Decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio è sempre inammissibile la domanda di invalidità per simulazione
05 Gennaio 2017
Massima
Decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio, non è più proponibile la domanda di simulazione, ancorchè il matrimonio stesso sia stato celebrato solo per consentire al coniuge straniero l'ottenimento del permesso di soggiorno, a prescindere dalla mancata instaurazione di convivenza di sorta tra gli sposi. Il caso
Una cittadina straniera contrae matrimonio civile con un italiano, al solo fine di poter ottenere il permesso di soggiorno nel nostro Paese. Tra i due non si instaura convivenza di sorta, né vi sono rapporti coniugali. Decorso più di un anno dalla celebrazione delle nozze, la moglie impugna il matrimonio, deducendone la simulazione. I giudici di merito, in entrambi i gradi, dichiarano la domanda improponibile, per intervenuta maturazione del termine decadenziale. La Corte di cassazione, a sua volta, respinge il ricorso della moglie, escludendo altresì profili di incostituzionalità della disciplina dell'art. 123 c.c.. La questione
La questione dibattuta riguarda l'interpretazione dell'art. 123, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede che l'azione di simulazione del matrimonio civile non possa essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio stesso, ovvero nel caso in cui le parti abbiano convissuto come coniugi dopo la celebrazione medesima. Ci si chiede in particolare se sia costituzionalmente legittima la previsione di un breve termine per l'impugnazione, con particolare riferimento al caso in cui le nozze abbiano rappresentato solo lo strumento per attribuire benefici ad uno dei coniugi. Le soluzioni giuridiche
Come è noto, una delle cause di invalidità del matrimonio civile è rappresentata dalla simulazione, contemplata nell'art. 123 c.c.. La disciplina diverge da quella prevista in ambito contrattuale, nel quale l'autonomia privata si esplica nella disponibilità degli effetti del contratto medesimo; nel matrimonio invece essa incide sulla libertà matrimoniale, essendo sottratta alla libera scelta degli sposi la determinazione del contenuto del rapporto. Le due tipologie di simulazione presentano ulteriori elementi differenziatori: l'art. 1414 c.c. non prevede alcuno specifico termine decadenziale entro cui le parti possano far valere la simulazione, mentre l'art. 123, comma 2, c.c. dispone che l'azione di impugnazione non possa essere proposta decorso un anno dalla celebrazione, ovvero nel caso in cui gli sposi abbiano convissuto come coniugi dopo la celebrazione medesima. Parte della dottrina ritiene che la convivenza (come la maturazione del termine decadenziale) rappresenti una sorta di sanatoria del matrimonio invalido. Altri autori affermano invece che la previsione attesterebbe la successiva e comune volontà degli sposi di dare prevalenza, anche nei loro rapporti interni, alla regolamentazione originariamente predisposta per la cerchia esterna dei rapporti (Cfr., per una disamina delle differenti posizioni, cfr. M. Sesta, Codice della famiglia, III, Giuffrè, 2015, 416 ss.). In una ormai risalente pronuncia, cui quella in commento intende dare continuità (Cass., 5 febbraio 1988, n. 1263), la Suprema Corte aveva evidenziato come l'art. 123, comma 2, c.c. contempli due fattispecie autonome e distinte: il decorso di un anno dalla celebrazione delle nozze attiene all'apposizione di un limite temporale all'esercizio dell'impugnazione, mentre l'instaurazione di una convivenza assegna rilevanza alla costituzione del consorzio coniugale, a prescindere dalla durata delle convivenza stessa. In particolare, la previsione normativa va interpretata alla luce delle conclusioni fatte proprie da dottrina e giurisprudenza in tema di riconciliazione nella separazione personale; perché si abbia convivenza non è sufficiente la coabitazione sotto il medesimo tetto, essendo invece necessario che i coniugi abbiano comunque inteso costituire la communio vitae, che caratterizza il vincolo coniugale nella sua interezza (e proprio da tale convinzione si argomenta che la simulazione non può che presupporre un accordo diretto ad escludere il rapporto matrimoniale nella sua globalità: G. Ferrando, Il matrimonio, in Trattato dir. civ. e comm., diretto daA. Cicu e F. Messineo,Giuffrè, 2015, 620). Osservazioni
La sentenza in commento ha occasione di intervenire su una questione (inammissibilità della domanda di simulazione del matrimonio civile) che ha dato luogo ad un numero relativamente contenuto di pronunce. Nel caso di specie, l'azione per la declaratoria di simulazione del matrimonio, contratto solo per consentire alla donna straniera di ottenere il permesso di soggiorno, era stata proposta dalla moglie, dopo peraltro un anno dalla celebrazione, nel corso del quale non vi era stata convivenza fra gli sposi. La Suprema Corte, in conformità alla decisione di merito impugnata, afferma che «le ipotesi della convivenza e del decorso del termine annuale sono formulate in via alternativa, nel senso che la convivenza esclude assolutamente la proponibilità dell'azione, ma in ogni caso, come risulta essersi verificato nel caso di specie, non può essere esercitata dopo il decorso di un anno». L'elemento maggiormente significativo della pronuncia si rinviene nella parte in cui la Cassazione pone a confronto il regime della simulazione del matrimonio civile con quello della delibazione delle sentenze di nullità del matrimonio canonico. Con la nota decisione della Sezioni Unite (Cass., 17 luglio 2014, n. 16379), ripresa e sviluppata in successive decisioni (cfr. per tutte, Cass. 28 gennaio 2015, n. 1621), si è confermata la validità della distinzione fra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto, evidenziandosi, sulla scorta proprio dell'art. 123 c.c., come l'instaurazione e la perduranza di un consorzio familiare, caratterizzato da assunzioni di reciproci diritti, doveri e responsabilità, prevalga sull'irregolarità del negozio matrimoniale. Ci si è chiesti allora se i medesimi principi possano valere in relazione ai matrimoni concordatari e, dunque, (ferma restando l'autonomia del giudice ecclesiastico nel dichiarare la nullità del matrimonio, anche dopo lungo tempo dalla celebrazione di quello che per l'ordinamento canonico è un sacramento, in difetto di termini decadenziali) se il giudice italiano possa o meno delibare pronunce di nullità per vizi genetici dell'atto matrimoniale, intervenute dopo l'instaurazione di una significativo consortium vitae. La stessa Corte di cassazione aveva assunto in merito, negli ultimi anni, posizioni differenziate. Da un lato si era così affermato che la convivenza come coniugi rappresenterebbe manifestazione della volontà di accettare il rapporto matrimoniale, espressione di un principio di ordine pubblico, ostativo alla delibazione (Cass. 8 febbraio 2012, n. 1780; Cass. 15 giugno 2012, n. 9844); dall'altro, invece, si era negata la configurabilità di un siffatto principio, con conseguente insussistenza di condizioni preclusive alla delibazione in forza della convivenza coniugale (Cass. 4 giugno 2012, n. 8926). A fronte del contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la decisione del 2014, già in precedenza richiamata, che hanno attribuito alla convivenza coniugale efficacia sanante, ostativa alla delibazione di pronunce ecclesiastiche sul vincolo. Con una vera e propria opera di creazione del diritto, più che di interpretazione analogica, il periodo minimo di convivenza, dotato di detta efficacia è stato individuato in tre anni dalla celebrazione delle nozze; ciò sulla scorta dell'art. 6 l. 4 maggio 1983, n. 184, come novellato con l. 28 maggio 2001, n. 149, sull'adozione di minorenni, che consente ai coniugi, sposati da almeno un triennio (computandosi anche un periodo di convivenza more uxorio, purchè gli stessi risultino coniugati al momento della domanda) di accedere all'adozione stessa (nazionale, ovvero internazionale). Quanto al matrimonio civile, invece, la domanda di simulazione (che può essere assimilata ad una delle cause di invalidità del vincolo, previste dal diritto canonico) risulta preclusa non solo dall'instaurazione di un consorzio coniugale fra gli sposi (senza predeterminazione di una specifica durata), ma comunque dalla decorrenza del termine annuale dalla celebrazione delle nozze (pure quando convivenza non vi sia mai stata). Il legislatore ha inteso dare stabilità allo status coniugale, che nel frattempo si è venuto a costituire. Il termine di un anno è parso ad alcuni Autori irragionevole, soprattutto per i matrimoni celebrati per scopi socialmente apprezzabili (sfuggire a persecuzioni o discriminazioni, fattispecie diversa dalla presente, in cui si perseguiva l'acquisizione del permesso di soggiorno), al punto che si è sollevato un dubbio di costituzionalità per contrasto con gli artt. 3 e 29 Cost., visto che il termine prende a decorrere dalla celebrazione e non come nelle ipotesi di invalidità ex artt. 119-122 c.c., dal venir meno della causa che ha determinato gli sposi a contrarre le nozze. Da Altri si à tuttavia obiettato che la previsione di un termine annuale si giustifica con l'esigenza di salvaguardare stabilità e certezza del matrimonio comunque contratto (cfr. ancora M. Sesta, Codice della famiglia, cit., 419). La sentenza in esame, per parte sua, esclude anche un contrasto dell'art. 123 c.c. con l'art. 2 Cost., nella parte in cui limiterebbe il diritto del coniuge a formare una nuova famiglia, tramite successive nozze sostitutive di un vincolo che le parti avevano assunto con la volontà di rifiutare diritti e doveri da esso derivanti, in nome della certezza dei rapporti giuridici inerenti lo status. E ciò a prescindere dalla legittimazione del coniuge istante: nel caso di specie infatti, la simulazione era stata dedotta dalla moglie, cittadina straniera, che grazie alle nozze fittizie era riuscita a beneficiare del permesso di soggiorno, per poi creare una nuova situazione familiare con altra persona. |