Condizioni diverse per la celebrazione di matrimoni e unioni civili: il TAR annulla la delibera comunale
05 Gennaio 2017
Il caso. Due conviventi more uxorio dello stesso sesso hanno chiesto l'annullamento, previa sospensione, di una delibera del Comune di Stezzano che non solo riservava, per la costituzione delle unioni civili, una stanza diversa da quella di rappresentanza del municipio destinata ai matrimoni civili ma prevedeva anche, per la celebrazione di tali unioni, una delega generalizzata ai «consiglieri comunali che hanno comunicato la propria disponibilità» (o, in caso di loro indisponibilità, ai dipendenti comunali cui siano state delegate le funzioni di ufficiale di stato civile) escludendo il sindaco, cui era attribuito il compito di officiare i matrimoni eterosessuali.
Art. 1, comma 20, l. n. 76/2016: chiave di volta dell'istituto delle unioni civili. Il TAR Lombardia ritiene che il comma 20 dell'art. 1 l. n. 76/2016 rappresenti «al contempo la chiave di volta dell'istituto dell'unione civile e la norma di chiusura dell'intera sua disciplina positiva». Per effetto del rinvio contenuto in tale norma ad ogni disposizione diversa dal codice civile non espressamente richiamata, tutti i diritti «previsti dalla legge per il matrimonio sono riconosciuti anche ai partner di unione civile in materia di lavoro, assistenza, previdenza, sanità, pensioni, immigrazione e in campo penale, penitenziario e fiscale». La disposizione citata, secondo il Giudice amministrativo, presenta «un'automatica efficacia etero-integratrice delle norme regolamentari originariamente “pensate” per (e dedicate a) il (solo) istituto del matrimonio allora esistente» e, quindi, esse devono ora intendersi automaticamente estensibili e applicabili anche all'istituto delle unioni civili senza che sia necessaria un'apposita modifica espressa in tal senso.
La natura giuridica dell'atto costitutivo di matrimonio e unione civile è identica. Nessun ostacolo all'operatività del comma 20 nei confronti di un Regolamento comunale, osserva il Tribunale, può derivare, inoltre, dallo stesso incipit della norma che individua espressamente quale fine quello di assicurare l'effettività della tutela dei diritti derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso. Se è vero, infatti, che il diritto non può, in questo caso, derivare da una unione civile non ancora costituita, è altrettanto vero che «essendo identica tra matrimonio e unione civile la natura giuridica dell'atto costitutivo, la vis espansiva del comma 20 non può non estendersi al momento genetico dell'istituto», assicurando fin dalla sua origine la “parificazione” tra nozione di coniuge e persona unita civilmente (pur nella distinzione delle relative e specifiche discipline positive) già individuata dalla giurisprudenza quale finalità perseguita dal legislatore (Cass. pen. n. 44182/2016).
L'”obiezione di coscienza” non può impedire la celebrazione delle unioni civili. Deve, infine, essere annullata anche la delega generalizzata con cui la delibera comunale individuava a priori i soggetti abilitati in via esclusiva alla costituzione delle unioni civili in quanto tale preventiva «(auto) esclusione del Sindaco costituisce evidente manifestazione di quella obiezione di coscienza non prevista nel caso della l. n. 76/2016» oltre che un evidente tentativo di aggirare la volontà del Parlamento che ha respinto un emendamento sul punto. Come già evidenziato dal Consiglio di Stato nel parere del 21 luglio 2016, n. 1695, il rilievo giuridico di una “questione di coscienza” può derivare soltanto dal riconoscimento che di tale questione faccia una norma e, di conseguenza, non può derivare da una “auto-qualificazione” effettuata da chi sia tenuto, in forza di una legge, ad un determinato comportamento. Nel caso della l. n. 76/2016 una previsione del genere non è stata introdotta. Il TAR, pertanto, con sentenza auto-esecutiva, accoglie parzialmente il ricorso.
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