Adozione del figlio del coniuge

Alberto Figone
29 Maggio 2015

Se una persona sposa altra persona, vedova e con un figlio minore nato dal precedente matrimonio , può dare una forma giuridica al rapporto che ha instaurato con il minore medesimo, anche in previsione di una possibile crisi coniugale?

Se una persona sposa altra persona, vedova e con un figlio minore nato dal precedente matrimonio , può dare una forma giuridica al rapporto che ha instaurato con il minore medesimo, anche in previsione di una possibile crisi coniugale?

La l. n. 184/1984, agli artt. 44 ss. prevede un particolare istituto, denominato «adozione in casi particolari». Esso è finalizzato a garantire l'interesse del minore in tutte quelle situazioni in cui manchi uno «stato di abbandono», e quindi non sia possibile dare corso ad un'adozione “piena”. Al contrario di quest'ultima, l'adozione in casi particolari è possibile anche per una persona singola, ovvero per una coppia non sposata; le fattispecie previste dalla normativa sono peraltro tassative. Tra queste, l'art. 44 lett. b) della l. cit., prevede proprio l'adozione, da parte del coniuge, del figlio minore dell'altro coniuge.

La domanda di adozione in casi particolari va proposta al Tribunale per i minorenni di residenza della famiglia. È richiesto l'assenso dei genitori, e quindi, in primis, del coniuge dell'istante; nel caso di specie, nessun assenso potrà chiedersi all'altro genitore, in quanto deceduto. Più problematica la questione se quegli fosse invece in vita ed assumesse un atteggiamento ostativo. Se il figlio minore ha raggiunto i 12 anni, si rende necessario il suo ascolto, possibile anche in caso di età inferiore, ove il minore stesso fosse ritenuto in grado di adeguata capacità di discernimento. Qualora il minore avesse già 14 anni sarebbe necessario non solo il suo ascolto, ma pure il suo consenso all'adozione: si tratta di una regola comune all'adozione “piena”.

Per effetto dell'adozione in casi particolari, il bambino aggiunge al proprio cognome quello dell'adottante, anteponendolo. Quando l'adozione viene pronunciata in favore del coniuge del genitore, come nel quesito, l'adottante, in base all'art. 48 della l. n. 184/1983, acquisisce la titolarità e l'esercizio della responsabilità genitoriale (quella che, prima del d.lgs. n. 154/2013, si definiva potestà), che dovrà essere gestita in modo condiviso con il genitore biologico. L'adottante, poi, assume a proprio carico i doveri, previsti dall'art. 147 c.c., di mantenere, istruire, educare ed assistere moralmente il figlio. In altri termini, al genitore adottivo viene attributo il condividere con l'altro il progetto educativo del bambino, come se fosse figlio proprio; detta condivisione permarrà pure nel caso di eventuale separazione o divorzio della coppia, dovendosi fare applicazione dei principi generali di cui agli artt. 337-bis ss. c.c., valevoli quando l'evento separatizio riguardi la coppia dei genitori biologici.

Nel contempo, vi sono peraltro differenze, che avvicinano l'adozione in casi particolari alla più tradizionale figura dell'adozione di maggiorenne, le cui norme trovano applicazione in forza del rinvio di cui all'art. 55 l. n. 184/1983: solo l'adottato acquista per legge diritti successori nei confronti dell'adottante, mentre non vale l'inverso. Non sussiste poi, anche se la questione è discussa, rapporto di parentela con i familiari dell'adottante, come si può evincere dall'art. 74 c.c., che peraltro fa solo riferimento all'adozione di maggiorenne.

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