Nessun rimborso all'ex marito per il denaro speso per le migliorie sulla casa familiare in costanza di matrimonio

Redazione Scientifica
29 Maggio 2015

L'ex marito che abbia sostenuto, in costanza di matrimonio, delle spese per opere di manutenzione, addizioni e migliorie della casa adibita a residenza familiare, di proprietà esclusiva della moglie, non ha diritto ad alcun rimborso quando le predette opere siano avvenute in adempimento dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 c.c..

La vicenda. Il Tribunale di Monza, pronunciandosi sulla causa di scioglimento della comunione legale promossa dalla moglie, condannava il marito alla restituzione, ex artt. 184 e 186 c.c., della metà della somma ricavata dal disinvestimento di titoli depositati su un conto a lui intestato, collegato però al conto corrente cointestato ai coniugi; inoltre, respingeva nel merito le domande riconvenzionali proposte dal marito; in particolare, riteneva che le spese da lui sostenute per apportare migliorie sulla casa familiare fossero riconducibili ai bisogni della famiglia e pertanto non potevano essere rimborsate, come richiesto. La sentenza di primo grado veniva confermata dalla Corte d'appello di Milano.

Il marito ricorreva allora in Cassazione, censurando il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale atta alla restituzione del denaro speso per opere di manutenzione, addizioni e migliorie della casa adibita a residenza familiare, di proprietà esclusiva della moglie. Con questo motivo di ricorso, il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 1150 e 2041 c.c.: tutte le spese sostenute per la casa coniugale non potevano ritenersi rispondenti ai bisogni della famiglia, per il solo fatto che le opere fossero state eseguite nell'immobile dove abitava la moglie. Precisava, inoltre, che la Corte d'appello, escludendo il diritto del coniuge non proprietario ad ottenere un'indennità per le opere eseguite a proprie spese, giustificava un indebito arricchimento in suo danno e a favore dell'altro coniuge.

Nessun rimborso se le spese riguardano “esigenze familiari”. Il motivo è infondato. La Suprema Corte spiega, difatti, che «la Corte territoriale non ha mai affermato che al coniuge non proprietario non competa alcuna indennità, ai sensi dell'art. 1150 c.c., per le migliorie apportate all'abitazione familiare di proprietà esclusiva dell'altro, ma si è limitata ad evidenziare le ragioni di fatto per le quali, in concreto, la domanda non poteva trovare accoglimento, rilevando come, dalla stessa elencazione dei lavori» - contenuta negli scritti dell'uomo - «le opere» di cui il ricorrente «chiedeva l'integrale rimborso, fossero in realtà finalizzate a rendere più confacente alle esigenze della famiglia l'abitazione messa a disposizione» dalla moglie «ed utilizzata per un trentennio come casa comune e dovessero pertanto ritenersi eseguite per il soddisfacimento di bisogni familiari».

L'obbligo di contribuzione. La Cassazione, nel respingere il predetto motivo, ricorda che non sussiste nessun rimborso se le spese sono state sostenute in adempimento dell'obbligo di contribuzione ex art. 143 c.c. (Cass. n. 18749/2004); sicchè in assenza della prova che tali spese non siano riconducibili esclusivamente ai bisogni familiari, non può essere riconosciuto alcun rimborso al coniuge che le abbia sostenute.

Sulla base di tali argomenti gli Ermellini rigettano il ricorso e condannano il marito al pagamento delle spese processuali.