Adozione nazionale: indennità di maternità alla libera professionista anche se il minore adottato ha superato il sesto anno di età
04 Dicembre 2015
Massima
L'interesse del minore non può subire discriminazioni arbitrarie, legate al dato accidentale ed estrinseco della tipologia del rapporto di lavoro facente capo alla madre o delle particolarità del rapporto di filiazione che si instaura. Nel negare l'indennità di maternità soltanto alle madri libere professioniste che adottino un minore di nazionalità italiana, quando il minore abbia già compiuto i sei anni di età, la disciplina (art. 72 d. lgs. n. 151/2001 nella versione in vigore fino al 24 giugno 15) si pone in insanabile contrasto con il principio di eguaglianza e con quello di tutela della maternità e dell'infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e del bambino. Il caso
Una libera professionista, commercialista, adottava un minore italiano, nato il 14 luglio 2005, con decorrenza dal 28 febbraio 2013. Proponeva alla propria cassa professionale un'istanza di pagamento dell'indennità di maternità per i cinque mesi successivi all'ingresso del minore nel nucleo familiare. L'Ente previdenziale rigettava però l'istanza perché al momento della domanda il minore aveva superato il sesto anno di età, limite oltre il quale il beneficio non spetta ex art. 72 d. lgs. n. 151/2001. La professionista adiva, quindi, il Tribunale ordinario di Verbania, in funzione di giudice del lavoro, per ottenere il riconoscimento della sua pretesa. Si costituiva la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali chiedendo il rigetto della domanda nel merito alla luce del contenuto della prefata disposizione. In giudizio, sulla scorta delle deduzioni di parte ricorrente, il Tribunale di Verbania sollevava questione di illegittimità costituzionale dell'art. 72 d. lgs. n. 151/2001. La questione
La questione affrontata dalla Corte Costituzionale attiene alla compatibilità costituzionale dell'art. 72 d. lgs. n. 151/2001 - nella versione previgente alle modifiche introdotte con d.lgs. n. 80/2015 - con gli artt. 3, comma 1, 31 comma 2 e 37 comma 1 Cost. nella parte in cui, per il caso di adozione nazionale, concede l'indennità di maternità alla madre libera professionista solo se il bambino non abbia superato i sei anni di età, a differenza di quanto è prescritto nel medesimo T.U., artt. 26 e 27, come modificati dalla l. n. 244/2007, art. 2 comma 452, per l'adozione sia nazionale che internazionale da parte di lavoratrici dipendenti o autonomi, per le quali non opera il suddetto limite di età del minore. Le soluzioni giuridiche
La Corte Costituzionale dichiara fondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dal giudice rimettente. La Consulta parte da una disquisizione sull'indennità di maternità, istituto deputato a realizzare i principi descritti negli artt. 31 comma 2 e 37 comma 2 Cost., posti a tutela sia della donna, madre e lavoratrice, che dell'interesse del minore. Proprio nel perseguimento di tale duplice finalità, il legislatore è intervenuto a più riprese, estendendo il trattamento di maternità anche alle ipotesi di affidamento e adozione. La Corte evidenzia che l'interesse del minore, che trascende le implicazioni meramente biologiche del rapporto con la madre, reclama una tutela efficace di tutte le esigenze connesse a un compiuto e armonico sviluppo della personalità; esigenze che si atteggiano come necessità di assistenza nella delicata fase dell'inserimento in un nuovo nucleo familiare. Proprio per questa nuova pienezza di significato, che trae ispirazione e coerenza dai precetti costituzionali, l'interesse del minore non può patire discriminazioni arbitrarie, legate al dato accidentale ed estrinseco della tipologia del rapporto di lavoro facente capo alla madre o delle particolarità del rapporto di filiazione che si instaura. Inquadrato in tali coordinate, il beneficio dell'indennità di maternità costituisce attuazione del dettato costituzionale, che esige per la madre e per il bambino «una speciale adeguata protezione» (art. 37, comma 1, Cost.). La Corte sottolinea che l'art. 72 d. lgs. n. 151/2001, nel negare l'indennità di maternità soltanto alle madri libere professioniste che adottino un minore di nazionalità italiana, quando il minore abbia già compiuto i sei anni di età, si pone in insanabile contrasto con il principio di eguaglianza e con il principio di tutela della maternità e dell'infanzia, declinato anche come tutela della donna lavoratrice e del bambino. La normativa impugnata è foriera di una discriminazione arbitraria a danno della libera professionista che adotti un minore di nazionalità italiana; difatti, per tale fattispecie continua a subordinare il godimento dell'indennità ad un limite temporale (i sei anni di età del minore), già superato dal legislatore per le madri lavoratrici dipendenti (art. 2, comma 452, l. 24 dicembre 2007, n. 244). La Consulta sottolinea come la disposizione in commento contrasta con il principio di eguaglianza, poiché, determinando diversificazioni sprovviste di una precisa ragion d'essere, pregiudica l'interesse della madre e del minore e la funzione stessa dell'indennità di maternità, da riconoscersi senza distinzioni tra categorie di madri lavoratrici e tra figli; considera ancora che l'inserimento del minore nella nuova famiglia non è meno arduo e bisognoso di «una speciale adeguata protezione» se il minore è di nazionalità italiana e per il dato contingente, e legato a fattori imponderabili, che il minore abbia superato i sei anni di età. In definitiva, la Corte conclude che la norma censurata, nel limitare la concessione di un beneficio, che tutela il preminente interesse del fanciullo, all'età del minore stesso, si traduce in una discriminazione pregiudizievole non solo per la madre libera professionista che imbocchi la strada dell'adozione nazionale, ma anche e soprattutto per il minore di nazionalità italiana, coinvolto in una procedura di adozione. Osservazioni
Occorre premettere che la problematica affrontata dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento era stata poco prima superata, in via legislativa, dall'art. 20 d.lgs. n. 80/2015, che, con previsione di carattere generale, svincola l'erogazione del beneficio dal requisito del mancato superamento dei sei anni di età del minore adottato. Tuttavia, tale disposizione è entrata in vigore dal 25 giugno 2015; pertanto, l'intervento della Consulta si è reso necessario per eliminare, con riferimento ai rapporti pregressi e pendenti (tra cui quello posto all'attenzione del giudice a quo), la irragionevole disparità di trattamento che l'art. 72 d. lgs. n. 151/2001, per una chiara amnesia legislativa, pone tra libere professioniste che realizzano il proprio sogno di maternità con l'adozione internazionale, che possono fruire dell'indennità di maternità a prescindere dall'età del minore, e quelle che adottano un minore italiano, per le quali la disposizione in commento continua(va) a prevedere il limite del compimento del sesto anno di età dell'adottato quale condizione di accesso al beneficio. Tale indennità è un beneficio introdotto dal legislatore per realizzare le finalità altamente promozionali degli artt. 31 comma 2 e 37 comma 2 Cost.; si tratta di disposizioni, come ha opportunamente evidenziato la Corte, che non perseguono solo la finalità di sostegno alla donna lavoratrice nel momento in cui sia chiamata ad assolvere alle funzioni materne, ma anche l'interesse del minore adottato ad inserirsi più facilmente nel nuovo nucleo familiare. Queste esigenze hanno trovato progressivo riscontro in una disorganica e frammentaria produzione normativa, rettificata da pronunce della Corte Costituzionale (su tutte C. Cost., sentenza n. 371/2003). In dettaglio, il T.U. sulla tutela della maternità e paternità nella formulazione originaria prevedeva, in caso di adozione, che il beneficio dell'indennità di maternità fosse corrisposto alle lavoratrici solo se il minore adottato non avesse compiuto il sesto anno di età dal momento dell'ingresso nel nuovo contesto familiare. Questo limite temporale è stato cancellato dalla l. n. 244/2007, art. 2 comma 245, che ha modificato gli art. 26 e 27 d. lgs. n. 151/2001 prevedendo per le lavoratrici dipendenti o autonome il diritto di conseguire l'indennità di maternità per la durata di mesi cinque dall'ingresso del minore in famiglia anche in caso di adozione nazionale od internazionale. Per una evidente svista, il legislatore ha omesso di incidere sull'art. 72 dello stesso T.U. che, per quanto concerne l'adozione nazionale dei minori da parte di lavoratrici libere professioniste, continua a prevedere il compimento del sesto anno di età del minore quale requisito per l'accesso al beneficio. La Corte Costituzionale giustamente rimarca, nella sentenza in commento, la duplice irragionevole disparità di trattamento, contrastante con l'art. 3 comma 2 Cost., tra libere professioniste e lavoratrici autonome o dipendenti, da un lato, e tra minori adottati nella procedura di adozione nazionale e internazionale, dall'altro; e sottolinea, altresì, la ingiustificata permanenza all'interno del quadro ordinamentale del vituperato limite di età solo per l'ipotesi di adozione nazionale da parte di libere professioniste. Le esigenze di tutela del minore a ricevere le cure e le attenzioni della nuova madre nei primi cinque mesi dall'ingresso nella famiglia di lei al fine di facilitarne l'ambientamento, da una parte, e l'esigenza di offrire un supporto economico temporaneo alla madre che non può svolgere attività lavorativa nei primi mesi, dovendosi dedicare alla funzione di accoglimento del minore nella nuova famiglia, dall'altra, non possono subire discriminazioni a seconda della nazionalità del minore o della tipologia di lavoro svolto dalla madre. L'interesse di un bambino italiano, di età superiore agli anni sei, di inserirsi nel nuovo nucleo familiare non può essere considerato deteriore e recessivo rispetto a quello di un minore che versa nelle stesse condizioni ma che venga accolto nella nuova famiglia con la procedura di adozione internazionale; lo stesso dicasi per lo svolgimento della professione della madre, che non può costituire criterio di differenziazione, rispetto alle lavoratrici autonome o dipendenti, per conseguire un beneficio economico legato alla maternità. L'intervento del legislatore a protezione della madre lavoratrice e del minore deve essere “speciale” ed “adeguato”, come sancisce l'art. 37 comma 2 Cost. e questi due concetti, tra loro complementari ed inscindibili, posseggono una vocazione generalista, che non ammette discriminazioni pregiudizievoli sulla base di criteri irragionevoli. Deve osservarsi, d'altra parte, che la discriminazione determinata dall'art. 72 d. lgs. n. 151/2001 non è frutto di una scelta di politica sociale ben precisa, ma solo l'effetto di una probabile mancanza di coordinamento del legislatore della l. n. 244/2007, che ha inciso sugli artt. 26 e 27 del medesimo T.U. dimenticando di aggiornare anche l'art. 72. Tale tesi appare avvalorata dall'intervento legislativo del 2015 (art. 20 d. lgs. 80/2015) che ha innovato la disposizione in commento epurandola dall'inaccettabile requisito di ammissibilità del non superamento del sesto anno di età del minore adottato; ma, tenuto conto che la novella è entrata in vigore dal 25 giugno 15, l'intervento della Corte Costituzionale si è reso necessario per eliminare le iniquità sociali per i rapporti pregressi e pendenti alla data di entrata in vigore del restaurato art. 72, come quello della commercialista che ha instaurato il giudizio dinanzi al Tribunale di Verbania, e che ha potuto ottenere, grazie all'opportuno ditkat del Supremo Consesso, il riconoscimento dell'indennità di maternità per cinque mensilità in relazione al minore italiano, da lei adottato, che aveva già compiuto il sesto anno di età al momento dell'inserimento nella nuova famiglia. |