Nel delitto di maltrattamenti la condotta è abituale in quanto reiterata nel tempo senza necessità di un periodo minimo
08 Aprile 2016
Massima
Integra il delitto di maltrattamenti ex art. 572 c.p. la condotta causa di sofferenze fisiche o psicologiche, alla quale l'imputato sottopone il coniuge, ove reiterata nel tempo, senza che sia necessario un periodo minimo, al di sotto del quale la sussistenza del reato debba necessariamente escludersi, avuto riguardo anche alla condotta tenuta in epoca precedente e connessa a quella indicata nel capo di imputazione. Il caso
O.A. veniva rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 572 c.p., per una serie di condotte, avvenute tra il giugno 2010 ed il settembre 2010, nei confronti della moglie, con cui era sposato da oltre trent'anni (la coppia aveva anche un figlio, maggiorenne, che, nel periodo contestato, non conviveva con i genitori). Il Tribunale di Pescara lo assolveva. Proposto appello dal P.M., la Corte d'appello de L'Aquila, ribaltando la decisione di primo grado, con sentenza in data 17 marzo 2014, condannava O.A. per il reato ascritto e lo obbligava al risarcimento del danno patito dalla vittima. O.A. ricorreva dunque in Cassazione, sostenendo che la condotta contestata era racchiusa in un arco di tempo troppo limitato – se paragonato alla durata del matrimonio- tale da escludere il carattere reiterato e sistematico delle condotte astrattamente sussumibili nella fattispecie dei maltrattamenti; riteneva dunque doversi confermare il giudizio di assoluzione del Tribunale, lamentando la violazione dell'art. 606 c.p.p. comma 1, lett. e), «per avere la Corte mutato il giudizio assolutorio di primo grado senza dare giustificazione riguardo all'individuazione di elementi di accusa idonei a superare tale valutazione», nonché la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) «per omessa analisi dell'attendibilità dei testi, identificabili nella parte lesa e nel figlio del ricorrente». La questione
La questione in esame è la seguente: può escludersi il connotato dell'abitualità nella condotta di chi, nei confronti del coniuge, compie atti vessatori in un periodo di tempo alquanto limitato e, pertanto, in che cosa consiste la valutazione della complessiva condotta dell'imputato? Le soluzioni giuridiche
La Cassazione dichiara infondato il ricorso sotto entrambi i profili avanzati dal ricorrente O.A. Sotto il primo profilo la Suprema Corte giunge a due essenziali e chiare conclusioni: in primis, il Giudice di prime cure aveva escluso la sussistenza del reato di maltrattamenti, avendo giudicato sporadica la condotta contestata all'imputato per il periodo tra giugno 2010 e settembre 2010 ma aveva contemporaneamente svalutato i comportamenti analoghi, tenuti dall'imputato in epoca precedente, durante il più che trentennale periodo di durata del matrimonio; sotto il secondo profilo la Cassazione afferma come il Tribunale avesse escluso, senza idonea giustificazione, la rilevanza delle dichiarazioni del figlio della vittima, peraltro riscontrate anche da testi estranei alla coppia coniugale, e che hanno, invece, permesso al Giudice del gravame di ricostruire la presenza di un atteggiamento di complessiva svalutazione della moglie, tenuto dall'imputato durante tutto il corso della vita coniugale. Su questo specifico aspetto, poi, proprio la Corte d'Appello, con un'analisi delle risultanze probatorie, questa volta, sottolinea la Suprema Corte, «corretta e scevra di vizi», ha invece tenuto conto degli elementi di riscontro provenienti dalle dichiarazioni del figlio e da soggetti estranei alla coppia, non risultando quindi dirimente il fatto che il figlio convivesse con la coppia coniugale nel periodo individuato dal capo di imputazione; la Corte ha altresì rilevato come, semmai, vi sia stata una parziale e non corretta considerazione delle risultanze istruttorie in primo grado, avendo la Corte d'Appello provveduto a colmare «una lacuna contenuta nella pronuncia di primo grado che non si era in alcun modo espressa sul punto, semplicemente ed immotivatamente ignorando il dato di prova». L'orientamento della giurisprudenza in ordine ai caratteri propri della condotta e del dolo che la sorregge è costante nello stabilire che il delitto ex art. 572 c.p. è un reato abituale che si realizza nel quadro di una pluralità di atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, idonei a determinare sofferenze fisiche o psicologiche, realizzati dall'imputato in momenti successivi non necessariamente per un lungo lasso temporale, (Trib. Firenze, sez. I, 10 febbraio 2015; Trib. Campobasso, 05 maggio 2015; Cass. pen., sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 1400; Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2010, n. 25138; Trib. Genova, sez. II, 13 aprile 2007)»: rilevante è il dolo unitario e programmatico in cui si esprime una volontà oppressiva e prevaricatoria (App. L'Aquila, 26 febbraio 2013; Trib. Padova, 06 marzo 2015) volta a creare una sofferenza fisica o psicologica (Cass. pen., sez. VI, 12 marzo 2010, n. 25138; Trib. Campobasso, 07 settembre 2015; Trib. Padova, 02 febbraio 2012; Trib. Bologna, 14 ottobre 2004). Trattasi di un reato «necessariamente abituale (Cass. pen., sez. VI, 21-01-2015, n. 12065)» nel quale «le singole condotte assumono rilevanza nella misura in cui rendono evidente l'esistenza di un programma criminoso animato da una volontà unitaria di vessare il soggetto passivo (ivi)». Occorre, pertanto, riferirsi al contesto complessivo della relazione, anche preesistente all'arco di tempo in cui si colloca la condotta oggetto dell'imputazione, tra i soggetti coinvolti, in particolare l'autore e la vittima del reato. In tal senso risulta di particolare rilevanza la sentenza in esame anche laddove argomenta sulle ragioni ostative ad un possibile revirement giurisprudenziale. Nel caso di specie, partendo dalle divergenti valutazioni del giudice di merito, tra il primo ed il secondo grado, con una sentenza prima assolutoria e, successivamente, di condanna, si ravvisa un'evoluzione nella quale la Corte d'appello, «valorizzando elementi già presenti in atti e non valutati dal primo giudice, ne ha corretto l'impostazione giuridica, ritenendo, in conformità a quanto statuito in argomento da costanti pronunce di legittimità, che ove possa ravvisarsi una reiterazione di condotte vessatorie debba desumersi la volontà di sopraffazione tipica del delitto di maltrattamenti, che si realizza anche in archi di tempi limitati, ove in tale ambito si possa ravvisare la pluralità di condotte aggressive rapportabili ad unico elemento determinatore, nella specie individuabile nell'aggressività maggiore scatenata a seguito della decisione della donna di separarsi». Ne deriva, conclude la Cassazione, che l'abitualità della condotta non richiede «un periodo minimo, al di sotto del quale la sussistenza del reato debba necessariamente escludersi, ma può ravvisarsi tutte le volte in cui atteggiamenti prevaricatori, svalutanti o violenti si susseguano e risultino connessi alla concreta volontà di mortificazione dell'autonoma valutazione del componente del nucleo familiare, situazione che nella specie, risulta non negabile alla luce sia del complessivo atteggiamento tenuto nei confronti della moglie nell'arco della vita matrimoniale, che da quanto risultante dichiarato dalla donna, ed accertato in fatto dallo stesso giudice di primo grado, che ha sostenuto la decisione assolutoria esclusivamente sulla base di una determinazione di non abitualità superata in maniera argomentata e conforme ai principi applicativi della giurisprudenza di questa Corte sul punto dalla Corte territoriale». La stessa Cassazione penale, in una recente pronuncia (Cass. pen., sez. VI, 19 giugno 2014, n. 47896), aveva precisato che neppure «esclude l'abitualità della condotta di maltrattamenti l'eventuale intermittenza di periodi di comportamento non aggressivo da parte dell'agente». Osservazioni
Il contributo offerto dalla sentenza in commento, nel quadro dell'analisi effettuata sull'intero sviluppo che la vicenda giudiziaria ha registrato tra gli accertamenti e le valutazioni condotti tra il primo ed il secondo grado del giudizio di merito, è di particolare rilievo perché, da un lato, evidenzia, il carattere eminentemente relativo della durata di tempo nel corso del quale si realizzano gli atti diretti a ledere la vittima, «che devono essere tali da portare a sofferenze morali (tra le varie: percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità(Cass. pen., sez. VI, 11 luglio 2014, n. 34197)», dall'altro enuclea il metodo di valutazione di una condotta che si riferisca ad un periodo determinato ed i cui connotati si identificano anche attraverso il confronto con le condotte antecedenti, che l'imputato abbia tenuto nell'ambito della medesima relazione oggetto della fattispecie ex art. 572 c.p. Il giudizio sull'abitualità della condotta, essenziale all'accertamento del reato, non può limitarsi al dato, neutro, se considerato isolatamente, della sua durata nel tempo, ma si raggiunge nel contesto in cui la condotta si iscrive, in quanto essa sia stata tenuta senza soluzione di continuità con quella tenuta in epoca anche precedente al periodo indicato nel capo di imputazione. |