Occorre una domanda di accertamento negativo per contestare l’autenticità del testamento olografo
30 Giugno 2015
Il caso. A seguito del decesso del marito, la vedova faceva pubblicare un testamento olografo con il quale le veniva attribuito l'intero patrimonio. Gli altri eredi convenivano in giudizio la donna, impugnando il testamento, ritenuto falso per difetto di autenticità, e rivendicando il proprio diritto al riconoscimento della qualità di eredi oltre alla attribuzione dei beni del de cuius e alla dichiarazione di indegnità della vedova, con conseguente restituzione dei frutti percepiti. Gli attori osservavano, comunque, che dal testamento sembrava che il defunto avesse assegnato alla moglie il solo usufrutto dei beni ereditari mentre ad essi avrebbe attribuito la nuda proprietà. Il Tribunale di Roma, con sentenza del 1981, rigettava le domande, ritenendo che per l'impugnazione di un testamento olografo fosse necessaria la querela di falso e che questa, pur se nella specie ritualmente formulata, fosse priva di prova. In concomitanza con l'appello avverso tale pronuncia, gli appellanti introducevano autonomo giudizio per querela di falso, successivamente estintosi per mancata riassunzione. L'appello proposto avverso la sentenza del 1981 si concludeva (29 ottobre 2007), dopo la verifica di estinzione del separato processo per querela di falso, con il rigetto del gravame, poiché la Corte rilevava «in limine la mancata impugnazione in parte qua della sentenza di primo grado affermativa della necessità della querela».
L'ordinanza di rimessione. Con ordinanza di rimessione del 20 dicembre 2013, n. 28586, la seconda sezione della Corte di Cassazione, investita dei ricorsi riuniti aventi ad oggetto la sentenza di secondo grado e con riguardo al comune motivo relativo allo strumento processuale da utilizzare per contestare l'autenticità di un testamento olografo, rimetteva gli atti al Primo Presidente il quale a sua volta li trasmetteva alle Sezioni Unite per risolvere il contrasto esistente nella giurisprudenza di legittimità sulla materia in esame. A tal fine il provvedimento interlocutorio rilevava la presenza di due orientamenti «diacronicamente opposti» sulla questione.
Primo orientamento: disconoscimento della scrittura privata. Secondo l'ordinanza, sussiste un primo indirizzo in base al quale, nonostante i requisiti di forma previsti dall'art. 602 c.c., il testamento olografo trova collocazione legittima tra le scritture private e quindi, «sul piano dell'efficacia sostanziale, è necessario e sufficiente che colui contro il quale sia prodotto disconosca (rectius, non riconosca) la scrittura, da ciò derivando l'onere della controparte, che alla efficacia di quella scheda abbia invece interesse (perché fonte della delazione ereditaria), di dimostrare la sua provenienza dall'autore apparente». Inoltre, qualora sorga un conflitto tra l'erede legittimo che disconosca l'autenticità del testamento e colui che vanti diritti in forza dello stesso, incombe su quest'ultimo (cui spetta la dimostrazione della qualità di erede) l'onere della proposizione dell'istanza di verificazione del documento contestato, mentre sul primo non ne grava alcuno oltre al disconoscimento. Ulteriore conseguenza è che, per quanto riguarda la ripartizione dell'onere probatorio, non si attribuisce alcun rilievo alla posizione processuale delle parti. Non ha quindi importanza a questo proposito, il fatto che «la falsità del documento sia fatta valere in via principale dall'erede legittimo oppure se, introdotto dall'erede testamentario un giudizio per il riconoscimento dei propri diritti ereditari in forza della scheda testamentaria, questa sia stata disconosciuta dall'erede legittimo».
Secondo orientamento: querela di falso. Un secondo indirizzo, invece, evidenzia la rilevanza sostanziale e processuale del testamento olografo che quindi, pur senza essere iscritto nella categoria degli atti pubblici, richiede per la contestazione della sua autenticità un'eccezione di falso sollevabile soltanto con i modi e con le forme ex artt. 221 ss. c.p.c., con conseguente onere probatorio a carico di chi contesti la genuinità della scheda testamentaria.
Terzo orientamento: accertamento negativo. Dopo un'articolata disamina dei precedenti giurisprudenziali favorevoli all'una o all'altra delle due posizioni, la Suprema Corte richiama l'enunciato della risalente sentenza n. 1545 del 15 giugno 1951 secondo cui «premessa la legittimità della proposizione di un'azione di accertamento negativo in ordine alla provenienza delle scritture private e del testamento olografo, l'onere della prova spetta all'attore che chieda di accertare la non provenienza del documento da chi apparentemente ne risulta l'autore». Di conseguenza la contestazione di genuinità del testamento olografo deve tradursi in una domanda di accertamento negativo della sua validità. Il Collegio ritiene che le «aporie destinate a vulnerare» le due soluzioni proposte dalla giurisprudenza e dalla dottrina, possono essere superare «non del tutto insoddisfacentemente» proprio adottando la terza via esposta dalla citata sentenza. Nonostante sia stata oggetto di numerose obiezioni, tale orientamento consente di:
Principio di diritto. In conclusione, la Corte ha affermato il principio di diritto secondo il quale «la parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa». Riuniti i ricorsi, quindi, accoglie quello principale nei limiti di cui in motivazione, assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Roma in altra composizione. |