo con ciò cadere il rischio di nullità intrinseca dell'atto.

Relativamente alle partecipazioni sociali suscettibili di formare oggetto della comunione legale (azioni di s.p.a., quote di s.r.l., partecipazioni degli accomandanti di s.a.s. e s.a.p.a.), si distingue tra titolarità della quota e legittimazione all'esercizio dei diritti sociali; la quota cade nella comunione essendo bene con un valore economico indiscusso e certo nella sua entità; invece, nei confronti della società è socio solo il coniuge che è iscritto nel libro soci e presso la corrispondente camera di commercio, e perciò è solo costui che è legittimato ad esercitare i diritti sociali e patrimoniali, come è sempre e solo costui l'unico obbligato ai conferimenti.

Questo comporta che gli atti di disposizione nella partecipazione siano soggetti alla disciplina di cui all'art. 180 comma 2 c.c. e qualora il coniuge titolare disponga senza il consenso dell'altro coniuge, sarà obbligato alla ricostituzione del patrimonio ai sensi dell'art. 184 c.c..

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