Al via le unioni civili: in Gazzetta Ufficiale il “decreto ponte” che permette l'applicazione concreta della legge
29 Luglio 2016
Inquadramento
E' stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio 2016 n. 175, e da oggi in vigore, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144 dal titolo «Regolamento recante disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile, ai sensi dell'articolo 1, comma 34, della legge 20 maggio 2016, n. 76». In buona sostanza, si tratta del regolamento adottato sulla base dell'art. 1 comma 34 della l. n. 76/2016 grazie al quale si concretizza la possibilità, per le coppie omosessuali, di contrarre un'unione civile. Come chiarito dal Consiglio di Stato, «la normativa, di rango secondario, più circoscritta e di carattere transitorio, [è] necessaria ad assicurare l'immediato adeguamento della disciplina degli archivi dello stato civile […]. Diversamente, rimarrebbe priva di concreta effettività e di concreta fruibilità l'attuale vigenza del nuovo istituto». Pur intervenendo in via transitoria, dal momento che entro il 5 dicembre 2016 dovranno essere adottati i decreti delegati ex art. 1, comma 28, l. n. 76/2016, il regolamento chiarisce alcune delle perplessità che erano emerse a seguito dell'entrata in vigore della legge: una sua attenta lettura, unitamente all'analisi del parere n. 1695/2016 reso dalla Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, dà quindi modo all'interprete di orientarsi con sufficiente sicurezza tra le pieghe della novella legislativa in materia di unioni civili (si veda Unioni civili: il Consiglio di Stato dà parere favorevole al decreto transitorio in ilFamiliarista.it). L'articolo 1 del decreto n. 144/2016 disciplina la richiesta di costituzione di unione civile. Viene chiarito che i soggetti interessati devono effettuare una richiesta congiunta all'ufficiale dello stato civile «del comune di loro scelta». L'espressione è significativa: difatti, vengono risolti i dubbi che erano emersi in sede di prima lettura della l. n. 76/2016; ora è evidente che la coppia omosessuale può unirsi civilmente in un qualsiasi comune italiano. Insistere sul punto non è superfluo dal momento che si registra una sostanziale differenza rispetto all'istituto del matrimonio (la cui celebrazione in un comune diverso dalla residenza di uno dei due sposi deve essere motivata). La richiesta congiunta deve contenere:
Immediatamente dopo aver verificato la richiesta congiunta, l'ufficiale di stato civile ha il compito di redigere un processo verbale, che sottoscriverà unitamente alle parti; queste ultime pertanto dovranno essere personalmente presenti; in caso di impedimento di uno dei soggetti richiedenti, sarà l'ufficiale a doversi trasferire nel luogo ove si trova la parte impedita per ivi raccogliere la richiesta congiunta. In ogni caso, l'ufficiale inviterà le parti a ripresentarsi avanti a lui per rendere congiuntamente la dichiarazione costitutiva dell'unione, in una data scelta dalle stesse parti non inferiore a quindici giorni (ma immediatamente successiva) alla richiesta di cui all'art. 1 comma 1 del decreto.
Le verifiche preliminari
Nelle more del termine di cui sopra, l'ufficiale di stato civile ha il compito di verificare l'esattezza delle dichiarazioni contenute nella richiesta congiunta presentata dalle parti; il decreto esplicitamente prevede che l'ufficiale non solo possa acquisire d'ufficio tutti i documenti che ritenga necessari al fine di provare l'inesistenza delle cause impeditive, ma anche adotti ogni misura per il sollecito svolgimento dell'istruttoria. Può inoltre chiedere la rettifica delle dichiarazioni che reputi erronee o incomplete, oltre all'esibizione di documenti. Infine, l'art. 2, comma 3, del decreto prevede che, nel caso in cui sia accertata l'insussistenza dei presupposti richiesti o la presenza di una causa impeditiva, l'ufficiale ne dia immediata comunicazione a ciascuna delle parti. Tale previsione è significativa perché permette di confermare quanto già sostenuto dai primi commentatori della l. n. 76/2016 in ordine alla circostanza che l'unione civile, così come il matrimonio, non è un provvedimento amministrativo (non risultano quindi applicabili le disposizioni contenute nella l. n. 241/1990, con particolare riferimento – per quanto qui di interesse – al cd. “preavviso di rigetto” ex art. 10 bis). L'articolo 3 del D.P.C.M. prevede che le parti, nel giorno indicato dall'ufficiale di stato civile al momento della richiesta, rendono personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, la dichiarazione di voler costituire un'unione civile; con essa le parti dovranno anche confermare l'assenza di cause impeditive. Così come previsto per il matrimonio, l'ufficiale di stato civile è tenuto a far menzione alle parti dei contenuti della legge fondante l'istituto (con particolare riferimento ai contenuti dei commi 11 e 12 della l. n. 76/2016), ossia della nascita di un rapporto paritetico tra le parti, fondato sull'identità di diritti e di doveri da cui deriva anche l'obbligo reciproco di assistenza morale, materiale e di coabitazione. All'esito, l'ufficiale di stato civile redige idoneo processo verbale, all'interno del quale può essere indicato il regime patrimoniale della separazione dei beni (dovendosi intendere che, in assenza di esplicita dichiarazione, il regime patrimoniale applicabile sarà quello della comunione), che viene sottoscritto anche dalle parti e dai testimoni; tale verbale viene immediatamente inviato in copia ai comuni di nascita di ciascuna delle parti, nel caso in cui l'unione civile sia stata celebrata in un comune diverso. Qualora una delle parti sia impedita, è compito dell'ufficiale di stato civile recarsi nel luogo ove la parte si trovi e per ivi ricevere la dichiarazione costitutiva dell'unione, con le medesime formalità già descritte (presenza di due testimoni; lettura del contenuto dei commi 11 e 12 della l. n. 76/2016; redazione del processo verbale e sottoscrizione). L'eccezionale situazione disciplinata dall'art. 3 comma 7 del decreto (imminente pericolo di vita di una delle due parti) consente all'ufficiale di stato civile di ricevere la dichiarazione costitutiva dell'unione anche in assenza della richiesta prevista dall'art. 1, e quindi immediatamente, senza il rispetto del termine dilatorio di quindici giorni, ma solo previo giuramento delle parti sulla sussistenza dei presupposti per la costituzione dell'unione e sull'assenza di cause impeditive. Nel silenzio della legge e del regolamento, pare doversi ritenere che in questo caso sia comunque necessaria la presenza di due testimoni. In tutti i casi, gli atti dell'unione sono quindi registrati nel «registro provvisorio delle unioni civili», disciplinato dall'art. 9 del D.P.C.M. n. 144/2016, secondo formulari approvati con decreto dal Ministro dell'interno, entro cinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto in commento (ossia entro il 3 agosto). Come ha correttamente sottolineato il Consiglio di Stato, la previsione presenta almeno due punti critici:
Infine, il comma 5 dell'art. 3 del regolamento prevede che in caso di mancata comparizione di anche una sola delle parti nel giorno indicato dall'ufficiale dello stato civile, si deve ritenere che vi sia una rinuncia per facta concludentia alla stipulazione dell'unione civile. L'ufficiale è comunque tenuto a redigere un processo verbale, che deve essere sottoscritto anche dalla parte e dai testimoni, ove presenti, da archiviarsi (unitamente al verbale della richiesta) nel registro provvisorio. La lettura complessiva dell'articolato induce a ritenere che tale forma di rinuncia non precluda alle parti di ripresentare, in seguito, una nuova richiesta per contrarre unione civile. Il cognome
L'articolo 4 del decreto applica le previsioni contenute nell'art. 1, comma 10, l. n. 76/2016 riferibili alla scelta di un comune cognome tra le parti della stipulanda unione civile. In particolare, nella dichiarazione resa davanti all'ufficiale le parti possono indicare il cognome comune che hanno deciso di assumere in costanza di unione civile. La parte che decida di mantenere il proprio cognome, oltre a quello comune, può dichiarare all'ufficiale di stato civile di volerlo anteporre o posporre al proprio. Sarà compito dei competenti uffici dei comuni di residenza delle parti (nel caso in cui l'unione civile sia stata celebrata in un comune differente), dopo aver ricevuto la dichiarazione di cui all'art. 3 comma 3 del D.P.C.M., di annotare nell'atto di nascita la scelta delle parti e aggiornare conseguentemente la scheda anagrafica. Unione a seguito di rettificazione di sesso
Com'è noto, l'art. 1, comma 27, l. n. 76/2016 prevede l'unico caso di costituzione automatica dell'unione civile, e accoglie i rilievi che erano stati espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170/2014, pronunciata nell'ambito di un giudizio promosso da una coppia sposata per ottenere la cancellazione dell'annotazione di cessazione degli effetti del vincolo civile del matrimonio che l'ufficiale di stato civile aveva apposto in calce all'atto di matrimonio, contestualmente all'annotazione, su ordine del tribunale, della rettifica del sesso del marito (da “maschile” a “femminile”). Orbene, la Corte aveva rivolto un monito al legislatore affinché introducesse una forma di unione «che consenta ai due coniugi di evitare il passaggio da uno stato di massima protezione giuridica ad una condizione […] di assoluta indeterminatezza» (C. Cost. n. 170/2014). L'articolo 5 del decreto in esame concretizza le previsioni contenute nella legge sulle unioni civili, prevedendo che i coniugi i quali, a seguito della rettificazione di sesso di uno di essi, intendano avvalersi della possibilità prevista dal citato art. 1 comma 27 l. n. 76/2016, debbano rendere personalmente una dichiarazione congiunta all'ufficiale dello stato civile del comune nel quale fu iscritto (o trascritto) l'atto del matrimonio. Le parti possono scegliere un cognome comune con le modalità indicate nel precedente art. 4 (cfr. anche paragrafo precedente). È quindi compito dell'ufficiale di stato civile annotare gli atti della neo-costituita unione nell'atto di matrimonio delle parti e nei relativi atti di nascita. Se ne deduce in ogni caso che, in assenza di manifestazione di volontà delle parti, a seguito di una sentenza di rettificazione di sesso venga meno qualsiasi tipo di legame tra i soggetti interessati. L'utilizzo del termine «coniugi» induce a ritenere che la volontà delle parti debba essere manifestata contestualmente alla (e comunque prima della) annotazione della rettifica del sesso (in tal senso depone anche il dato letterale dell'articolo: si dice infatti «a seguito della rettificazione di sesso» e non «a seguito della trascrizione della sentenza che ha disposto la rettificazione di sesso»): è infatti dall'annotazione della sentenza che viene meno uno dei requisiti del matrimonio, ossia la diversità di sesso dei coniugi, e si rende quindi necessaria l'immediata sostituzione tra istituti. Non è infatti giuridicamente prospettabile che la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili si manifesti a distanza di tempo dall'annotazione della sentenza di rettificazione (dovendo in tal caso le parti costituire un'unione ex novo, secondo le procedure di cui al comma 2, essendo venuto meno, e in via automatica, il rapporto matrimoniale). Per gli incombenti previsti dall'art. 5 del decreto non è richiesta la presenza di testimoni. Al fine di chiarire i dubbi evidenziati pare comunque rendersi necessario un intervento del legislatore delegato ex art. 1 comma 28 l. n. 76/2016. L'accordo delle parti concluso a seguito del cd. “divorzio breve” e della cd. “convenzione di negoziazione assistita” (rispettivamente artt. 12 e 6 d.l. n. 132/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 162/2014, sulla cui applicabilità nella materia de qua sono stati comunque sollevati dubbi), deve essere ricevuto dall'ufficiale dello stato civile:
L'accordo deve essere iscritto nel registro provvisorio delle unioni civili, ed è annotato negli atti di nascita di ciascuna delle parti; da tale previsione si deve dedurre che, nel caso in cui le parti abbiano contratto l'unione in un comune differente rispetto a quello di nascita e/o di residenza, sarà onere dell'ufficiale che riceve la dichiarazione di trasmetterne copia agli uffici competenti. Solo incidentalmente, e per completezza, si ricorda che l'art. 1 comma 24 l. n. 76/2016 prevede che l'unione civile si sciolga anche per una manifestazione di volontà delle parti; la dichiarazione di volontà deve essere resa, anche disgiuntamente, dall'ufficiale di stato civile (si presume del comune dove è stata celebrata l'unione o del comune di residenza delle parti, atteso il richiamo al citato comma 24 effettuato dall'art. 6 comma 4 del D.P.C.M.); la domanda di scioglimento è quindi proposta trascorso un termine dilatorio di tre mesi dalla manifestazione della volontà. Infine, nel caso in cui le parti intendano sciogliere un'unione costituitasi a seguito di rettificazione di sesso, l'ufficiale di stato civile ha il compito di annotare lo scioglimento anche nell'atto di matrimonio delle parti.
Se l'art. 1 comma 9 l. n. 76/2016 aveva lasciato dubbi circa la natura e l'utilità del «documento attestante la costituzione dell'unione civile», il D.P.C.M. n. 144/2016, all'articolo 7, non fornisce alcun chiarimento all'interprete, limitandosi a riformulare il testo della l. n. 76/2016 e prevedendo che tale documento debba contenere:
Il documento di cui fanno menzione la legge e il decreto pare debba essere assimilato agli estratti degli atti dello stato civile e dei relativi certificati di cui agli artt. 106 e ss. del d.P.R. n. 396/2000, che contiene alcuni dati e informazioni estratti dall'archivio dello stato civile. La certificazione (tale infatti è il «documento» di cui parla l'art. 1 comma 9 l. n. 76/2016, preso atto del significato dell'espressione «relativo documento» da riferirsi al verbo «è certificata») non corrisponde invece agli «atti di unione civile» di cui parlano il comma 3 della l. n.76/2016 e l'art. 3 del decreto in esame, che sono invece gli atti cui fa riferimento l'art. 64 del D.p.r. n. 396/2000 e che devono contenere nome e cognome, luogo e data di nascita, cittadinanza e residenza delle parti dell'unione civile, nome e cognome, luogo e data di nascita e residenza dei testimoni, oltre alla dichiarazione delle parti di voler costituire un'unione civile. L'articolo 7 prevede infine un chiarimento lessicale: laddove è prevista l'indicazione dello stato civile, le parti di un'unione possono utilizzare le formule «unito civilmente» o «unita civilmente». Trascrizioni e nulla osta
Ai sensi dell'art. 8 del D.P.C.M. n. 144/2016, le unioni civili costituite all'estero davanti al capo dell'ufficio consolare sono trascritte negli archivi dello stato civile italiani. Inoltre, viene data la possibilità allo straniero di costituire in Italia un'unione civile: il soggetto deve presentare all'ufficiale dello stato civile, oltre alla richiesta di cui all'art. 1 del regolamento, anche una dichiarazione dell'autorità competente del proprio Paese dalla quale risulti che nulla osta all'unione civile. In relazione a questo punto, il Consiglio di Stato ha correttamente osservato che la disposizione è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. Naturalmente il cittadino di uno Stato estero il quale non preveda, nel suo ordinamento, le unioni civili o istituto assimilabile, può comunque contrarre l'unione in Italia: difatti, come hanno evidenziato i giudici amministrativi, «il diritto di costituire un'unione civile tra persone dello stesso sesso […] è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l'articolo 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri». Infine, nel caso in cui soggetti italiani costituiscano un'unione civile all'estero, i relativi atti sono trasmessi dall'autorità consolare ai fini della trascrizione del registro provvisorio delle unioni civili. L'utilizzo dell'espressione «…gli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all'estero, sono trasmessi…» induce a ritenere che il matrimonio omosessuale contratto all'estero da soggetti italiani debba essere considerato, dall'ordinamento nazionale, quale unione civile. In conclusione
Come si è visto, il D.P.C.M. n. 144/2016 stabilisce alcune regole pratiche affinché sia permessa una prima applicabilità concreta della legge sulle unioni civili. Va da sé che il governo dovrà esercitare la delega contenuta nell'art. 1, comma 28, l. n. 76/2016 entro la scadenza ivi prevista (sei mesi dall'entrata in vigore della legge, ossia entro il 5 dicembre 2016), che è anche la data ultima di validità del decreto qui analizzato. Infine, è importante richiamare quanto evidenziato dal Consiglio di Stato nel suo parere: non è ammessa l'obiezione di coscienza e, conseguentemente, sarà possibile stipulare un'unione civile in qualsiasi comune del territorio italiano. |